Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27997 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27997 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PADOVA il 08/03/1972
avverso la sentenza del 26/09/2024 della CORTE APPELLO di VENEZIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo di annullare senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente alla pena, con sua rideterminazione in applicazione dell’art. 99, ultimo comma, cod. pen.;
udito per il ricorrente l’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26 settembre 2024 la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 16 luglio 2019 del Tribunale di Padova, con la quale lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di due anni e tre mesi di reclusione in relazione al reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 (ascrittogli per avere, qual amministratore della RAGIONE_SOCIALE unipersonale, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, occultato o distrutto le fatture attive e passive relative agli anni di imposta dal 2012 al 2015, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi e del volume d’affari; accertato il 29 giugno 2017; con la recidiva specifica infraquinquennale).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a cinque articolati motivi.
2.1. In primo luogo, ha lamentato, ai sensi dell’ad, 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 10 digs. n. 74 del 2000 e la mancanza e l’illogicità della motivazione, con riferimento alla sussistenza del dolo specifico di evasione, sottolineando che quando esposto al riguardo nella sentenza di primo grado e richiamato dalla Corte d’appello nella motivazione della sentenza impugnata, a proposito dell’inserimento del ricorrente in un ampio giro di fatturazioni false, funzionale anche a ottenere fidi bancari, oltre che la sottoposizione a indagini de! ricorrente medesimo per i reati di truffa e ricettazione, non sarebbe suffragato da riscontri esterni, essendo fondato su ipotesi riferite dal Luogotenente COGNOME della Guardia di Finanza, prive di concretezza e di riscontri esterni.
2.2. In secondo luogo, ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’errata applicazione dell’art. 157 cod. pen., a causa del mancato rilievo della estinzione per prescrizione delle condotte poste in essere tra il 2012 e il 2013, sottolineando che il reato di occultamento di documenti contabili ha, secondo autorevole dottrina, carattere istantaneo con effetti permanenti, in quanto l’azione e l’offesa al bene protetto sì concretizzano nel momento del nascondimento e occultamento della documentazione contabile, che consiste in una azione istantanea, i cui effetti perdurano fino al momento della cessazione o del ritrovamento da parte della polizia giudiziaria, con la conseguente erroneità della esclusione della prescrizione per le condotte relative ai documenti concernenti i suddetti anni d’imposta 2012 e 2013, in quanto le condotte di occultamento si consumano anno per anno, con riferimento alla documentazione relativa a ciascuno di essi.
2.3. Con un terzo motivo ha lamentato, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen. l’erronea applicazione di disposizioni di legge penale e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento al trattamento sanzionatorio, sulla base del rilievo che la corretta determinazione del momento consumativo del reato avrebbe consentito di applicare una legge più favorevole al ricorrente, mentre il Tribunale aveva considerato la cornice edittale introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, successiva a una parte delle condotte e più sfavorevole, in violazione dell’art. 2, comma 4, cod. pen., in quanto prima di tale novella la pena per il reato di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 era quella della reclusione da sei mesi a cinque anni, con la conseguente necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio, anche se la questione non era stata devoluta alla Corte d’appello con l’atto di gravame.
2.4. Con un quarto motivo ha lamentato il diniego delle circostanze attenuanti generiche e l’eccessività della pena, la cui conferma era stata giustificata con la mancata partecipazione del ricorrente all’accertamento fiscale e al giudizio penale, pur trattandosi di diritti riconosciuti all’imputato, non essendo stati adeguatamente considerati l’assenso alla acquisizione del processo verbale di constatazione e la condotta successiva al reato; ha lamentato anche l’errata considerazione delle proprie precedenti condanne (per rissa nel 2001, omesso versamento Iva nel 2013 e omesso versamento di ritenute previdenziali nel 2014), essendo stato applicato l’indulto alla prima condanna e riconosciuta in sede esecutiva la continuazione tra le condotte di cui alla seconda e alla terza condanna, con la conseguente erroneità della affermazione della Corte d’appello in ordine alla capacità delinquenziale del ricorrente.
2.5. Infine, con un quinto motivo ha lamentato la violazione degli artt. 99 cod. pen. e 192 cod. proc. pen. e un ulteriore vizio della motivazione, con riferimento all’applicazione della recidiva specifica nel quinquennio, non essendo stato considerato il riconoscimento del vincolo della continuazione tra la seconda e la terza condanna di cui al punto 2.4, né la connessione tra tali condotte e quella oggetto dell’ultima sentenza oggetto del ricorso per cassazione.
Con memoria del 6 giugno 2025 ha formulato due motivi aggiunti.
3.1. In primo luogo, ha lamentato la mancata applicazione della continuazione con la sentenza della Corte d’appello di Venezia dell’Il febbraio 2024, divenuta irrevocabile I’ll maggio 2025, relativa a reati fallimentari, in relazione alla quale aveva avanzato richiesta di rinvio nel procedimento conclusosi con la sentenza impugnata, disattesa dalla Corte territoriale sulla base del rilievo che la prima sentenza non era ancora divenuta definitiva.
3.2. In secondo luogo, recependo quanto esposto nelle richieste scritte frattanto depositato dal Procuratore Generale, ha eccepito l’illegalità della pena
. con riferimento alla misura dell’aumento di pena per la recidiva, pari a nove mesi di reclusione, eccedente il limite delle pene in precedenza inflitte stabilito dall’art 99, ultimo comma, cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile ma va rilevata d’ufficio l’illegalità dell’aumento di pena applicato per la recidiva.
Il primo motivo di ricorso, relativo all’elemento soggettivo del reato di occultamento di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 ascritto al ricorrente, che non sarebbe stato adeguatamente accertato dai giudici di merito, è inammissibile, perché tale questione, secondo quanto risulta dalla non contestata narrativa della sentenza impugnata (sull’obbligo di contestare a pena di inammissibilità tale riepilogo ove non conforme ai motivi di appello si vedano, ex multis, Sez. 3, n. 11830 del 13/03/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 8657 del 15/02/2024, Immobile, non massimata; Sez. 3, n. 33415 del 19/05/2023, COGNOME non massimata; Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01; Sez. 2, n. 9028/2014 del 05/11/2013, COGNOME, Rv. 259066), non era stata sollevata con l’atto di gravame, cosicché è ora preclusa la denuncia di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui non può essere dedotto con il ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli era stato sottoposto e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato (Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Tale motivo di censura risulta, inoltre, generico, essendo privo di illustrazione delle risultanze istruttorie, della vicenda e della condotta contestata, oltre che di confronto, tantomeno critico, con le sentenze di merito, perché consiste nella mera asserzione della insufficienza delle risultanze istruttorie, in particolare della testimonianza del Luogotenente COGNOME della Guardia di Finanza (che sarebbe priva di riscontri), a consentire di ritenere sussistente e dimostrato il dolo specifico di evasione, giacché tali affermazioni non sono idonee, pur prescindendo dalla loro novità, a costituire idoneo mezzo di critica vincolata a tale punto della decisione, di cui, in realtà, non sono state evidenziate carenze o contraddizioni, né, tantomeno, errate applicazioni di disposizioni di legge penale o processuale, con la conseguente mancanza nella censura della necessaria specificità, che ne determina un ulteriore profilo di inammissibilità,
Il secondo motivo, mediante il quale è stato lamentato il mancato rilievo della estinzione per prescrizione delle condotte di occultamento di documenti contabili relative agli anni d’imposta 2012 e 2013, è manifestamente infondato, sia perché privo di considerazione della natura unitaria e permanente del reato di occultamento di documenti contabili; sia perché non tiene conto dell’aumento del termine massimo di prescrizione conseguente all’applicazione della recidiva.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità la condotta del reato previsto dall’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 può consistere sia nella distruzione sia nell’occultamento delle scritture contabili o dei documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari, con conseguenze diverse rispetto al momento consumativo, giacché la distruzione realizza un’ipotesi di reato istantaneo, che si consuma con la soppressione della documentazione, mentre l’occultamento consistente nella temporanea o definitiva indisponibilità della documentazione da parte degli organi verificatori – costituisce un reato permanente, che si protrae sino alla conclusione dell’accertamento fiscale, dal quale soltanto inizia a decorre il termine di prescrizione (Sez. 3, n. 14461 del 25/05/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269898 – 01, nella quale è stato chiarito che l’imputato, per avvalersi della dedotta maturazione della prescrizione in conseguenza della qualificazione della condotta come distruttiva, avrebbe dovuto dimostrare sia la circostanza che la documentazione contabile era stata distrutta, e non semplicemente occultata, sia l’epoca di tale distruzione; nel medesimo senso già Sez. 3, n. 38376 del 09/07/2015, Palermo, Rv. 264676 – 01, e Sez. 3, n. 5974 del 05/12/2012, dep. 2013, COGNOME, Rv. 254425 – 01).
La cessazione della permanenza della condotta di occultamento della documentazione contabile di cui è obbligatoria la conservazione non si verifica alla scadenza del termine unilateralmente indicato dal soggetto sottoposto alla verifica fiscale (ossia l’imputato) per consegnare spontaneamente la documentazione non rinvenuta, bensì nel momento in cui tale occultamento divenga definitivo e non eliminabile da parte degli organi dell’accertamento tributario, indipendentemente dalle condotte collaborative dell’indagato, ossia con la conclusione dell’accertamento fiscale, cosicché l’individuazione della consumazione del reato, ossia del momento di cessazione della permanenza, va collocata in corrispondenza con la conclusione dell’accertamento fiscale, perché l’obbligo di esibizione dei documenti perdura finché prosegue il controllo da parte degli organi verificatori, con la conseguenza che il momento consumativo del reato deve individuarsi nella conclusione e non nell’inizio di detto accertamento, ed è quindi in tale momento che l’occultamento può dirsi definitivamente accertato, indipendentemente dalla verificazione o meno delle condotte collaborative promesse dal soggetto sottoposto alla verifica (così Sez. 3, n. 11469 del 07/03/2025, COGNOME, Rv.
287669 – 01, nonché Sez. 3, n. 40317 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282340 – 01, e, già in precedenza, Sez. 3, n. 4871 del 17/01/2006, Festa, Rv. 234053 – 01).
Nel caso in esame l’accertamento tributario svolto sull’impresa amministrata dal ricorrente si è concluso il 29 giugno 2017, sicché è da tale data che decorre il termine massimo decennale di prescrizione che, considerando l’aumento di metà per la recidiva specifica e nel quinquennio applicata al ricorrente, scadrà il 29 dicembre 2030.
Il terzo motivo, relativo alla errata individuazione della disciplina sanzionatoria applicabile alle condotte anteriori al d.lgs. n. 158 del 2015, che ha inasprito le pene per i reati tributari, compreso quello di occultamento di documenti contabili di cui all’art. 10 d.lgs. n. 74 del 2000 ascritto al ricorrente, è, alla luce di quanto esposto al par. 3 a proposito della natura permanente del reato di occultamento di documenti contabili, manifestamente infondato, essendo cessata la permanenza del reato ascritto al ricorrente il 29 giugno 2017, cioè alla conclusione dell’accertamento tributario, dunque successivamente alla entrata in vigore della disciplina introdotta dal d.lgs. n. 158 del 2015, con la conseguente evidente infondatezza dei rilievi sollevati dal ricorrente a proposito dell’errata applicazione, ratione temporis, di tale disciplina.
Il quarto motivo, relativo alla conferma del diniego delle circostanze attenuanti generiche, è manifestamente infondato, avendo la Corte d’appello, con valutazione non manifestazione illogica, non sindacabile sul piano del merito in questa sede di legittimità, sottolineato sia la mancanza di qualsiasi condotta collaborativa del ricorrente, volta al recupero della documentazione contabile occultata; sia la sua personalità negativa, desunta dalle precedenti condanne (tra cui per lesioni colpose commesse con violazione delle disposizioni in materia di sicurezza sul lavoro, dunque connessa a un’attività d’impresa) e dalla pendenza di un altro procedimento per fatti analoghi (tra l’altro oggetto della richiesta di riconoscimento del vincolo della continuazione): si tratta di motivazione idonea, essendo stati indicati gli elementi, tra quelli di cui all’art. 133 cod. pen., giudica assorbenti nella valutazione di gravità della condotta e nel giudizio negativo sulla personalità del ricorrente, essendo sufficiente, per consolidata giurisprudenza, l’indicazione degli elementi di preponderante rilevanza ritenuti ostativi alla concessione delle attenuanti generiche, con la conseguenza che queste ultime possono, come nel caso in esame, essere negate anche soltanto in base alla gravità del fatto o ai precedenti penali dell’imputato, perché in tal modo viene formulato comunque, sia pure implicitamente, un giudizio di particolare gravità della condotta e di disvalore sulla personalità dell’imputato (Sez. 2, n. 23903 del 15/07/2020, NOMECOGNOME Rv. 279549 – 01; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017,
. COGNOME Rv. 271269 -01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01; Sez. 4, n. 23679 del 23/04/2013, Viale, Rv. 256201 – 01; Sez. 6, n. 36382 del 04/07/2003, COGNOME, Rv. 227142 – 01).
6. Il quinto motivo, relativo alla conferma della applicazione della recidiva, che sarebbe stata erroneamente ribadita dalla Corte d’appello senza tener conto del riconoscimento del vincolo della continuazione tra le ultime due condanne riportate dal ricorrente (condannato per omesso versamento Iva nel 2013 e omesso versamento di ritenute previdenziali nel 2014), oltre che della possibile esistenza di analogo vincolo tra tali condotte e quella considerata dalla sentenza impugnata, stante la loro analogia, è manifestamente infondato, in quanto non vi è incompatibilità tra la recidiva e la continuazione, con conseguente applicazione, sussistendone i presupposti normativi, di entrambi, in quanto la continuazione non comporta l’ontologica unificazione dei diversi reati avvinti dal vincolo del medesimo disegno criminoso, ma è fondata su una mera fictio iuris a fini di temperamento del trattamento penale (Sez. 3, n. 54182 del 12/09/2018, COGNOME, Rv. 275296 – 01; Sez. 4, n. 21043 del 22/03/2018, B., Rv. 272745 01; Sez. 5, n. 51607 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271624 – 01; Sez. 4, n. 49658 del 30/09/2014, Paternesi, Rv. 261169 – 01).
7. L’inammissibilità di tutti i motivi di ricorso determina l’inammissibilità dei motivi nuovi formulati con la memoria depositata il 6 giugno 2025 (relativi al mancato riconoscimento della continuazione con altra sentenza a carico del ricorrente non ancora passata in giudicato, suscettibile di essere richiesto in sede esecutiva, e alla eccessività dell’aumento di pena per !a recidiva, su cui v. infra), posto che la facoltà di presentare motivi nuovi presuppone la proposizione di un ricorso idoneo a consentire la costituzione di valido rapporto processuale di impugnazione, nell’ambito del quale i motivi di ricorso già proposti possono essere sviluppati o ulteriormente illustrati, cosicché se i primi sono inammissibili non vi è luogo a un loro sviluppo e quindi non è consentita la proposizione di motivi nuovi, in quanto si trasmette a questi ultimi il vizio radicale da cui sono inficiati i motiv originari per l’imprescindibile vincolo di connessione esistente tra gli stessi (cfr. Sez. 3, n. 23929 del 25/02/2021, COGNOME, Rv. 282021 – 01; Sez. 5, n. 48044 del 02/07/2019, COGNOME, Rv. 277850 – 01; Sez. 6, n. 9837 del 21/11/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275158 01),
Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui con i motivi nuovi non è consentito dedurre violazioni in precedenza non prospettate, in quanto i motivi nuovi presentati a sostegno dell’impugnazione devono avere a oggetto, a pena di inammissibilità, solo i capi o i punti della decisione impugnata che sono stati già enunciati nei motivi
originariamente proposti a norma dell’art. 581, comma primo, lett. a), cod. proc. pen. (così Sez. 3, n. 18293 dei 20/11/2013, G., Rv. 259740 – 01, che, in motivazione, ha evidenziato che l’ammissibilità di censure non tempestivamente formalizzate entro i termini per l’impugnazione determinerebbe una irragionevole estensione dei tempi di definizione del processo oltre che lo scardinamento del sistema dei termini per impugnare; conf., ex plurimis, Sez. 2, n. 1417 del 11/10/2012, Platamone, Rv. 254301 – 01; Sez. 5, n. 14991 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252320 – 01; analogamente, del resto, a quanto è da dirsi con riferimento all’ambito dell’appello incidentale in rapporto a quello dell’appello principale, aspetto esaurientemente sviluppato da Sez. U, n. 10251 del 17/10/2006, COGNOME, Rv. 235699 – 01).
Osserva, tuttavia, il Collegio che va rilevata d’ufficio l’illegalità dell’aumento di pena applicato al ricorrente in conseguenza del riconoscimento della recidiva, in quanto eccedente il limite di cui all’art. 99, comma 6, cod. pen.
Costituisce, infatti, pena illegale l’incremento sanzionatorio per la recidiva in misura eccedente il cumulo delle pene derivanti da precedenti condanne, in quanto il disposto di cui all’art. 99, comma 6, cod. pen. pone un limite assoluto e inderogabile alla sanzione irrogabile in concreto (Sez. 2, n. 21426 del 15/03/2023, COGNOME, Rv. 284716 – 01; v. anche sul punto Sez. U, n. 38809 del 31/03/2022, COGNOME, Rv. 283689 – 01).
Ai fini della quantificazione della pena (ma non anche dei termini di prescrizione, cfr. Sez. U, n. 30046 dei 23/06/2022, COGNOME, Rv. 283328 – 01) deve, infatti, tenersi conto del limite previsto dall’art. 99, comma 6, cod. pen. cit., pe cui l’aumento non può superare il cumulo delle pene delle precedenti condanne, previo ragguaglio se necessario della pena pecuniaria a pena detentiva ex art. 135 cod. pen. (Sez. 1, n. 1767 del 14/10/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 261997- 01; Sez. 2, n. 8492 del 16/05/1985, COGNOME, Rv. 170553 – 01).
Ora, nel caso in esame al ricorrente è stato applicato un aumento di pena per la recidiva di nove mesi di reclusione benché io stesso fosse stato in precedenza condannato alla pena della multa per complessivi euro 30.600,00, successivamente ridotta a euro 18.600,00 a seguito del riconoscimento della continuazione tra i fatti oggetto di tali due condanne (rese con decreto penale), cosicché risulta superato il suddetto limite di legalità della pena, in particolare dell’aumento applicabile per la recidiva, eccedente il limite inderogabile stabilito dall’art. 99, comma 6, cod. pen., che non è stato rispettato.
Ne consegue la necessità di rideterminare il trattamento sanzionatorio, in osservanza di detto limite, con annullamento con rinvio della sentenza impugnata sul punto, mentre nel resto il ricorso va dichiarato inammissibile.
8 GLYPH
i GA:
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’appello di
Venezia.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 11/7/2025