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Reato di truffa aggravata e reati tributari: il confine

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30540/2025, ha rigettato il ricorso di un Procuratore, stabilendo un importante principio di diritto sul confine tra reato di truffa aggravata ai danni dello Stato e reati tributari. Il caso riguardava una contribuente che aveva ottenuto un indebito rimborso fiscale tramite una dichiarazione dei redditi contenente dati fittizi. La Corte ha chiarito che, se la condotta fraudolenta si esaurisce nella presentazione della dichiarazione falsa senza ulteriori e autonomi ‘artifici e raggiri’, si applica la normativa speciale sui reati tributari (come la dichiarazione infedele) e non quella generale sulla truffa. Poiché l’importo evaso era al di sotto delle soglie di punibilità previste dalla legge tributaria, è stata confermata la revoca del sequestro preventivo disposto inizialmente.

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Reato di truffa aggravata o reato tributario? La Cassazione traccia la linea di confine

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 30540 del 2025, offre un chiarimento fondamentale su una questione giuridica complessa: quando una dichiarazione dei redditi falsa integra un reato di truffa aggravata ai danni dello Stato e quando, invece, rientra nelle specifiche fattispecie dei reati tributari? La pronuncia è cruciale perché definisce i confini applicativi tra la normativa penale comune e quella speciale tributaria, con importanti conseguenze sulla punibilità e sulle misure cautelari applicabili.

I fatti del caso

Il caso trae origine da un’indagine su un vasto schema fraudolento volto a ottenere indebiti rimborsi fiscali. Una contribuente veniva accusata di aver presentato una dichiarazione dei redditi (mod. 730) per l’anno d’imposta 2016 indicando elementi fittizi, tra cui un credito d’imposta inesistente di quasi 4.000 euro, ottenendo così un rimborso non dovuto di circa 1.600 euro. Secondo l’accusa, tale condotta si inseriva in un contesto organizzato più ampio, che prevedeva la presentazione di centinaia di dichiarazioni fraudolente, tutte calibrate per rimanere sotto le soglie di controllo automatico dell’Agenzia delle Entrate.
Il Giudice per le indagini preliminari aveva inizialmente disposto il sequestro preventivo della somma ritenuta profitto del reato. Tuttavia, il Tribunale del Riesame, in un secondo momento, aveva annullato tale provvedimento.

La qualificazione giuridica e il confine con il reato di truffa aggravata

Il cuore della controversia risiede nella corretta qualificazione giuridica del fatto. La Procura sosteneva si trattasse di reato di truffa aggravata ai danni dello Stato, evidenziando non solo la falsità della dichiarazione, ma anche una serie di condotte ulteriori e organizzate (come la creazione di profili falsi presso i CAF e l’uso di credenziali altrui) che costituivano gli ‘artifici e raggiri’ tipici della truffa.

Di parere opposto il Tribunale del Riesame, la cui decisione è stata poi confermata dalla Cassazione. I giudici hanno stabilito che la condotta della contribuente dovesse essere inquadrata nel reato di ‘dichiarazione infedele’ (art. 4, D.Lgs. 74/2000). Questo perché, ai fini della distinzione, occorre applicare il principio di specialità: la norma tributaria, essendo specifica, prevale su quella generale della truffa, a meno che non vi sia un quid pluris. Tale ‘qualcosa in più’ si verifica solo quando la condotta fraudolenta produce un profitto ulteriore e diverso rispetto alla mera evasione fiscale, come l’ottenimento di pubbliche erogazioni non collegate a un rimborso d’imposta.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso della Procura, aderendo pienamente alla ricostruzione del Tribunale. Secondo i giudici supremi, anche le presunte condotte organizzate a monte non erano sufficienti a trasformare il reato da tributario in truffa. Esse, infatti, sono state ritenute meramente strumentali e funzionali alla presentazione della dichiarazione infedele, e quindi assorbite dal disvalore penale specifico della norma tributaria. In altre parole, la condotta decettiva si è esaurita nella falsa rappresentazione offerta all’erario tramite la dichiarazione dei redditi. Non sono stati ravvisati ulteriori e autonomi artifici che andassero oltre la semplice menzogna dichiarativa. Poiché la violazione fiscale commessa dall’indagata si attestava su valori inferiori alle soglie di punibilità previste sia per la dichiarazione infedele che per quella fraudolenta (art. 3, D.Lgs. 74/2000), è venuto a mancare il presupposto stesso del reato (fumus delicti). Di conseguenza, l’annullamento del sequestro è stato ritenuto corretto, in quanto non vi era alcun reato per cui procedere.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato, tracciando una linea netta: una dichiarazione dei redditi falsa, finalizzata a ottenere un rimborso non dovuto, integra un reato tributario e non il più grave reato di truffa aggravata, a meno che non sia accompagnata da un’attività fraudolenta ulteriore e autonoma, capace di generare un profitto diverso dalla semplice evasione. Questa decisione ha importanti implicazioni pratiche: da un lato, circoscrive l’applicazione del reato di truffa ai soli casi in cui vi sia una macchinazione complessa che va oltre la mera falsità documentale; dall’altro, conferma l’importanza delle soglie di punibilità previste dalla normativa tributaria, al di sotto delle quali il fatto, pur essendo illecito dal punto di vista amministrativo, non assume rilevanza penale.

Quando una dichiarazione dei redditi falsa costituisce reato di truffa aggravata e quando invece un reato tributario?
Costituisce un reato tributario (come la dichiarazione infedele) quando la condotta ingannevole si esaurisce nell’indicare dati non veritieri nella dichiarazione stessa. Diventa un reato di truffa aggravata solo se, oltre alla dichiarazione falsa, vengono posti in essere ulteriori e autonomi ‘artifici e raggiri’ finalizzati a ottenere un profitto diverso e ulteriore rispetto alla sola evasione fiscale, come l’ottenimento di pubbliche erogazioni.

Perché il sequestro dei beni dell’indagata è stato annullato?
Il sequestro è stato annullato perché, una volta riqualificato il fatto come reato tributario di ‘dichiarazione infedele’, si è constatato che l’importo dell’imposta evasa era inferiore alle soglie di punibilità previste dalla legge. Di conseguenza, è venuto a mancare il ‘fumus delicti’, ovvero l’apparenza di un reato, che è un presupposto indispensabile per poter disporre una misura cautelare come il sequestro.

Il coinvolgimento in un’organizzazione più ampia ha cambiato la natura del reato del singolo contribuente?
No, secondo la Corte di Cassazione. Anche se la condotta del singolo si inseriva in un contesto organizzato più ampio, le attività fraudolente dell’organizzazione (creazione di profili falsi, uso di credenziali altrui, ecc.) sono state considerate meramente strumentali alla presentazione della dichiarazione infedele. Pertanto, sono state assorbite dal reato tributario specifico e non sono state ritenute sufficienti a configurare il diverso e più grave reato di truffa.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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