Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 17201 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 17201 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a REGGIO CALABRIA il 03/07/1976
avverso la sentenza del 30/05/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo GLYPH o ,;;(4 GLYPH ·
udito il dnsore
RITENUTO IN FATTO
1. Il Tribunale di Reggio Calabria, all’esito di giudizio abbreviato, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile, in concorso con altri soggetti giudicati separatamente, del delitto di corruzione elettorale politico-mafiosa aggravato dalla finalità dell’agevolazione mafiosa della cosca di sua appartenenza.
Secondo la prospettazione accusatoria, il padre dell’imputato, NOME COGNOME in qualità di elettore, stipulava un patto, anche in nome e per conto dei figli NOME COGNOME e NOME COGNOME con NOME COGNOME candidato nella consultazione elettorale del 28 e 29 Marzo 2010 per il rinnovo del Consiglio regionale della Calabria in base al quale i predetti avrebbero votato e si sarebbero impegnati a procacciare un consistente numero di voti in favore del COGNOME, ricevendo in cambio la promessa di una stabile occupazione lavorativa.
Non veniva riconosciuto il vincolo della continuazione fra il reato ascritto e quelli per i quali l’imputato era stato già giudicato in via definitiva co precedente condanna nell’ambito del processo cd “Alta Tensione”
Con sentenza del 30 maggio 2024, la Corte d’appello di Reggio Calabria, in parziale riforma della sentenza del Tribunale, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra il solo reato associativo – ascritto all’imputato nel processo n. 458/2011 (cd. Alta Tensione) quale partecipe del sodalizio Borghetto-CaridiZindato – e il patto elettorale politico-mafioso concluso tra l’imputato e il politico COGNOME in quanto tale qtetto accordo si inseriva, a pieno titolo, nell’ambito del programma criminoso della predetta consorteria volto, tra l’altro, a «ostacolare il libero esercizio del diritto di voto e/o procurare voti a sé o ad altri in occasione d consultazioni elettorali». Nel rigettare la richiesta di riconoscimento della continuazione con i reati-fine di cui al processo RAGIONE_SOCIALE, la Corte distrettuale ha rilevato, in primo luogo, che, nel processo RAGIONE_SOCIALE, è stata esclusa la continuazione tra il reato associativo e i reati di estorsione con sentenza ormai passata in giudicato e che, pertanto, attesa l’irrevocabilità di tale decisione non è consentito modificare un accertamento fattuale ormai consacrato irrevocabilmente. In secondo luogo ha osservato che, mentre con riferimento alle estorsioni di cui ai capi I), L) e M) vi era «assoluta eterogeneità dell’ambito operativo di estrinsecazione delle condotte criminose estorsive rispetto al patto elettorale che qui interessa (le predette estorsioni, infatti, si riferivano a coazion rivolte ai danni di imprenditori variamente impegnati sul territorio reggino», con riferimento all’estorsione di cui al capo E) (perpetrata ai danni di NOME COGNOME per ottenere il rinnovo dell’assunzione di una propria parente NOME COGNOME), non poteva riconoscersi il medesimo disegno criminoso in quanto la determinazione a porre in essere la suddetta condotta estorsiva era insorta in un momento successivo rispetto alla conclusione del patto illecito concluso con il
NOME e solo a fronte dell’inaspettata resistenza del politico ad assecondare le richieste della consorteria mafiosa.
Avverso la predetta sentenza ricorre il difensore di fiducia dell’imputato proponendo un motivo di ricorso ampiamente articolato qui riportato a norma dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen..
2.1. Con la prima censura, proposta a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) e c), cod. proc. pen., e reiterativa di quella già proposta nel precedente grado di merito, lamenta la sussistenza di un medesimo disegno criminoso non solo in relazione all’associazione per delinquere, riconosciuto dalla Corte d’appello, ma anche in relazione all’estorsione di cui al capo E) essendo comuni i soggetti coinvolti, il contesto spazio-temporale e l’elemento intellettivo.
2.1.1. Quanto all’asserita sussistenza del giudicato, rileva il ricorrente, l’emersione del nuovo delitto per cui è causa, avrebbe fornito una nuova chiave di lettura delle condotte precedentemente esaminate sì da consentire il riconoscimento della continuazione.
Il difensore dell’imputato ha chiesto la trattazione orale e in presenza del processo, ma la relativa istanza è stata rigettata in quanto proposta, per l’udienza del 30 gennaio 2015, oltre il termine perentorio di venticinque giorni, termine scaduto sabato 4 gennaio 2025.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso fondato sul mancato riconoscimento della continuazione esterna con i reati accertati in via definitiva nel procedimento penale n. 458/2011 RGNR-DDA (Alta Tensione 2) è infondato.
L’argomentazione su cui la Corte di merito ha fondato il diniego con riferimento alle estorsioni risiede sia nella considerazione che con sentenza ormai passata in giudicato era stata esclusa la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine ascritti al Condemi ai capi E), I), L), M), sia nel rilievo che le estorsio di cui agli ultimi tre capi, si riferiscono a coazioni rivolte ai danni di imprendit variamente impegnati nel territorio reggino e, quindi, del tutto eterogenee rispetto al patto elettorale oggetto di giudizio. Quanto poi all’estorsione di cui a capo E), perpetrata ai danni del COGNOME, la Corte d’appello, pur constatando la connessione oggettiva e soggettiva con la vicenda che aveva portato il polito al consiglio regionale della Calabria, ha valorizzato «l’estemporaneità che aveva evidentemente connotato la condotta estorsiva in oggetto», evidenziando che la determinazione di porre in essere la condotta criminosa era insorta in un momento successivo rispetto alla conclusione del patto illecito concluso con il COGNOME e solo a fronte dell’ inaspettata indisponibilità del politico ad assecondare quanto richiesto dalla consorteria mafiosa.
Tale motivazione è esente dai vizi di legge prospettati.
3. Orbene, premesso che la continuazione è istituto fermamente radicato nell’ordinamento, sempre più orientato ad ovviare in ogni modo alle eccessività sanzionatorie derivanti dal concorso materiale di reati, specie nei confronti di un codice noto per il sostenuto rigore delle pene e che l’operatività del reato continuato non può trovare preclusioni in relazione alla fase processuale, è comunque altrettanto vero che l’applicazione della continuazione trova un limite invalicabile, in quanto normativamente imposto, nella unicità del disegno criminoso inteso come preventiva programmazione unitaria. A tal proposito, questa Corte, nella sua massima composizione, ha evidenziato che «Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita; occorre, poi, che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074- 01). La continuazione presuppone, dunque, l’anticipata e unitaria ideazione di più violazioni della legge penale, già insieme presenti, almeno a grandi linee, nella mente del reo nella loro specificità e non può consistere, come correttamente messo in evidenza dal Procuratore generale, in un beneficio automatico premiale conseguente alla mera reiterazione del reato poiché altrimenti si finirebbe con rendere del tutto labile la linea di demarcazione tra continuazione e abitualità a delinquere. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
La situazione, dunque, che consente il riconoscimento del vincolo della continuazione è ben diversa da una mera inclinazione a reiterare nel tempo violazioni della stessa specie, anche se dovuta a una determinata scelta di vita o a un programma generico di attività delittuosa da sviluppare nel tempo secondo contingenti opportunità (tra le altre, Sez. 1, n. 35797 del 12/05/2006, COGNOME, Rv. 234980; Sez. 4, n. 16066 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 243632; Sez. 1, n. 48125 del 05/11/2009, COGNOME, Rv. 245472; Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010, Marigliano, Rv. 248862).
La decisione della Corte di appello, nel condividere le argomentazioni del giudice di primo grado, con motivazione esaustiva in fatto e coerente rispetto al parametro normativo di cui all’art. 81, comma secondo, cod.pen. e ai principi di diritto sopra riportati, resiste alle censure formulate dal ricorrente che s risolvono nella generica prospettazione di considerazioni attinenti all’analoga
tipologia dei reati, ai beni protetti dalle norme incriminatrici, alla causale e al condizioni di tempo e di luogo e danno così rilievo a un sistema di vita fondato
sul malaffare.
Correttamente, invece, i giudici di merito hanno messo in evidenza la necessità, perché possa configurarsi la continuazione, di un’originaria
preordinazione dei singoli episodi criminosi da intendersi nel senso che, da quando si commette la prima violazione, le altre siano già deliberate, per cui le
singole manifestazioni della volontà violatrice della norma o delle norme esprimono l’attuazione, sia pur dilazionata nel tempo, di un unico intellettivo
anche di disegno criminoso. La programmazione può essere perciò
ab origine massima, purché i reati da compiere risultino previsti almeno in linea generale,
con riserva di “adattamento” alle eventualità del caso, come mezzo al conseguimento di un unico scopo o intento, prefissato e sufficientemente
specifico. Come correttamente messo in evidenza da
Sez. 2, n. 40123 del 22/10/2010 , cit. «La ricaduta nel reato e l’abitualità a delinquere non integrano di per sé il caratteristico elemento intellettivo (unità di
ideazione che abbraccia i diversi reati commessi) che caratterizza il reato continuato» anche perché, ragionando diversamente, l’istituto della continuazione si tradurrebbe in una spinta promozionale al crimine, certamente non voluta dal legislatore. In linea con tali principi, la Corte d’appello, dunque, ha valorizzato, correttamente, l’estemporaneità che aveva caratterizzato la condotta estorsiva di cui al reato ascritto al capo E nel procedimento già conclusosi in quanto la determinazione a porre in essere l’estorsione, sempre nei confronti del COGNOME, era sorta solo alla scadenza del contratto lavorativo di NOME COGNOME al fine di ottenere una nuova e più remunerativa assunzione della donna e a fronte delle resistenze manifestate dal politico alla scadenza del primo contratto concluso in favore della predetta.
Sulla base delle considerazioni svolte, nessuna violazione di legge è ravvisabile nella sentenza impugnata e, quindi, il ricorso deve essere rigettato con condanna del ricorrente al pagamento delle spese di procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Roma, 30 gennaio 2025