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Reati ostativi: Cassazione su art. 4-bis Ord. pen.

La Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza di un Tribunale di Sorveglianza che negava una misura alternativa alla detenzione. Il tribunale aveva erroneamente applicato i più severi requisiti previsti per i reati ostativi a un condannato per associazione a delinquere semplice e reati in materia di immigrazione non aggravati. La Suprema Corte ha chiarito che tali requisiti si applicano solo a un elenco tassativo di delitti, escludendo quelli per cui il ricorrente era stato condannato, e ha rinviato il caso per un nuovo esame.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Reati Ostativi: La Cassazione delimita l’applicazione dell’art. 4-bis Ord. Pen.

L’accesso ai benefici penitenziari per i condannati è un tema centrale nel diritto dell’esecuzione penale, specialmente quando si tratta di reati ostativi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 23427/2024) ha fornito un chiarimento fondamentale sull’ambito di applicazione delle più recenti e stringenti normative, riaffermando il principio di legalità e tassatività. La pronuncia analizza il caso di un detenuto a cui era stata negata una misura alternativa sulla base di un’errata interpretazione della legge.

I Fatti del Caso

Un detenuto, in espiazione di una pena per i reati di associazione per delinquere semplice (art. 416 c.p.) e violazioni della legge sull’immigrazione (art. 12 d.lgs. 286/1998), presentava istanza al Tribunale di Sorveglianza per l’applicazione di una misura alternativa alla detenzione.

Il Tribunale di Sorveglianza respingeva la richiesta, motivando la decisione sulla base delle nuove disposizioni introdotte dal d.l. n. 162/2022. In particolare, il giudice riteneva che l’istante non avesse fornito prove sufficienti per escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata né dimostrato l’adempimento delle obbligazioni civili derivanti dalla condanna. Tali requisiti probatori aggravati sono, appunto, previsti dalla nuova formulazione dell’art. 4-bis dell’Ordinamento Penitenziario per i cosiddetti reati ostativi.

Il Ricorso in Cassazione: un’errata applicazione dei requisiti per i reati ostativi

Il difensore del detenuto ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un unico ma decisivo motivo: l’erronea applicazione dell’art. 4-bis Ord. Pen. La difesa ha evidenziato come il Tribunale di Sorveglianza avesse applicato un regime previsto per reati di eccezionale gravità a fattispecie che non rientrano in tale catalogo.

Nello specifico, si sosteneva che le norme più severe si applicano al delitto di associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e non all’associazione per delinquere semplice (art. 416 c.p.). Allo stesso modo, per i reati in materia di immigrazione, il regime ostativo si applica solo alle ipotesi aggravate previste dai commi 1 e 3 dell’art. 12 d.lgs. 286/1998, mentre il ricorrente era stato condannato per la fattispecie non aggravata. Il provvedimento impugnato, quindi, aveva imposto al condannato un onere probatorio non richiesto dalla legge per i reati per cui era stato effettivamente condannato.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso, ritenendolo fondato. Gli Ermellini hanno ripercorso la portata della riforma dell’art. 4-bis, comma 1-bis, dell’Ordinamento Penitenziario, sottolineando come questa si applichi esplicitamente a un elenco ben definito di delitti. Tra questi figurano i delitti commessi con finalità di terrorismo, i delitti di cui agli articoli 416-bis e 416-ter del codice penale, i delitti commessi avvalendosi delle condizioni mafiose e altri gravi reati come la tratta di persone e la riduzione in schiavitù.

La Corte ha chiarito che la ratio della norma è quella di subordinare la concessione di benefici a soggetti condannati per reati di particolare allarme sociale alla dimostrazione di un effettivo allontanamento dalle logiche criminali. Tuttavia, questa disciplina speciale non può essere estesa per analogia a reati non espressamente inclusi nell’elenco.

Nel caso di specie, il ricorrente era stato condannato per associazione per delinquere semplice e per il reato di cui all’art. 12 d.lgs. n. 286/1998 in forma non aggravata. Entrambe le fattispecie non sono contemplate nel testo dell’art. 4-bis, comma 1-bis. Di conseguenza, il Tribunale di Sorveglianza ha errato nell’attribuire rilevanza ostativa a requisiti che non erano richiesti dalla normativa vigente per i reati contestati. Il rigetto dell’istanza era, pertanto, basato su un presupposto giuridico errato.

Le Conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha annullato l’ordinanza impugnata e ha rinviato il caso al Tribunale di Sorveglianza di Catania per un nuovo giudizio. Quest’ultimo dovrà riesaminare la richiesta del detenuto attenendosi ai principi di diritto enunciati, ovvero senza applicare i requisiti probatori aggravati previsti per i reati ostativi. La sentenza riafferma un principio cruciale: le norme che limitano i diritti e i benefici devono essere interpretate in modo rigoroso e tassativo, senza estensioni analogiche a casi non espressamente previsti dal legislatore. Questo garantisce certezza del diritto e tutela le garanzie individuali anche nella fase di esecuzione della pena.

I nuovi e più severi requisiti dell’art. 4-bis Ord. pen. per accedere ai benefici penitenziari si applicano a tutte le forme di associazione per delinquere?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che tali requisiti si applicano specificamente a delitti come l’associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.), il terrorismo o i reati commessi con metodo mafioso, ma non al delitto di associazione per delinquere semplice (art. 416 c.p.).

Un condannato per reati legati all’immigrazione è sempre soggetto al regime dei reati ostativi?
No. Secondo la sentenza, il regime più restrittivo si applica solo alle versioni aggravate del reato previsto dall’articolo 12 del d.lgs. 286/1998, specificamente quelle menzionate ai commi 1 e 3. Una condanna per la fattispecie base del reato non attiva l’applicazione di queste condizioni restrittive.

Cosa succede se un Tribunale di Sorveglianza applica erroneamente le regole previste per i reati ostativi?
Il provvedimento risulta viziato per errore di diritto e può essere annullato dalla Corte di Cassazione. Nel caso esaminato, la Suprema Corte ha annullato l’ordinanza e ha rinviato il caso per un nuovo giudizio, ordinando al giudice di rivalutare l’istanza senza applicare i criteri più severi erroneamente invocati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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