Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 7665 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 7665 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 30/01/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da: NOME nata a Roma il 14/01/1982 COGNOME NOMECOGNOME nato a Roma il 19/03/1982
avverso la sentenza del 26/03/2024 della Corte d’appello di Roma visti gli atti, il provvedimento impugnato e i ricorsi; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore COGNOME il quale ha concluso chiedendo che i ricorsi siano rigettati;
letta la memoria e conclusioni dell’Avv. COGNOME difensore di NOMECOGNOME il quale, dopo avere replicato alle conclusioni del Pubblico Ministero, ha concluso insistendo per l’accoglimento del ricorso;
letta la memoria e conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di COGNOME NOMECOGNOME il quale, dopo avere replicato alle conclusioni del Pubblico Ministero, ha concluso insistendo nei motivi di ricorso e chiedendo l’annullamento della sentenza impugnata;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 26/03/2024, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del 02/12/2021 del Tribunale di Roma, emessa in esito a
giudizio ordinario: a) confermava la condanna di NOME COGNOME e di NOME COGNOME per il reato, commesso in concorso tra loro, di rapina impropria aggravata (dall’essere stata la minaccia commessa da più persone riunite) di uno strumento per misurare la pressione di cui al capo B) dell’imputazione; b) concesse a entrambi gli imputati le circostanze attenuanti generiche in regime di prevalenza rispetto all’indicata circostanza aggravante, rideterminava in due anni e otto mesi di reclusione ed € 620,00 di multa la pena irrogata a ciascuno di essi per il suddetto reato di rapina impropria in concorso.
Avverso tale sentenza del 26/03/2024 della Corte d’appello di Roma, hanno proposto ricorsi per cassazione, con distinti atti e per il tramite dei propri rispetti difensori, NOME COGNOME e NOME COGNOME
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a un unico motivo, con il quale la ricorrente denuncia la nullità della sentenza impugnata con riguardo al trattamento sanzionatorio, in conseguenza della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., operata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 86 del 2024, «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità».
Dopo avere premesso l’impossibilità di dedurre tale questione in grado di appello, atteso che la menzionata sentenza della Corte costituzionale è stata depositata il 13/05/2024, la ricorrente argomenta che, alla stregua di quanto è stato affermato dalla Corte d’appello di Roma nel motivare la determinazione del trattamento sanzionatorio e, in particolare, la concessione delle circostanze attenuanti generiche, e tenuto altresì conto del valore del bene sottratto – in quanto costituito da uno strumento per misurare la pressione che è comunemente messo in vendita per il prezzo di circa € 30,00 -, il fatto a lei attribuito dovrebb essere ritenuto di lieve entità.
Il ricorso di NOME COGNOME a firma dell’avv. NOME COGNOME è affidato a tre motivi.
4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta: «izio di motivazione. Erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata assoluzione dell’imputato per non aver commesso il fatto o al più al mancato riconoscimento del concorso anomalo».
Il COGNOME contesta anzitutto la tesi della Corte d’appello di Roma secondo cui egli avrebbe contribuito al reato «mantenendo occupate e distraendo le addette con quesiti rapidamente abbandonati» e deduce in proposito che: «non può essere considerato un apporto causalmente orientato al compimento della sottrazione del
bene quello di recarsi in farmacia e porre dei quesiti medici alle dipendenti della farmacia»; «è una valutazione del tutto opinabile quella per cui i quesiti svolti dal COGNOME vennero rapidamente abbandonati, ben potendo lo stesso essere stato soddisfatto dalle risposte delle farmaciste»; «è del tutto apodittico ritenere che con le domande rivolte alle farmaciste lo stesso cercasse di distrarle, anche perché l’interlocutore è uno, quindi, gli altri dipendenti avrebbero ben potuto controllare ciò che succedeva nel negozio».
In secondo luogo, il ricorrente lamenta che la Corte d’appello di Roma non si sarebbe adeguatamente confrontata con la doglianza, che egli aveva sollevato con il proprio atto di appello, relativa alla configurabilità di un suo concorso cosiddetto anomalo.
Il COGNOME contesta la tesi della Corte d’appello di Roma secondo cui i due coimputati avrebbero «agito di concerto e con preordinata coordinazione» e deduce in proposito che: « ben vedere i due imputati entrano in farmacia e si recano al bancone, solo dopo la COGNOME si allontana e sottrae l’apparecchio per la pressione. Quindi, il proposito criminoso ben potrebbe essere sorto nell’imputata solo in un secondo momento, in modo estemporaneo e del tutto imprevedibile».
4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta: «izio di motivazione. Erronea applicazione della legge penale in ordine alla mancata riqualificazione del fatto di cui al capo B) nelle fattispecie di furto e minacce».
Il COGNOME deduce anzitutto che le minacce che furono rivolte alle dipendenti della parafarmacía non si potevano considerare dirette ad assicurarsi il possesso del sottratto strumento per misurare la pressione né a procurarsi l’impunità, atteso che «l’imputata aveva già la signoria sull’apparecchio per la pressione, che era in suo possesso, e le dipendenti erano dietro il bancone della farmacia, per cui in alcun modo la bloccavano o non le permettevano di uscire dal negozio, quindi, la stessa non doveva guadagnarsi l’impunità in alcun modo».
In secondo luogo, il ricorrente rappresenta che tra la sottrazione del suddetto apparecchio per misurare la pressione e le minacce che furono rivolte alle dipendenti della parafarmacia sussisteva «uno iato temporale» che «recide il legame» tra le due condotte, con la conseguenza che il fatto avrebbe dovuto essere sussunto nelle fattispecie del furto e della minaccia.
4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente chiede l’«annullamento della sentenza per effetto della sentenza della Corte cost. sent. 16 aprile 2024 (dep. 13 maggio 2024), n. 86».
Il COGNOME prospetta delle doglianze che sono sostanzialmente coincidenti con quelle che sono state sollevate nel ricorso della coimputata NOME COGNOME
CONSIDERATO IN DIRITTO
In ordine logico, devono essere anzitutto esaminati i primi due motivi del ricorso di NOME COGNOME.
1.1. Il primo motivo non è consentito.
La Corte d’appello di Roma ha ritenuto che il COGNOME avesse contribuito alla realizzazione della sottrazione dell’apparecchio per misurare la pressione con il mantenere occupate le dipendenti della parafarmacia, ponendo loro dei quesiti, in modo da distrarle mentre la coimputata COGNOME operava la materiale sottrazione dello stesso apparecchio.
La Corte d’appello di Roma è pervenuta a questa conclusione sulla base sia delle dichiarazioni delle testimoni dipendenti della parafarmacia, sia delle immagini che erano state riprese dalla telecamera installata in tale esercizio commerciale, dalle quali «si vedeva nitidamente la dinamica dell’evento» (come era stato dichiarato dalla testimone della polizia giudiziaria COGNOME; pag. 3 della sentenza di primo grado).
A fronte di ciò, la prima censura del ricorrente, con la quale egli contesta la ritenuta sussistenza di un suo contributo alla realizzazione del reato, si appalesa, da un lato, come generica, in quanto non opera alcun confronto con i suindicati elementi probatori sulla base dei quali la Corte d’appello di Roma ha fondato la propria decisione, dall’altro lato, come diretta a contestare la persuasività e l’adeguatezza dell’argomentazione della stessa Corte d’appello e a sollecitare, ancorché implicitamente, una differente valutazione del significato probatorio da attribuire agli stessi elementi di prova, il che non è possibile fare in sede d legittimità.
Quanto all’ulteriore censura del COGNOME, con la quale egli contesta la ritenuta esclusione della configurabilità di un suo concorso cosiddetto anomalo, si deve osservare come la Corte d’appello di Roma abbia considerato che, sulla base dei sopra indicati elementi di prova, si dovesse altresì ritenere che la COGNOME e il COGNOME avessero agito ab origine di concerto e con preordinata coordinazione tra loro, con ciò sostanzialmente ritenendo la comune accettazione, da parte dei due imputati, del rischio della commissione del più grave reato di rapina impropria nel caso in cui la sottrazione dell’apparecchio per misurare la pressione fosse stata scoperta.
A fronte di tale argomentazione – che risulta sia in linea con la giurisprudenza della Corte di cassazione sul tema della distinzione tra il concorso cosiddetto anomalo ex art. 116 cod. pen. e l’ordinario concorso nel reato ex art. 110 cod. pen. (per tutte: Sez. 1, n. 4330 del 15/11/2011, dep. 2012, COGNOME, Rv. 25184901), sia priva di contradizioni e di manifeste illogicità -, la doglianza del ricorren appare diretta a evidenziare ragioni in fatto («i due imputati entrano in farmacia e si recano al bancone, solo dopo la COGNOME si allontana e sottrae l’apparecchio»)
per giungere alla differente e meramente ipotizzata conclusione che «il proposito criminoso ben potrebbe essere sorto nell’imputata solo in un secondo momento, in modo estemporaneo e del tutto imprevedibile». In tale modo, tuttavia, il ricorrente non fa che evidenziare ragioni in fatto per giungere a tale diversa e meramente ipotizzata conclusione, che ritiene, semplicemente, più persuasiva, il che, in assenza, come si è detto, di vizi di violazione di legge e di motivazione della sentenza impugnata, non è possibile fare in sede di legittimità.
1.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato sotto entrambi i profili in cui è articolato.
Quanto al primo di essi, con il quale il ricorrente contesta la ritenuta finalizzazione della commessa minaccia ad assicurarsi il possesso dell’apparecchio sottratto e a procurarsi l’impunità, la manifesta infondatezza di tale profilo di censura discende dalle considerazioni che: a) quanto al fine di assicurarsi il possesso della cosa sottratta, diversamente da quanto mostra di ritenere il ricorrente, anche ad ammettere che la COGNOME avesse già conseguito il possesso dell’apparecchio che aveva sottratto, ciò non esclude che la minaccia fosse finalizzata ad assicurarselo, atteso che la locuzione «per assicurare a sé o ad altri il possesso» comprende il fine di conservare un possesso che sia già stato conseguito, impedendo al derubato di tornare in possesso della sua cosa mobile; b) quanto al fine di procurarsi l’impunità, la Corte d’appello di Roma ha argomentato che era risultato che «gli astanti» erano stati «minaccia di non chiamare le forze di polizia» (pag. 5, ultimo capoverso, della sentenza impugnata), il che rende palese la sussistenza anche del fine delle commesse minacce di procurarsi l’impunità, grazie al mancato intervento delle forze dell’ordine che le stesse minacce intendevano scongiurare.
Quanto al secondo profilo di censura, con il quale il ricorrente contesta la ritenuta sussistenza del requisito dell’immediatezza, anche a voler prescindere dalla genericità dello stesso profilo – atteso che il COGNOME ha del tutto omesso di confrontarsi con la motivazione della sentenza impugnata sul punto -, si deve rammentare che la Corte di cassazione ha chiarito come, ai fini della configurabilità del delitto di rapina impropria, il requisito dell’«immediatezza», contemplato dalla norma incriminatrice del secondo comma dell’art. 628 cod. pen., non richieda la contestualità temporale tra la sottrazione della res e l’uso della violenza o della minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta a impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o ad assicurare al colpevole l’impunità (Sez. 2, n. 30775 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 285038-02).
Inoltre, sempre nella rapina impropria, la violenza o la minaccia si possono realizzare anche in luogo diverso da quello della sottrazione della cosa e in
pregiudizio di persona diversa dal derubato, sicché, per la configurazione del reato, non è richiesta la contestualità temporale tra sottrazione e uso della violenza o minaccia, essendo sufficiente che tra le due diverse attività intercorra un arco temporale tale da non interrompere l’unitarietà dell’azione volta a impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte o ad assicurare al colpevole l’impunità (Sez. 7, n. 34056 del 29/05/2018, Belegrouh, Rv. 273617-01; Sez. 2, n. 43764 del 04/10/2013, COGNOME, Rv. 257310-01).
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Roma ha ritenuto che l’intervallo, che è stato da essa stimato in circa due minuti, che era intercorso tra l’uscita della COGNOME dalla parafarmacia e le minacce che erano state rivolte alle dipendenti di essa per assicurarsi il possesso dell’apparecchio sottratto e per procurarsi l’impunità non avesse interrotto l’unitarietà spazio-temporale dell’azione volta a impedire alle persone offese di tornare in possesso del menzionato bene e ad assicurare l’impunità a chi lo aveva sottratto.
Tale motivazione della ritenuta unitarietà dell’azione volta a impedire al derubato di tornare in possesso delle cose sottratte e ad assicurare ai colpevoli l’impunità appare il frutto di un’interpretazione dei fatti che è priva contraddizioni e di illogicità manifeste, sicché essa si sottrae a censure in questa sede di legittimità, in particolare a quella – come si è detto, del tutto generica che è stata avanzata dal ricorrente.
Quanto si è esposto esclude che il fatto attribuito al COGNOME potesse essere riqualificato come furto e minaccia.
L’unico motivo del ricorso di NOME COGNOME e il terzo motivo del ricorso di NOME COGNOME – i quali motivi, prospettando delle doglianze sostanzialmente coincidenti, possono essere esaminati congiuntamente -, sono fondati.
Si deve premettere che non vi possono essere dubbi sull’ammissibilità di tali motivi ai sensi dell’art. 609, comma 2, cod. proc. pen., tenuto conto che la questione che è stata con essi sollevata non avrebbe potuto essere dedotta in grado di appello, atteso che, posto che l’impugnata sentenza della Corte d’appello di Roma è del 26/03/2024, Corte cost. n. 86 del 2024 è stata decisa il 16/04/2024 ed è stata depositata il 13/05/2024.
Con tale sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, cod. pen., «nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di li entità».
La Corte costituzionale ha in particolare ritenuto che, come per l’estorsione per la quale è stabilito il medesimo minimo edittale e che aveva subito parallele
modifiche nel trattamento sanzionatorio -, anche per la rapina impropria l’elevato minimo edittale previsto dal censurato secondo comma dell’art. 628 cod. pen. (cinque anni di reclusione), il quale era stato introdotto per contenere fenomeni criminali seriamente lesivi della persona e del patrimonio, eccedesse lo scopo quando l’offensività concreta del fatto non giustificava una punizione così severa, determinando l’irrogazione di una pena irragionevole, sproporzionata e quindi inidonea alla rieducazione del reo. Anche nella rapina infatti – connotata da una latitudine oggettiva e da una varietà di condotte materiali non meno ampia di quella dell’estorsione – la violenza o la minaccia potrebbero essere, come era nel caso oggetto del giudizio a quo, di modesta portata e il danno cagionato di valore infimo. Occorreva pertanto prevedere, anche in relazione a tale fattispecie, un’attenuante a effetto comune, analoga a quella che era stata introdotta per l’estorsione con la sentenza n. 120 del 2023, quale “valvola di sicurezza” che consentisse al giudice di temperare la sanzione nei casi di lieve entità. Gli indici di detta attenuante – estemporaneità della condotta, scarsità dell’offesa personale alla vittima, esiguità del valore sottratto, assenza di profili organizzativi – era tali da garantire che la riduzione della pena fosse riservata alle ipotesi di lesivit davvero minima, per una condotta che pur sempre incide sulla libertà di autodeterminazione della persona.
Si deve aggiungere che, con riguardo a una fattispecie analoga a quella che viene qui in rilievo, la Corte di cassazione ha affermato che, nel giudizio di cassazione, è rilevabile anche d’ufficio la nullità della sentenza nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, conseguente alla sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità di norma riguardante la determinazione della pena (Sez. 2, n. 19938 del 15/05/2024, Ghbar, Rv. 286432-01, relativa a una fattispecie in cui la Corte ha annullato con rinvio la decisione impugnata e ha rimesso al giudice di merito la quantificazione della pena, alla luce, appunto, della sentenza della Corte costituzionale n. 86 del 2024).
Ne consegue, perciò, che la sentenza impugnata deve essere annullata limitatamente alla valutazione della possibilità di applicare, nei confronti degli imputati, la circostanza attenuante della lieve entità del fatto, con rinvio a un’altr sezione della Corte d’appello di Roma per un nuovo giudizio su tale punto.
In conclusione: a) la sentenza impugnata deve essere annullata nei confronti di entrambi gli imputati limitatamente alla circostanza attenuante del fatto di lieve entità, con rinvio a un’altra sezione della Corte d’appello di Roma per un nuovo giudizio sul punto; b) il ricorso di NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di NOME e di COGNOME NOME limitatamente all’attenuante del fatto di lieve entità, con rinvio ad alt sezione della Corte d’appello di Roma per nuovo giudizio sul punto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso di COGNOME NOME
Così deciso il 30/01/2025.