Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 19201 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 19201 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 06/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a VIBO VALENTIA il 21/03/1993
avverso l’ordinanza del 13/01/2025 del TRIBUNALE di ROMA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME il quale ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
udito il difensore del ricorrente, Avv. NOME COGNOME il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso .
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con ordinanza del 13 gennaio 2025, il Tribunale del riesame di Roma, in accoglimento dell’appello proposto dal Pubblico Ministero, applicava a NOME COGNOME, indagato per i reati di cui agli artt. 416, commi 1, 2, 3 e 5, 416bis .1 cod. pen. (capo 37), 100, 81 cpv., 648bis .1 cod. pen. (capo 38) la misura dell a custodia cautelare in carcere; avverso l’ordinanza propone ricorso il difensore di COGNOME, eccependo quanto segue.
Premesso che il giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto che difettassero i requisiti di attualità e concretezza delle esigenze cautelari, operando una distinzione tra gli indagati cui veniva contestato un ruolo apicale nell’associazione e i meri partecipi quali COGNOME, le cui condotte si esaurivano
cinque anni prima rispetto ai fatti contestati, il Tribunale aveva valutato illegittimamente le condotte contestate a Brigandì ai capi 39) e 40), per le quali non era stata avanza alcuna mozione cautelare, desumendo la sussistenza di esigenze cautelari esclusivamente dalle modalità delle condotte contestate, trincerandosi dietro al richiamo delle presunzioni di cui all’art. 275 , comma 3, cod. proc. pen., anche per quanto riguardava l’idoneità della misura; non era stato considerato che il ricorrente, fin da ll’estate del 2019, era scomparso da ogni radar investigativo, interrompendo qualsiasi rapporto con i sodali e desistendo volontariamente da qualsiasi ulteriore ed eventuale attività criminosa; i princìpi statuti da questa Corte erano stati palesemente elusi dal Tribunale del riesame, che non aveva considerato: a) l’assenza di precedenti penali; b) la risalenza nel tempo dei fatti contestati; c) il tempo trascorso dalle condotte contestate, durante il quale COGNOME si era astenuto da ogni attività delittuosa e dai rapporti con i presunti compartecipi; d) l’impossibilità di reiterare le condotte, ritenuta la sottoposizione dal giugno 2024 alla misura custodiale estrema dei soggetti ritenuti associati in posizione apicale; e) l’impossibilità di reiterare le c ondotte, attesa l’applicazione nei confronti del ricorrente di misura cautelare reale per un valore ben quattro volte superiore alle somme che avrebbe versato nel 2019. Risultava, quindi, illogica l’affermazione del Tribunale del riesame secondo cui non vi erano elementi da cui desumere il superamento delle esigenze cautelari; far rilevare gli incontri avuti nel 2021 con COGNOME NOME COGNOME soggetto totalmente estraneo all’indagine, e con COGNOME NOME, soggetto coindagato nei cui confronti era stata rigettata la richiesta di applicazione degli arresti domiciliari, era errato, in quanto gli stessi costituivano elementi del tutto neutri.
2. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
2.1. Si deve infatti ribadire che ‘i n tema di misure cautelari personali, la presunzione relativa di sussistenza delle esigenze di cautela sancita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. può essere superata, con riguardo ai delitti aggravati ai sensi dell’art. 416bis .1 cod. pen., a condizione che si dia conto dell’avvenuto apprezzamento di elementi, evidenziati dalla parte o direttamente enucleati dagli atti, significativi in tal senso, afferenti, in specie, alla tipologia del delitto in contestazione, alle concrete modalità del fatto e alla sua risalenza, non essendo sufficiente, a tal fine, il mero decorso del cd. “tempo silente”, posto che è escluso, in materia, qualsiasi automatismo valutativo ‘ (Sez. 2, n. 24553 del 22/03/2024, COGNOME, Rv. 286698).
Non vi è dubbio, infatti, che l’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. prevede una presunzione relativa di sussistenza delle esigenze cautelari, che può, tuttavia, essere superata in quanto il giudice, senza dover dar conto della ricorrenza dei
” pericula libertatis “, è comunque tenuto a valutare gli elementi astrattamente idonei a escludere tale presunzione, desunti dalla fattispecie di reato per il quale si procede, dalle concrete modalità del fatto e dalla risalenza dei fatti illeciti, non essendo consentito nel nostro ordinamento -come detto -un qualsivoglia automatismo valutativo (cfr., Sez. 5, n. 806 del 27/09/2023, dep. 2024, Rv. 285879-01); in altre parole, si tratta di motivare adeguatamente sull’esistenza delle esigenze cautelari laddove siano state evidenziate dalla parte o siano direttamente evincibili dagli atti delle ragioni per escluderle.
2.2. Nel caso di specie, l’ordinanza impugnata ha fornito sul punto una motivazione congrua e specifica, evidenziando la valenza neutrale (o, comunque ampiamente recessiva) del tempo trascorso, alla luce della negativa personalità del ricorrente, referente fiduciario della famiglia ‘ndranghetista dei COGNOME e con un legame consolidato con i capi della consorteria a dimostrazione di una notevole capacità criminale mai venuta meno né attenuatasi, spiegando anche perché misure diverse dalla custodia cautelare in carcere non fossero idonee a scongiurare il pericolo di reiterazione del reato (pagg. 17 e 18 dell’ordinanza impugnata).
Poiché dall’analisi della motivazione del provvedimento del Tribunale non si apprezzano carenze motivazionali censurabili in questa sede, il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché -ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità -al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di € 3.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 06/05/2025