Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 12105 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 12105 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/12/2024
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
– Relatore –
SENTENZA
Sui ricorsi proposti da:
NOME nato in MAROCCO il 10/06/1985
NOME COGNOME nato in MAROCCO l’ 01/01/1967
NOME nato in MAROCCO il 24/06/1975
NOME nato in MAROCCO l’ 01/01/1971
NOME COGNOME nato a AVEZZANO il 23/01/1980
D’apice NOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 21/04/1975
COGNOME NOME nato a AVEZZANO il 08/07/1984
avverso la sentenza del 16/11/2023 della Corte d’assise d’appello di L’aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità dei ricorsi. uditi i difensori:
l’avv. COGNOME conclude per tutte le parti rappresentate in qualità di sostituto processuale, depositando conclusioni e nota spese;
l’avv. COGNOME conclude riportandosi ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
l’avv. COGNOME riportandosi ai motivi di ricorso, insiste per l’accoglimento;
l’avv. COGNOME si riporta ai motivi di ricorso e ne chiede l’accoglimento;
l’avv. COGNOME COGNOME COGNOME e l’avv. NOME COGNOME insistono per l’accoglimento dei motivi di ricorso ai quali si riportano
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo la Corte di assise di appello di L’Aquila, per quanto qui d’interesse, ha confermato quella con la quale la Corte di Assise della stessa città, in data 16
novembre 2023, aveva ritenuto responsabili:
Driss COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME del reato di associazione per delinquere pluriaggravata finalizzata alla commissione di delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (capo H) e di quello di cui all’art. 12, comma 3 e 3bis let. a), e cbis) d.lgs. n. 286 del 1998, così diversamente qualificata l’originaria imputazione di cui al capo L);
gli stessi NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME del reato di cui all’art. 12, comma 3 e 3bis let. a) e cbis ), d.lgs. n. 286 del 1998, così diversamente qualificata l’originaria imputazione di cui al capo I);
NOME COGNOME e NOME COGNOME del reato di associazione per delinquere pluriaggravata finalizzata alla commissione di delitti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina (capo A) e del reato di cui all’art. 12, comma 3 e 3bis let. a) e c -bis ) , d.lgs. n. 286 del 1998, così diversamente qualificate le originarie imputazioni rispettivamente contestate ai capi B) e C).
1.1. Secondo il conforme accertamento dei giudici di merito il corposo materiale probatorio, costituito essenzialmente da attività d’intercettazione e dagli accertamenti scaturiti dalle conversazioni captate, dava contezza dell’esistenza di due organizzazioni criminali dedite al favoreggiamento illegale dell’immigrazione, aventi il medesimo modus operandi caratterizzato dall’attività di alcuni soggetti di nazionalità marocchina in accordo con imprenditori agricoli italiani che consentivano l’accesso di numerosissimi extracomunitari attraverso la fittizia attivazione della disciplina del cd. “decreto flussi”.
1.1.1. Quanto alla prima associazione, contestata al capo A), venivano in rilievo le figure dei fratelli COGNOME e NOME (non ricorrenti) che – in costante contatto con i connazionali funzionali al reclutamento degli immigrandi – fornivano, su richiesta degli interessati e dietro il versamento di cospicue somme di danaro, i visti per l’ingresso nel territorio italiano; ciò si Ł ritenuto che avvenisse con la stabile collaborazione degli imprenditori agricoli NOME COGNOME e NOME COGNOME i quali ponevano a disposizione le loro aziende per il raggiungimento dello scopo del sodalizio, avanzando richieste di lavoro stagionali nei confronti degli extracomunitari intenzionati a emigrare in Italia o che, già presenti sul territorio dello Stato, necessitavano del rinnovo del permesso di soggiorno.
Le sentenze di merito richiamavano, in particolare: i) la conversazione dell’8 dicembre 2009, nel corso della quale NOME affermava di aver versato del denaro ai datori di lavoro per l’ottenimento dei visti d’ingresso e per la stipulazione dei contratti; affermazione, questa, che era ritenuta indicativa del carattere illecito dell’operazione, essendo incongruo e non giustificabile in altro modo che gli imprenditori ricevessero da intermediari esteri, incaricati di far giungere in Italia dei lavoratori stagionali, somme di denaro quale corrispettivo per la stipulazione di un contratto di lavoro; ii) la conversazione del 26 novembre 2009, intercorsa tra NOME e sua moglie, nel corso della quale quest’ultima rimproverava al marito di svolgere attività illecita, manifestandogli la sua preoccupazione; iii) la conversazione del 28 aprile 2010, nel corso della quale NOME, parlando con un connazionale, indicava in 2.500,00 euro la quota-parte della somma percepita dai percepita migranti da versare ai datori di lavoro; iv) infine, la conversazione del 3 maggio 2010 in occasione della quale i due fratelli NOME, dialogando con altro connazionale, facevano riferimento a tale NOME, rimasto non identificato, allevatore di bestiame, al quale avrebbero versato come anticipo la somma di 3.000,00 euro per la disponibilità da questi prestata a presentare richieste fittizie di assunzione di extracomunitari.
Il coinvolgimento nel sodalizio degli imprenditori italiani COGNOME e COGNOME si riteneva provato sulla base del contenuto di una pluralità di conversazioni (tra le altre, quanto a COGNOME, la n. 2419 del 26 gennaio 2010 e la n. 2442 del 27 gennaio 2010, la n. 694 del 5 dicembre 2009; quanto a
COGNOME, la n. 701 del 29 aprile 2010 e quelle del 15 e 16 maggio 2020) in occasione delle quali NOME, discutendo dei contratti di lavoro, faceva i nomi di suoi connazionali immigrati per i quali le indagini hanno poi accertato che il relativo nulla osta e visto d’ingresso era stato chiesto e ottenuto proprio dai due imprenditori agricoli.
A riscontro dell’illiceità delle assunzioni, si osservava inoltre che solo un esiguo numero d’immigrati per i quali era stata attivata la procedura d’ingresso per ragioni di lavoro si erano presentati presso lo Sportello Unico immigrazione della prefettura di L’Aquila per la firma del contratto di soggiorno.
Era altresì valorizzata la circostanza che gli immigrati erano soliti indicare come residenza un indirizzo, risultato fittizio. Segnatamente, quello di INDIRIZZO in Avezzano indicato dai lavoratori assunti da Paris, era costituito da un’abitazione che, per dimensioni, non avrebbe potuto ospitare il numero di cittadini extracomunitari indicati nella richiesta di nullaosta; quello di INDIRIZZO in Celano, corrispondeva invece all’abitazione di residenza dello stesso COGNOME. Tale dato era posto in correlazione con l’ulteriore circostanza, emersa dalle investigazioni, che invece, nei pochi contratti non fittizi, sottoscritti tra i lavoratori extracomunitari e gli imprenditori, vi era l’indicazione di un indirizzo diverso ed effettivo.
Il Giudice di appello, respingeva la tesi difensiva secondo la quale le assunzioni sarebbero state realmente riconducibili a esigenze degli imprenditori al momento della richiesta e che la loro mancata assunzione era, invece, addebitabile al ritardo nell’istruttoria delle pratiche causato dal sisma che aveva colpito il territorio aquilano nell’aprile del 2009 e al conseguente venir meno dell’interesse all’assunzione nel numero originariamente richiesto. Osservava sul punto che gli imprenditori, ove non piø interessati, avrebbero potuto e dovuto rinunciare alla richiesta nominativa di nullaosta e che, comunque, risultava per tabulas che – una volta ottenuti tali nullaosta – erano stati gli stessi imprenditori a chiederne l’inoltro alle autorità consolari per dar seguito al rilascio dei visti d’ingresso.
Si riteneva, pertanto che la partecipazione degli imprenditori all’associazione per delinquere descritta al capo A) fosse pienamente consapevole, stabile e non occasionale, avuto altresì riguardo al guadagno economico condiviso con gli organizzatori.
A tale ultimo proposito, il Giudice di secondo grado poneva in risalto come il fine di profitto che aveva improntato l’intero sistema si cogliesse compiutamente dalle conversazioni intercettate (richiamate sinteticamente a p. 56 della sentenza di appello, ma riportate ampiamente in quella di primo grado) nelle quali vi erano frequenti riferimenti alle somme di danaro, versate ai fratelli NOME dagli immigrati, funzionali a rilascio del nullaosta. Che una parte dei soldi pretesi dagli extracomunitari fosse destinata a retribuire i datori di lavoro compiacenti si riteneva provato dal contenuto della conversazione n. 677 del 28 aprile 2010, intercorsa tra COGNOME e un connazionale, nella quale il primo – su esplicita domanda dell’interlocutore che chiedeva «il datore di lavoro quanto prende? Quanto anticipi?» – rispondeva «2500… la metà… lavoro con gente sicura»; e, ancora, dall’intercettazione n. 799 del 3 maggio 2010, nel corso della quale COGNOME faceva espresso riferimento alla somma di 3.000,00 euro dati a un imprenditore di Celano, aggiungendo la considerazione che «non c’Ł nessuno che lavora con te senza anticipo».
Era altresì avversata dal Giudice di appello l’obiezione difensiva in punto di mancato riscontro dell’incasso delle somme di denaro da parte degli imprenditori, evidenziandosi che la circostanza che i verbalizzanti avessero riferito di non aver svolto accertamenti a riguardo non escludeva che i pagamenti dagli organizzatori del sodalizio verso gli imprenditori vi fosse stato; a ciò era aggiunta la considerazione di ordine logico secondo cui non era ipotizzabile che gli imprenditori – il cui ruolo era imprescindibile per il buon fine dell’operazione – avessero accettato di esporsi a gravi conseguenze penali senza ricevere alcun tornaconto.
1.1.2. Quanto alla seconda associazione – contestata al capo H) e caratterizzata dal medesimo modus operandi di quella appena descritta – venivano in rilievo le figure dei fratelli COGNOME e NOME COGNOME quali organizzatori del sodalizio, coadiuvati da NOME COGNOME che si occupava del reclutamento degli aspiranti immigrati e delle pratiche concernenti i contratti di assunzione fittizia, e NOME COGNOME, dipendente ‘in nero’ presso la società di NOME COGNOME, operativo nei contatti con i richiedenti l’ingresso illegale nel territorio dello Stato.
Gli elementi a sostegno della ritenuta esistenza dell’associazione e del coinvolgimento dei ricorrenti erano sintetizzati nelle p. 58 e s., con ampia riproduzione, sia pure per sintesi, dei contenuti delle conversazioni ritenute di rilievo.
Per ciò che riguarda il coinvolgimento dell’imprenditore agricolo NOME COGNOME, l’illiceità delle richieste di nullaosta presentate con riferimento alla sua azienda agricola, ovvero quella facente capo al padre (essendo rimasta incontestata la ritenuta commistione tra dette imprese con riferimento alle assunzioni finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina) era, anche in questo caso, inferita dalla circostanza che, nelle richieste di nullaosta, la sistemazione alloggiativa era indicata dall’imprenditore in un indirizzo (INDIRIZZO in San Benedetto dei Marsi) coincidente con quello della sede della società, mentre con riferimento agli sparuti lavoratori per i quali il contratto di lavoro veniva effettivamente stipulato, per vero per brevissimi periodi, l’indirizzo era differente e non fittizio.
Erano, inoltre, valorizzate a carico di NOME COGNOME le chiare dichiarazioni rese da NOME COGNOME in relazione al fatto contestato al capo L), e di NOME COGNOME quanto al capo L bis ).
1.2. Nel confermare l’impianto motivazionale del Giudice di primo grado, la Corte di assise di appello chiariva, tuttavia, come – con riferimento a tutti i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – l’imputazione fosse stata formulata mediante l’erroneo riferimento al testo dell’articolo 12 d.lgs. n. 286 del 1998 in vigore dall’8 agosto 2009, così come risultante a seguito delle modifiche apportate dalla legge 15 luglio 2009 n. 94.
Era, invece, emerso con certezza che le richieste nominative formulate ai sensi degli artt. 22 e 24 del citato d. lgs. erano state trasmesse dagli imprenditori imputati nel presente processo in data antecedente all’8 agosto 2009 (prevalentemente nel mese di aprile 2009). L’imputazione avrebbe dovuto, quindi, essere elevata con riferimento al testo dell’articolo 12 d. lgs n. 286 del 1998 nella formulazione antecedente alla novella del 2009 e, per l’effetto, la Corte di secondo grado riqualificava i fatti di cui ai capi B), C), I) ed L) a norma dell’articolo 12, comma 3 e comma 3bis lett. a) e cbis , del citato d. lgs., dovendosi tenere conto, delle aggravanti del fine di profitto, della commissione del fatto per favorire l’ingresso o la permanenza di cinque o piø persone e da parte di tre o piø persone in concorso.
Quanto, in particolare, all’aggravante del fine di profitto, il Giudice di appello osservava che, sebbene la stessa non fosse formalmente indicata in ciascuno degli indicati capi d’imputazione inerenti al favoreggiamento dell’immigrazione, la sua contestazione si ricavava chiaramente da quanto indicato nei capi riguardanti l’associazione, della quale i singoli favoreggiamenti dell’immigrazione costituivano reati-fine.
1.3. Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale riteneva gli imputati meritevoli delle circostanze attenuanti generiche e rimodulava la pena in funzione del riconoscimento di detto beneficio, oltre che delle intervenute pronunzie di assoluzione ovvero prescrizione per alcuni reati originariamente contestati.
Avverso la sentenza in preambolo, ricorrono per cassazione NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME con unico atto e con il ministero del comune difensore di
fiducia avv. NOME COGNOME deducendo due articolati motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce la nullità della sentenza per violazione degli artt. 552, comma 2, e 597 cod. proc. pen. per avere erroneamente ritenuto, con riferimento al reato di cui all’articolo 12 d.lgs. n. 286 del 1998, la circostanza aggravante del fine di profitto prevista dal comma 3 della menzionata disposizione.
Osserva la difesa come tale circostanza non sia contestata nell’imputazione nØ formalmente, nØ in fatto e che sulla sua configurabilità non si era neppure espresso il giudice di primo grado. L’argomentazione con la quale la Corte di appello l’ha, invece, ritenuta esistente – ossia la possibilità di una lettura congiunta dei capi d’imputazione che si riferiscono al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina con quello dell’associazione finalizzata alla loro realizzazione sarebbe errata, ponendosi in stridente contrasto con l’insegnamento delle Sezioni Unite Sorge del 2019.
In ogni caso, il ricorrente pone in rilievo che gli esiti delle indagini non avrebbero riscontrato alcun dato materiale a conforto dell’avvenuto pagamento di somme di denaro. Conclude, pertanto, che la contestazione dell’aggravante era stata operata per la prima volta con la sentenza della Corte di assise di appello e, dunque, in violazione dell’articolo 522 cod. proc. pen.
2.2. Con il secondo motivo i ricorrenti lamentano la mancanza di motivazione e comunque la sua illogicità e contraddittorietà in punto di affermazione di responsabilità per i reati di cui ai capi H), I) e L).
Si eccepisce, inoltre, l’erronea applicazione dell’articolo 157 cod. pen. per avere la Corte di assise di appello omesso la doverosa declaratoria di estinzione del reato di associazione per delinquere contestata al capo H).
Sotto il primo profilo Ł avversata la ritenuta sussistenza del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, poichØ l’ingresso in Italia degli extracomunitari era avvenuto nel rispetto della procedura prevista dagli articoli 22 e 24 del d. lgs n. 286 del 1998.
Come esattamente chiarito nel provvedimento del Tribunale del riesame (che aveva annullato la misura nei riguardi dei due fratelli COGNOME), non vi sarebbe prova di un accordo illecito nella fase della richiesta dei nullaosta e, cioŁ, nella fase precedente all’ingresso dei clandestini, nØ vi sarebbe la prova che le aziende agricole cui si rivolgevano per l’assunzione fossero ‘aziende fantasma”, prive di reddito e di terreni. L’azienda di COGNOME‘Apice era realmente esistente e aveva avuto concreta necessità di manodopera, che era poi risultata eccedente rispetto alle assunzioni effettive a causa del ritardo da parte della Prefettura nel gestire le relative pratiche e dei problemi legati al sisma del 2009.
Si contesta il ragionamento con cui i Giudici di appello sono pervenuti alla dimostrazione della natura di fittizia delle richieste di nullaosta, ritenendo errata l’impostazione della sentenza di secondo grado che – una volta ritenuta sussistente l’associazione di cui al capo H) – ne ha fatto discendere, con un ingiustificato automatismo, che tutte le richieste di assunzione fossero finalizzate a favorire l’immigrazione clandestina.
La sentenza impugnata avrebbe dovuto dimostrare con riferimento al capo L) che ciascuna delle richieste presentate era finalizzata eludere la legge, osservandosi – in senso contrario a tale assunto – che delle settanta domande presentate nel 2009, solo quarantadue erano state rilasciate, che ventotto facevano riferimento a cittadini pakistani per i quali Ł stata pronunciata sentenza di assoluzione, mentre tredici dipendenti risultavano aver stipulato un contratto di soggiorno.
Quanto al reato associativo, sarebbe mancato un confronto approfondito con le doglianze difensive che, già in sede di appello, avevano lamentato come nessun passaggio della sentenza di primo grado chiariva quale fosse la struttura organizzativa dell’associazione, il ruolo ovvero i compiti
assegnati a ciascuno dei presunti sodali, sicchØ i fatti avrebbero potuto inquadrarsi nella diversa ipotesi del concorso di piø persone.
Si censura il difetto di prova di effettivi flussi di denaro in ingresso in Italia a conforto delle transazioni indicate nelle conversazioni intercettate e si pone in dubbio la prova della corrispondenza dei nomi attribuiti nei brogliacci di polizia giudiziaria agli interlocutori nelle conversazioni captate, lamentando che sarebbe una mera presunzione degli inquirenti che le telefonate fossero riconducibili ai ricorrenti.
Nell’ultima parte del secondo motivo la difesa eccepisce la prescrizione, prima della pronuncia della sentenza di appello, del reato di cui al capo H), avendo la Corte di assise di appello erroneamente ritenuto sussistente l’aggravante di cui all’art. 416, sesto comma, cod. pen. che ha ricompreso l’art. 12 comma 3bis , d.lgs. n. 286 del 1998 soltanto con la piø volte citata novella del 2009.
Propone altresì ricorso NOME COGNOME per mezzo del difensore di fiducia avvocato NOME COGNOME e, deduce quattro motivi di ricorso.
3.1. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen. in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante del fine di profitto in riferimento al reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
Il motivo articola argomentazioni sostanzialmente sovrapponibili a quelle già descritte nel primo motivo di ricorso di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME lamentandosi l’erroneità del ragionamento con il quale la Corte di assise di appello ritiene contestata l’aggravante de qua , recuperando la contestazione del reato associativo.
3.2. Con il secondo motivo denuncia la violazione dell’articolo 157 del codice di procedura penale riguardo al reato associativo contestato al capo A).
Anche detto motivo svolge articolate argomentazioni coincidenti con quelle illustrate – sebbene per il diverso sodalizio di cui al capo H) – nella sintesi del secondo motivo dei ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME
3.3. Il terzo motivo si appunta sulla violazione dell’art. 416 cod. pen.
Con censure in diritto analoghe a quelle contenute nel secondo motivo del ricorso dei coimputati NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME sebbene per costoro venga in rilievo il diverso sodalizio di cui al capo H) – il ricorrente si duole della mancata disamina degli elementi che provano l’esistenza di una associazione criminale sub A), ben potendo configurarsi un’ipotesi di concorso di piø persone nel reato, oltre che la partecipazione al sodalizio di Paris.
3.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 606, lett. e) cod. proc. pen. in relazione all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. e la conseguente contraddittorietà e illogicità della motivazione riguardo all’accertamento dell’illecito profitto asseritamente conseguito dall’imputato a seguito delle condotte contestate.
Le conversazioni, intercorse tra gli extracomunitari e imputati, sono state ritenute sintomatiche della presenza di un risultato economico conseguito dal sodalizio, ma i Giudici di merito non avrebbero proceduto alla necessaria analisi delle posizioni dei singoli imputati, sicchØ la ritenuta percezione da parte di Paris di tali denari Ł inferita congetturalmente e sostenuta da un’argomentazione meramente fondata sulla logica.
Ricorre per cassazione anche NOME COGNOME con unico atto, per mezzo dei difensori avv. NOME COGNOME e avv. NOME COGNOME e deduce quattro motivi.
4.1. Il primo, con il quale Ł eccepita la nullità della sentenza per erronea applicazione degli artt.
416 cod. pen. e 12, commi 3 e 3bis d.lgs. n. 286 del 1998, nonchØ contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione in punto di affermata responsabilità dell’imputato per tutti i reati per cui vi Ł condanna.
Ritiene il ricorrente che la sentenza impugnata non avrebbe adeguatamente vagliato le obiezioni e argomentazioni difensive prospettate nel giudizio di appello.
Con doglianze analoghe a quelle già sunteggiate nei precedenti ricorsi, il ricorrente evidenzia il vizio di fondo su cui riposerebbe la sentenza di secondo grado, secondo cui – una volta ritenuta provata l’esistenza dell’associazione sub H) – erroneamente suppone che tutte le richieste presentate dagli imprenditori sarebbero univocamente finalizzate a favorire l’immigrazione clandestina.
Il ricorrente, in occasione dell’appello, aveva avversato ognuno degli elementi che erano stati ritenuti sintomatici della fittizietà delle assunzioni (il numero di richieste presentate nel 2009, l’omessa revoca delle richieste nominative per i lavoratori non piø necessari, la natura fittizia degli alloggi, il tempo limitato delle assunzioni, le testimonianze rese da alcune persone offese); elementi del tutto negletti dal Giudice di secondo grado.
Altrettanto assertiva sarebbe la motivazione posta a fondamento del conseguimento del profitto conseguito dal ricorrente dalla condotta illecita.
4.2. Con il secondo motivo si lamenta la violazione degli artt. 522 e 597 cod. proc. pen. in punto di ritenuta sussistenza della circostanza aggravante dell'”ingiusto profitto”.
Il motivo – comune ai coimputati – svolge ampia critica alla motivazione della sentenza di appello nella parte in cui ritiene di poter recuperare la contestazione dell’aggravante del fine di profitto per il reato di favoreggiamento da quanto descritto nell’imputazione concernente il reato associativo, ponendo in risalto il contrasto di tale assunto con i principi espressi da Sez. U Sorge del 2019.
4.3. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’articolo 416 e il correlato vizio di motivazione in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416, sesto comma, cod. pen.
Il ragionamento svolto dal ricorrente Ł sostanzialmente sovrapponibile a quello sintetizzato nell’ultima parte del ricorso di NOME COGNOME, COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, cui si rinvia.
4.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione di legge e vizio di motivazione in punto di determinazione dell’ammontare della multa irrogata al ricorrente, rispetto al quale la sentenza sarebbe comunque incorsa in un errore materiale.
Avverte il ricorrente che la pena pecuniaria irrogata all’imputato, pari a 665.000,00 euro, Ł stata indicata in modo generico, mentre avrebbe dovuto essere calcolata, così come indicato nella formulazione della norma vigente all’epoca della commissione del fatto, in 15.000,00 euro per ogni soggetto di cui si Ł favorita l’immigrazione. PoichØ, però, i Giudici di merito hanno rinunciato a stabilire con precisione l’identità e il numero degli immigrati clandestini, ciò si sarebbe riverberato sull’illegittimità della determinazione della multa che appare, infatti, sproporzionata.
In ogni caso, poichØ nella motivazione della sentenza la pena pecuniaria Ł stata parametrata in aumento di soli 5.000,00 euro su quella di 180.000,00 euro di multa prevista per il reato di cui al capo L), ritenuto piø grave, la pena finale avrebbe dovuto essere quella di 185.000,00 euro di multa e non quella di 665.000,00 euro di multa, invece indicata nel dispositivo.
Ricorre, infine, NOME COGNOME con il ministero dell’avv. NOME COGNOME e deduce cinque motivi.
5.1. Con il primo denuncia la violazione degli articoli 521 e 522 cod. proc. pen. in punto di
ritenuta applicazione dell’aggravante del fine di profitto, mai formalmente contestata.
Il motivo svolge considerazioni in diritto analoghe a quelle già svolte con il primo motivo dei ricorsi di NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOMENOME COGNOME cui può rinviarsi.
5.2. Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del 416 cod. pen. in punto di ritenuta esistenza del sodalizio e, comunque, della partecipazione di COGNOME allo stesso.
La sentenza impugnata avrebbe omesso di porre in evidenza gli elementi sintomatici del vincolo associativo, quale accordo permanente o, comunque, stabile, l’indeterminatezza del programma criminoso, infine l’esistenza di una struttura organizzativa sia pur minima ma idonea realizzare gli obiettivi presi di mira. Avrebbe poi mancato nell’indicazione di quelli univocamente dimostrativi della partecipazione di COGNOME all’associazione, senza limitarsi a dare il risalto alla sola commessione del reato fine.
5.3. Con il terzo motivo denuncia il travisamento della prova per omissione.
Il ricorrente sarebbe stato ritenuto responsabile dei reati contestati nonostante l’evidenza della prova contraria, decisiva e incontrovertibile, rappresentata dalle dichiarazioni dei testi COGNOME, COGNOME e COGNOME nonchØ dal provvedimento di perquisizione emesso dal pubblico ministero e dai suoi esiti: i) il maresciallo COGNOME aveva, infatti, escluso che gli imprenditori avessero intascato prebende, assumendo che i soldi erano incassati in Marocco e li rimanevano, nelle mani degli intermediari, perlopiø parenti degli stranieri imputati che operavano in Italia; ii) il maresciallo COGNOME aveva riferito, a precisa domanda della difesa, in punto di ritardi nel rilascio del nullaosta a seguito del terremoto; iii) infine gli accertamenti svolti sugli indirizzi ritenuti fittizi, trascuravano il fatto che le perquisizioni in quei luoghi furono svolte in epoca notevolmente successiva al periodo in contestazione 2009 e, segnatamente, nel maggio del 2012; sicchØ era scontato che le abitazioni potessero non essere piø occupate dagli extracomunitari per i quali era stato richiesto il nullaosta d’ingresso nel territorio dello Stato italiano per di piø per un lavoro stagionale.
La sentenza impugnata avrebbe altresì trascurato di considerare che l’evento tellurico del 2009 causò un notevolissimo ritardo nel rilascio dei nullaosta, sicchØ doveva ritenersi che molti extracomunitari, una volta fatto ingresso nel territorio italiano, anzichØ recarsi presso il datore di lavoro (ignaro del loro ingresso), si erano dati alla latitanza.
5.4. Con il quarto motivo si denuncia la violazione dell’art. 606 let. e) in relazione all’art. 192, comma 2, cod. proc. pen., per essere la motivazione contraddittoria e manifestamente illogica in punto di ritenuto conseguimento del profitto illecito conseguito da parte dell’imputato.
Le ragioni a fondamento della richiesta di annullamento sono articolate secondo prospettazioni analoghe a quelle del quarto motivo di ricorso di Paris, alla cui sintesi si rinvia.
5.5. Il quinto motivo denuncia la violazione dell’articolo 157 con riferimento al rigetto dell’eccezione di prescrizione del reato di cui all’art. 416, erroneamente ritenuto aggravato dal sesto comma di detta norma.
Il motivo svolge deduzioni analoghe a quelle indicate nel secondo motivo di ricorso del coimputato COGNOME e di NOME COGNOME NOMECOGNOMENOME COGNOME sebbene questi ultimi interessati alla diversa associazione contestata al capo H).
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto la declaratoria d’inammissibilità di tutti i ricorsi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi di ricorso con cui NOME COGNOME e NOME COGNOME quanto al capo A) e NOME
COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME, quanto al capo H) hanno eccepito la prescrizione del reato di partecipazione all’associazione per delinquere rispettivamente ascritto sono fondati per le ragioni che s’indicheranno di seguito, dovendosi, per il resto, rigettare i rispettivi ricorsi.
I ricorsi di COGNOME e NOME COGNOME che deducono censure in parte inammissibili e in parte infondate, vanno complessivamente rigettati.
Occorre, innanzitutto, premettere alcune osservazioni sul metodo di analisi della sentenza impugnata.
2.1. Tale sentenza va, infatti, considerata, unitamente alla decisione di primo grado, come una “doppia conforme”, cosicchØ ai fini del controllo di legittimità sul vizio di motivazione, le due sentenze possono essere lette congiuntamente costituendo un unico complessivo corpo argomentativo. Secondo un principio ormai consolidato nella giurisprudenza di legittimità, ricorre la cd. “doppia conforme” quando, come nel caso in esame, i giudici dell’appello, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione (Sez. 2, n. 37295 del 12/6/2019, E., Rv. 277218; Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, COGNOME, Rv. 257595).
¨ appena il caso di ricordare che, nella motivazione della sentenza, il giudice del gravame di merito non Ł tenuto a compiere un’analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo, invece, sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che, in tal caso, devono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr., Sez. 6, n. 49970 del 19/10/2012, COGNOME, Rv. 254107).
2.2. Alla luce di tali coordinate – come piø dettagliatamente si vedrà appresso, in occasione dello scrutinio dei singoli motivi di ricorso – sono da ritenersi manifestamente infondate le censure comuni a tutti i ricorsi che, con varietà di accenti, hanno a oggetto la violazione degli artt. 416bis cod. Pen. e 12 d. lgs n. 286 del 1998 e il correlato vizio di motivazione, poichØ sostanzialmente orientate a riprodurre un quadro di argomentazioni già esposte nel giudizio di merito, ivi ampiamente vagliate e correttamente disattese dal Giudice di appello, ovvero a sollecitare una rivisitazione meramente fattuale delle risultanze processuali, sul presupposto di una valutazione alternativa delle fonti di prova, richiedendo l’esercizio di uno scrutinio improponibile in questa sede, a fronte della linearità e della logica consequenzialità che caratterizzano la scansione delle sequenze motivazionali dell’impugnata decisione.
Con riferimento ai suindicati profili, dunque, i ricorsi non sono volti a rilevare mancanze argomentative, erronee applicazioni di norme o illogicità ictu oculi percepibili, bensì a ottenere un non consentito sindacato sulla congruità di scelte valutative compiutamente giustificate dal giudice, che ha adeguatamente ricostruito il compendio storico-fattuale posto a fondamento del tema d’accusa.
Passando, ora, all’esame dei ricorsi proposti dagli imputati sulla base delle richiamate coordinate, occorre prendere le mosse dalle doglianze comuni e, tra queste, quelle sollevate secondo prospettazioni in gran parte sovrapponibili – in punto di ritenuta sussistenza da parte dei Giudici di merito di ciascuna delle due associazioni finalizzate al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina.
3.1. Si tratta del secondo motivo dell’unico atto di ricorso di NOME COGNOME Bouzekri Aaris,
NOME COGNOME NOME COGNOME e del primo motivo di ricorsi di COGNOME quanto al sodalizio di cui al capo H) e del secondo motivo dei ricorsi di COGNOME e COGNOME quanto all’associazione contestata sub A).
Detti motivi sono inammissibili, poichØ del tutto privi della necessaria specificità.
In tal senso deve rilevarsi come, a fronte della completa ed esaustiva ricostruzione, in punto di fatto, compiuta dal giudice di primo grado, la Corte di appello – come si Ł esposto nella premessa della presente sentenza – non si sia limitata a una mera trasposizione dei medesimi argomenti, bensì abbia proceduto a un articolato raffronto tra la detta motivazione e le doglianze specificamente sollevate dai singoli imputati, superandole attraverso argomentazioni talora sintetiche, ma senz’altro esaustive, siccome ancorate alle risultanze di prova, e logicamente stringenti, che dunque non presentano i vizi lamentati nei ricorsi.
E, difatti, la Corte territoriale – nelle p. da 51 e ss. quanto al sodalizio sub A) e nelle p. da 58 e ss. per quello sub H) – ha mostrato di fare propri gli elementi valorizzati dal primo giudice per ritenere sussistente la societas RAGIONE_SOCIALE rispetto alla semplice ipotesi di concorso nel reato (si vedano, della sentenza di primo grado, p. 15 per il capo A) e p. 18 per il capo H), non mancando di evidenziare, con motivazione autonoma, gli elementi obiettivi sulla scorta dei quali ha inferito la prova di una programmazione indefinita di delitti, sia pure concernenti lo stesso tipo di illecito, insieme ad una rudimentale, ma sufficiente organizzazione, con specifica ripartizione di ruoli e dei relativi illeciti guadagni.
A tale ultimo proposito, diversamente da quanto lamentato dai ricorrenti, sulla base delle conversazioni captate, ha ritenuto corretta l’individuazione delle specifiche attribuzioni dei compartecipi e, quanto alle figure degli imprenditori agricoli, ne ha evidenziato l’incondizionata messa a disposizione del sodalizio, stabile e attiva, delle energie criminali, elemento fondante la condotta di partecipazione, che la distingue dal semplice concorso di piø persone nel reato.
Di nessun rilievo, sotto tale profilo, sono le censure con le quali i ricorrenti imprenditori agricoli hanno lamentato l’avvenuta dimostrazione della loro partecipazione all’associazione sulla scorta della realizzazione dei reati-fine.
Ciò in quanto, com’Ł noto, in tema di associazione per delinquere la ripetuta commissione, in concorso con altri partecipi, di reati-fine integra l’esistenza di indizi gravi, precisi e concordanti in ordine alla partecipazione al reato associativo, suscettibili di essere superati solo con la prova contraria dell’assenza di un vincolo preesistente con i correi, fermo restando che, stante la natura permanente del reato associativo, detta prova non può consistere nella limitata durata dei rapporti con costoro. A ciò si aggiunga che l’appartenenza di un soggetto a un sodalizio criminale può essere ritenuta perfino in base alla partecipazione a un solo reato-fine, laddove il ruolo svolto e le modalità dell’azione siano tali da evidenziare la sussistenza del vincolo, condizione che può verificarsi solo quando tale ruolo non avrebbe potuto essere affidato a soggetti estranei, oppure quando l’autore del singolo reato impieghi mezzi e sistemi propri del sodalizio in modo da evidenziare la sua possibilità di utilizzarli autonomamente, come membro e non già come persona alla quale il gruppo li ha posti occasionalmente a disposizione (Sez.1, n. 29093 del 24/05/2022, COGNOME, Rv. 283311 – 01; Sez.5 n. 6446 del 22/12/2014, dep. 2015, COGNOME, Rv. 262662).
La Corte territoriale si Ł fatta altresì carico di valutare le obiezioni difensive in punto di corretta individuazione degli interlocutori nelle conversazioni nell’associazione sub H) (si veda p. 58 della sentenza impugnata) e tali obiezioni sono state identicamente e a-specificamente riprodotte nei ricorsi per cassazione.
Analoghe considerazioni valgono per le censure dei ricorrenti secondo le quali la spiegazione dell’assunzione di un numero inferiore di lavoratori extracomunitari sarebbe da ricollegarsi al sisma, che la Corte di assise di appello ha superato con la motivazione, anch’essa indicata in premessa,
scevra da fratture razionali.
Conclusivamente sul punto dell’esistenza dei sodalizi sub A) e H) e sulla intraneità degli imputati, i ricorsi – lungi dal confrontarsi con la esistente, congrua e logicamente coerente motivazione del Giudice di secondo grado – si sono limitati a lamentare l’assenza dei requisiti richiesti dalla giurisprudenza di legittimità – necessaria predisposizione di un’organizzazione strutturale, sia pure minima, di uomini e mezzi funzionale alla realizzazione di una serie indeterminata di delitti con la consapevolezza dei singoli associati di farne parte per l’attuazione del programma criminale comune – senza però indicare le ragioni di fatto o di diritto per cui non si condivide la valutazione effettuata nella sentenza impugnata di cui, invece, si rileva la motivazione specifica e congrua rispetto agli elementi costitutivi della fattispecie ora richiamati.
3.2. Quanto, poi, alla specifica doglianza di cui terzo motivo del ricorso di COGNOME, la stessa Ł priva di pregio.
Secondo la tesi agitata nel ricorso, egli sarebbe stato ritenuto responsabile dei reati contestati nonostante l’evidenza della prova contraria, decisiva e incontrovertibile, rappresentata dalle dichiarazioni dei testi COGNOME COGNOME e COGNOME nonchØ dal provvedimento di perquisizione emesso dal pubblico ministero e dai suoi esiti, prova che sarebbe stata travisata dai Giudici di merito.
Di contro, ritiene il Collegio che non si sia realizzato alcun lamentato travisamento, configurabile – lo si ricorda – quando s’introduce nella motivazione della sentenza un’informazione rilevante che non esiste nel processo ovvero quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia.
Nel caso di specie, per un verso, secondo il tenore testuale delle dichiarazioni del maresciallo COGNOME riportate a p. 14 e s. dello stesso atto di ricorso, questi non ha escluso che gli imprenditori avessero intascato prebende, ma ha dichiarato che gli accertamenti investigativi avevano consentito accertare il sicuro pagamento nelle mani degli intermediari allocati in Marocco, laddove non erano stati svolti accertamenti sull’eventuale invio di questi soldi in Italia. Per altro verso, a superamento del pedissequo motivo di appello, la Corte di secondo grado (p. 57 della sentenza) ha posto a fondamento dell’affermazione sulla natura lucrosa dell’intera operazione, non tanto le dichiarazioni del citato teste, quanto le evidenze inferite dalla prova tecnica, puntualmente richiamate nella motivazione e indicate in premessa nella presente sentenza, oltre alla considerazione – non manifestamente illogica – che agli imprenditori agricoli spettasse plausibilmente una remunerazione per l’imprescindibile contributo fornito all’associazione, soggiungendo che, altrettanto verosimilmente, la stessa fosse loro pervenuta attraverso canali diversi da quelli bancari e, comunque, non tracciabili.
Quanto alle dichiarazioni del maresciallo COGNOME che ha riferito – tra l’altro – sugli effettivi ritardi nel rilascio del nullaosta causati dal sisma, si Ł già chiarito che il Giudice di secondo grado ha ben spiegato le ragioni per le quali la circostanza non andava a incidere sulla complessiva ricostruzione in termini di illiceità delle assunzioni oggetto d’imputazione.
Come si vede, contrariamente a quanto si legge nel ricorso, ciascuna delle informazioni derivanti dalle prove dichiarative di COGNOME e COGNOME Ł stata correttamente riprodotta e utilizzata dal Giudice di appello secondo quanto emergente dal tenore delle dichiarazioni di ciascuno, così da potersi escludere il lamentato vizio.
E, infatti, in tema di motivi di ricorso per cassazione, il vizio di “contraddittorietà processuale” (o “travisamento della prova”) vede circoscritta la cognizione del giudice di legittimità alla verifica dell’esatta trasposizione nel ragionamento del giudice di merito del dato probatorio, rilevante e decisivo, per evidenziarne l’eventuale, incontrovertibile e pacifica distorsione, in termini quasi di “fotografia”, neutra e a-valutativa, del “significante”, ma non del “significato”, atteso il persistente
divieto di rilettura e di re-interpretazione nel merito dell’elemento di prova (Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME Silva COGNOME, Rv. 283370 – 01).
Le censure riguardanti la ribadita affermazione di responsabilità degli imputati per i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina a ciascuno ascritti – ovverosia i capi B) e C) riguardanti l’associazione sub A) e i capi I) e L) concernenti quella sub H) – sono infondati.
Si tratta del secondo motivo dell’unico atto di ricorso di Motahhir, COGNOME ed NOME COGNOME e del primo motivo del ricorso di COGNOME.
4.1. Le sentenze di merito – con motivazione adeguata che si Ł in sintesi richiamata in premessa, saldamente ancorata alle risultanze investigative e priva di fratture logiche – hanno chiarito le ragioni per le quali hanno ritenuto le richieste di assunzione fittizie, a tal fine valorizzando le seguenti incontrovertibili circostanze di fatto: i) la sproporzione tra il numero di richieste presentate nel 2009 e l’esiguo numero di assunzioni; ii) l’omessa revoca delle richieste nominative per i lavoratori non piø necessari; iii) la natura fittizia degli alloggi, iv) il tempo limitato delle sparute assunzioni; v) infine, quanto al sodalizio sub H), le testimonianze rese da alcune persone offese.
Tali evidenze non sono state utilmente contrastate dai ricorrenti che si sono, infatti, limitati a una critica a-specifica della motivazione della sentenza e alla prospettazione di una lettura alternativa delle conversazioni captate e di una differente ricostruzione dei fatti non consentita in questa sede.
4.2.Neppure colgono nel segno le critiche mosse da tutti i ricorrenti alla motivazione con la quale il Giudice di secondo grado, nel riqualificare i fatti di cui ai capi B), C), I) ed L) a norma dell’articolo 12, comma 3 e comma 3 -bis lett. a) e cbis , del d. lgs. n. 286 del 1998, ha ritenuto sussistente – oltre alle aggravanti della commissione del fatto per favorire l’ingresso o la permanenza di cinque o piø persone e da parte di tre o piø persone in concorso – anche quella del fine di profitto.
Segnatamente, il Giudice di appello ha osservato sul punto che, sebbene detta aggravante non fosse formalmente indicata in ciascuno degli indicati capi d’imputazione B), C), I) ed L) ( ndr l’imputazione, avrebbe, invero dovuto contenere l’indicazione del comma 3ter della nuova disciplina), la sua contestazione poteva ricavarsi agevolmente dall’imputazione riguardante ciascuna delle associazioni, di cui i singoli reati di favoreggiamento costituivano reati-fine.
Tale impostazione, ad avviso delle difese, contrasterebbe con l’insegnamento delle Sez. U., n. 24906 del 18/04/2019, Sorge, Rv. 275436.
4.2.1. La tesi non Ł condivisa dal Collegio.
¨ ben vero che tale arresto – pur riguardando la specifica fattispecie dell’art. 476 cod. pen. e l’aggravante della natura fidefaciente dell’atto – pone stringenti coordinate in diritto valevoli, in generale, per la contestazione delle aggravanti.
Per quanto qui d’interesse, in Sezioni Unite Sorge – muovendo dalla necessità, imposta dall’art. 417, lett. b), cod. proc. pen., che la richiesta di rinvio a giudizio contenga «l’enunciazione in forma chiara e precisa» non solo del fatto, ma anche delle circostanze aggravanti (previsione ribadita negli stessi termini dall’art. 429, comma 1, lett. b), per il decreto dispositivo del giudizio, a sua volta richiamato dall’art. 450, comma 3, per la citazione a giudizio direttissimo dell’imputato libero e dall’art. 456, comma 1, per il decreto dispositivo del giudizio immediato, infine dall’art. 552, comma 1, lett. c), cod. proc. pen. con riguardo al contenuto del decreto di citazione diretta a giudizio dinanzi al tribunale in composizione monocratica – si rileva come tale enunciazione assuma il rilievo di una componente essenziale e indefettibile della contestazione dell’accusa, in conformità alla previsione dell’art. 6, comma 3, lett. a) CEDU per la quale «ogni accusato ha diritto soprattutto ad essere
informato, nel piø breve tempo possibile, in una lingua a lui comprensibile e in modo dettagliato, della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico»; ove il riferimento alla informazione dettagliata sulla natura dell’accusa non può che comprendere le circostanze aggravanti nella loro incidenza sull’entità del fatto contestato e sulle conseguenze sanzionatorie che ne derivano.
SicchØ – si chiarisce nella cennata sentenza – la contestazione in fatto delle circostanze aggravanti in tanto Ł consentita, in quanto l’imputazione riporti in maniera sufficientemente chiara e precisa gli elementi di fatto che integrano la fattispecie circostanziale, permettendo all’imputato di averne piena cognizione e di espletare adeguatamente la propria difesa sugli stessi. La precisazione degli elementi fattuali costitutivi dell’aggravante può dirsi, dunque, indiscutibilmente riconosciuta quale condizione perchØ la contestazione in questa forma possa essere ritenuta valida, pure in una prospettiva sostanzialistica fondata, come le stesse Sezioni Unite hanno avuto modo di affermare con riguardo alla correlazione fra l’accusa e la decisione, sulla concreta possibilità per l’imputato di difendersi sull’oggetto dell’addebito (Sez. U, n. 36551 del 15/07/2010, COGNOME, Rv. 248051).
Corollario di tali considerazioni Ł che l’ammissibilità della contestazione in fatto delle circostanze aggravanti debba essere verificata rispetto alle caratteristiche delle singole fattispecie circostanziali e, in particolare, alla natura degli elementi costitutivi delle stesse. SicchØ – precisano ancora le Sezioni Unite Sorge – se l’elemento che integra la circostanza aggravante Ł meramente descrittivo, in quanto si struttura in semplici comportamenti descritti nella loro materialità, ovvero riferiti a mezzi o oggetti determinati nelle loro caratteristiche oggettive, l’indicazione di tali fatti materiali Ł idonea a riportare nell’imputazione la fattispecie aggravatrice in tutti i suoi elementi costitutivi, rendendo possibile l’adeguato esercizio dei diritti di difesa dell’imputato. Ove, invece, in luogo dei fatti materiali o in aggiunta agli stessi, la previsione normativa includa componenti valutative (risultandone di conseguenza che le modalità della condotta integrano l’ipotesi aggravata ove alle stesse siano attribuibili particolari connotazioni qualitative o quantitative), Ł necessario che il risultato di questa valutazione sia esplicitato nell’imputazione, poichØ diversamente la contestazione risulterà priva di una compiuta indicazione degli elementi costitutivi della fattispecie circostanziale, non potendosi esigersi dall’imputato, pur se assistito da una difesa tecnica, l’individuazione dell’esito qualificativo che connota l’ipotesi aggravata in base a un autonomo compimento del percorso valutativo dell’autorità giudiziaria sulla base dei dati di fatto contestati, trattandosi per l’appunto di una valutazione potenzialmente destinata a condurre a conclusioni diverse. La necessità dell’enunciazione in forma chiara e precisa del contenuto dell’imputazione, prevista dalla legge processuale, impone che la scelta operata dalla Pubblica accusa fra tali possibili conclusioni sia portata a conoscenza della difesa, non potendosi pertanto ravvisare una valida contestazione della circostanza aggravante nella mera prospettazione in fatto degli elementi materiali della relativa fattispecie.
4.2.2. Posta questa condivisa premessa, in disparte ogni considerazione sulla natura valutativa o no dell’aggravante del fine di profitto, ciò che rileva nel caso che ci occupa Ł l’avvenuta indicazione di tutti gli elementi della fattispecie circostanziale controversa.
Tanto risulta dall’esame delle imputazioni di ciascun reato associativo, contestati sub A) e H) che testualmente fanno riferimento al «delitto previsto e punito dall’art. 416, commi 1, 3, 5 e 6 cod. pen. perchØ promuovevano, costituivano, organizzavano, dirigevano un’associazione per delinquere finalizzata alla consumazione di una serie indeterminata di reati di cui all’art. 12, comma 3 d.lgs. n. 286 del 1998 e suss. modifica in grado di soddisfare – previo pagamento di ingenti somme di denaro come corrispettivo per le illecite prestazioni fornite – le richieste di ingresso nel territorio dello Stato provenienti da cittadini marocchini sia come lavoratori subordinati, sia per i rinnovi dei permessi di soggiorno, secondo un tariffario prestabilito, …» – e dei correlati capi d’imputazione riguardanti i reati-fine di favoreggiamento dell’immigrazione, ponendo in rilievo il fatto che le imputazioni sono
state strutturate dalla Pubblica accusa in modo che la loro lettura sia necessariamente congiunta, in esito alla quale la finalità di profitto Ł adeguatamente descritta.
Ciò che rileva Ł, dunque, la lettura unitaria dei due distinti capi d’imputazione (quello associativo e quello di favoreggiamento dell’immigrazione), dalla quale emerge – oggettivamente e con evidenza – il dato circostanziale; il tutto in piena aderenza con l’esigenza di una contestazione chiara e puntuale evidenziata nell’arresto a Sezioni Unite appena richiamato e, soprattutto, senza che vi sia stata alcuna violazione del diritto di difesa, com’Ł reso altresì evidente dalla circostanza (p. 42 della sentenza impugnata) che gli imputati hanno avversato la ritenuta prova, da parte dei Giudici di merito, della sussistenza di tale finalità, così mostrando di avere compreso l’imputazione e di essersi difesi dalla stessa.
Rispetto a tale aggravante, dunque, i ricorrenti hanno potuto confrontarsi e si sono confrontati processualmente, nei diversi gradi di giudizio; ciò che elide ogni obiezione difensiva rispetto alla violazione del diritto di difesa e di difetto di contestazione in relazione alla violazione del principio della corrispondenza tra l’imputazione e la sentenza emessa.
A ciò si aggiunga l’ulteriore e dirimente circostanza che gli imputati, nei relativi atti di appello, hanno invocato la diversa qualificazione giuridica del fatto contestato in quella di cui all’art. 12, comma 5, d. lgs. n. 286 del 1998, ossia il reato di favoreggiamento, a fine di profitto, della permanenza dei clandestini. Pertinente si reputa, al riguardo, il principio espresso in sede di legittimità secondo cui «La violazione dell’obbligo di correlazione tra l’imputazione contestata e la sentenza, non si verifica quando l’accusa venga precisata o integrata con le risultanze degli interrogatori e degli altri atti acquisiti al processo e, in particolare, quando il fatto ritenuto in sentenza, quantunque diverso da quello contestato, sia stato prospettato dallo stesso imputato come elemento a sua discolpa ovvero per farne derivare un’ipotesi di reato meno grave, atteso che, avendo in tal caso il medesimo imputato apprestato la necessaria difesa in relazione alla diversa prospettazione del fatto volontariamente offerta, non Ł dato riscontrare quella violazione al diritto alla difesa conseguente alla trasformazione o sostituzione dell’addebito che la norma intende sanzionare» (Sez. 1, n. 3686 del 13/09/2023, dep. 2024, Z., Rv. 285718; Sez. 5, n. 50326 del 16/09/2014, Sommariva, Rv. 261420 Sez. 6, n. 20118 del 26/02/2010, COGNOME, Rv. 247330).
4.3. Una volta chiarito che, a ragione, il Giudice di appello, nel riqualificare i fatti di favoreggiamento di cui ai capi B), C), I) ed L), ha tenuto conto dell’aggravante del fine di profitto, dev’essere respinta l’eccezione di prescrizione formulata da tutti i ricorrenti.
Non Ł superfluo richiamare la giurisprudenza di legittimità che ha chiarito che il delitto di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina Łfattispecie criminosa avente natura di reato di pericolo a consumazione anticipata (Sez. 1, n. 24957 del 08/04/2021, H., Rv. 281666 – 01). Si tratta di un reato avente natura eventualmente permanente che non richiede, per il suo perfezionamento, che l’ingresso illegale dello straniero sia effettivamente avvenuto. Ove, tuttavia, ciò accada, la permanenza cessa comunque nel luogo e nel momento in cui si realizza l’introduzione illegale nel territorio nazionale e non rileva, quindi, la destinazione finale dello straniero (Sez. 3, n. 35629 del 19/05/2005, COGNOME, Rv. 232390 – 01).
Da detto inquadramento discende che l’indicazione, fatta dalla Corte di assise di appello, del momento consumativo delle singole ipotesi di favoreggiamento dell’immigrazione, alla data delle richieste di assunzione dei lavoratori (aprile 2009) non Ł corretta – poichØ le risultanze di prova hanno dato contezza del fatto che alcuni degli extracomunitari hanno fatto ingresso nel territorio dello Stato, sicchØ per costoro il reato si Ł consumato al momento, successivo, dell’ingresso – e, tuttavia, Ł certamente piø favorevole per i ricorrenti.
Ciò chiarito, secondo la disciplina applicabile agli imputati ratione temporis, l’art. 12, comma 3 Ł punito con pena nel massimo di quindici anni, sicchØ il relativo termine di prescrizione di diciotto
anni e nove mesi, decorrente quam minime da aprile 2009, non spirerà prima del gennaio 2028.
Sono invece fondate le censure mosse da tutti i ricorrenti, ciascuno con riferimento al reato associativo per cui Ł condanna, in punto di ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416, sesto comma, cod. pen. e della conseguente mancata declaratoria di prescrizione dei reati di cui ai capi A) e H).
L’aggravante controversa determina, invero, l’aumento del massimo edittale di pena per il reato di cui all’art. 416 cod. pen. a quindici anni di reclusione per i promotori e a di nove anni di reclusione per i partecipi.
Nonostante il tema sia inedito – in quanto non prospettato nel giudizio di appello, ma dedotto dinanzi a questa Corte nell’ultima parte del secondo motivo dell’unico ricorso di NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME con il secondo motivo del ricorso di Paris, con il terzo motivo del ricorso di COGNOME e con l’ultimo motivo di ricorso di COGNOME – secondo l’insegnamento delle Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, COGNOME Ł ammissibile il ricorso per cassazione con il quale si deduce, anche con un unico motivo, l’intervenuta estinzione del reato per prescrizione maturata prima della sentenza impugnata ed erroneamente non dichiarata dal giudice di merito, integrando tale doglianza un motivo consentito ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. b) cod. proc. pen.
Osserva, dunque, il Collegio che l’inserimento dell’art. 12 comma 3bis d.lgs n. 286 del 1998 (che disciplina il caso della ricorrenza di due o piø ipotesi di cui alle lettere a), b), c), d) ed e) del comma 3 del medesimo articolo 12) nel sesto comma dell’art. 416 cod. pen. si deve all’art. 1, comma 5, della legge 15 luglio 2009 n. 94, entrata in vigore l’8 agosto 2009.
Occorre allora, per la verifica della sua applicabilità, avere riguardo all’epoca di commissione dei due reati associativi.
Sebbene le imputazioni relative ad entrambi i reati associativi facciano riferimento alla data dell’accertamento del reato (segnatamente, per il capo A) dal mese di novembre 2009 al mese di maggio 2010 e, per il capo H), accertato nel 2010), le sentenze di merito – anche attraverso il richiamo alle conversazioni captate – danno contezza dell’attività dei due sodalizi fino almeno al maggio 2010, non essendo rispondente alle risultanze di prova in esse compendiate l’affermazione contenuta nei ricorsi, secondo cui le conversazioni parlerebbero di mere ipotesi di accordi futuri, venendo invece in rilievo la progettazione di precise condotte, anche future.
La protrazione della condotta quam minime fino alla data del 1° maggio 2010, impone ratione temporis l’applicazione del nuovo trattamento sanzionatorio, sicchØ i relativi termini di prescrizione sono, per i promotori, di diciotto anni e nove mesi (quindici anni, aumentati di …), con la conseguenza che il reato associativo di cui al capo H) non si Ł prescritto per NOME COGNOME e NOME COGNOME, con riferimento ai quali la qualità verticistica Ł incontestata.
¨, invece, spirato nel 2021 e, dunque, prima della pronuncia della sentenza di appello, il termine di prescrizione di undici anni e tre mesi (nove anni + …) per i partecipi a ciascun sodalizio e, segnatamente, quanto al capo H) per NOME COGNOME, MNOME COGNOME e COGNOME e, quanto al capo A), per COGNOME e COGNOME.
¨ appena il caso di osservare che non Ł possibile, nel caso che ci occupa, procedere al raddoppio dei termini ai sensi dell’art. 157 cod. pen. perchØ detta norma fa riferimento, per quanto qui di rilievo, al catalogo dei reati di cui all’art. 51 commi 3bis cod. proc. pen. e l’inserimento in detta disposizione del reato di cui all’art. 12, commi 3 e 3ter d.lgs. n. 286 del 1998 Ł avvenuto in virtø dell’art. 18, comma 3, del D.L. 17 febbraio 2017 n. 13, convertito con modificazioni nella legge 13 aprile 2017, n. 46, dunque inapplicabile ratione temporis.
La sentenza dev’essere, pertanto, annullata senza rinvio nei riguardi di COGNOME e COGNOME in
ordine al reato di cui al capo A) perchØ estinto per prescrizione, com eliminazione delle relative pene, così residuando a loro carico, per le residue imputazioni, quella di quattro anni di reclusione ed euro 180.000,00 ciascuno.
Dev’essere, altresì, annullata senza rinvio nei confronti di NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME in relazione al capo H), perchØ estinto per prescrizione, così residuando a carico dei primi due la pena di quattro anni, dieci mesi di reclusione ed euro 675,00 di multa ciascuno, mentre per COGNOME quella di quattro anni, otto mesi di reclusione ed euro 660,00 di multa.
Da ultimo dev’essere respinto il quarto motivo del ricorso di COGNOME con il quale si Ł censurato l’errore materiale in cui sarebbe incorso il Giudice di appello nella parametrazione della multa.
Il motivo, invero, muove dal presupposto infondato che il Giudice di secondo grado abbia ‘rinunciato’ a stabilire l’identità e il numero degli immigrati clandestini, laddove invece la multa Ł stata correttamente determinata nella misura fissa, ma proporzionale al numero dei migranti di cui si Ł favorito l’ingresso, il cui quantum Ł assolutamente coerente con quello inflitto ai coimputati gravati dalle medesime condanne.
Quanto al regolamento delle spese del grado relativamente alla posizione della parte civile NOMECOGNOME che ha svolto attività processuale in questa sede, le stesse vanno poste a carico degli imputati COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e COGNOME soccombenti rispetto all’azione civile proposta nei loro confronti, e destinate in favore dello Stato, avendo la suddetta parte civile dato atto di essere stata ammessa al patrocinio a spese dello Stato medesimo.
Questa Corte deve limitarsi, tuttavia, a una condanna generica, in ossequio al principio espresso dalle Sezioni Unite, secondo cui «in tema di liquidazione, nel giudizio di legittimità, delle spese sostenute dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato, compete alla Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 541 cod. proc. pen. e 110 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, pronunciare condanna generica dell’imputato al pagamento di tali spese in favore dell’Erario, mentre Ł poi rimessa al giudice del rinvio, o a quello che ha pronunciato la sentenza passata in giudicato, la liquidazione delle stesse mediante l’emissione del decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 del citato d.P.R.» (Sez. U, 5464 del 26/09/2019, dep. 2020, COGNOME, Rv. 277760 – 01).
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME e COGNOME NOME in ordine al reato di cui al capo a) perche’ estinto per prescrizione ed elimina le relative pene, rideterminando per le residue rispettive imputazioni la pena in anni quattro di reclusione ed euro 180.000 di multa ciascuno. Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME e di COGNOME.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME, NOME COGNOME COGNOME e COGNOME NOME in ordine al reato di cui al capo h) perche’ estinto per prescrizione ed elimina le relative pene, rideterminando le pene per le residue rispetive imputazioni in anni quattro, mesi otto di reclusione ed euro 660.000 di multa per COGNOME ed in anni quattro, mesi dieci di reclusione ed euro 675.000 di multa ciascuno per COGNOME e COGNOME. Rigetta nel resto i ricorsi di COGNOME, COGNOME e
D’apice.
Rigetta i ricorsi di NOME COGNOME e NOME COGNOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Condanna, inoltre, gli imputati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME D’apice Luigi alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile ammessa al patrocinio a spese dello stato, NOME nella misura che sara’ liquidata dalla Corte di assise di appello di L’aquila con separato decreto di pagamento ai sensi degli artt. 82 e 83 d.p.r. 115/2002, disponendo il pagamento in favore dello stato.
Così Ł deciso, 12/12/2024
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME