Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 34034 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1   Num. 34034  Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/04/2025 del TRIB. SORVEGLIANZA di MILANO udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette  le  conclusioni  del  PG,  NOME  COGNOME  che  ha  chiesto  il  rigetto dell’ordinanza impugnata.
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di Sorveglianza di Milano ha accolto il reclamo proposto dal Procuratore della Repubblica presso il menzionato Tribunale avverso il provvedimento, in data 18 febbraio 2025, con il quale il magistrato di sorveglianza aveva concesso un permesso premio ai sensi dell’art. 30ter legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ord. pen.) a NOME COGNOME, detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo , con isolamento diurno, derivante da più condanne per gravi reati, tra cui RAGIONE_SOCIALE per delinquere di stampo mafioso e numerosi omicidi comprese le stragi di Capaci e di INDIRIZZO.
A ragione della decisione, il Tribunale di sorveglianza osserva che, contrariamente a quanto richiesto dalla nuova disciplina sulle condizioni di accesso
al permesso premio resa necessaria dall’intervento della Corte costituzionale con la sentenza n. 253 del 2019, non risultano, al di là della regolare condotta carceraria, della partecipazione al percorso rieducativo e della dichiarata dissociazione dell’organizzazione criminale di appartenenza, ulteriori elementi pregnanti e significativi che consentono di ritenere superata, con ragionevole certezza, la presunzione relativa di pericolosità conseguente alla mancata collaborazione del condannato.
Precisa che dall’osservazione intramuraria è emerso un percorso di revisione critica da parte di COGNOME ancora superficiale rispetto all’eccezionale gravità dei reati contestati.
La relazione di sintesi evidenzia che il condannato ha maturato nel tempo la volontà di dissociarsi dal contesto criminale di appartenenza non in ragione della piena presa di coscienza dell’atrocità delle azioni criminali – commesse quale esponente non marginale di una spietata RAGIONE_SOCIALE mafiosa quale è stata e continua ad essere RAGIONE_SOCIALE, tanto da essere coinvolto nella consumazione di omicidi che hanno rappresentato l’apice della strategia terroristica – ma per favorire la sua una crescita personale in assenza di un’ autentica volontà di rimediare nei confronti della società civile alle conseguenze delle proprie azioni criminali.
In particolare, il contenuto delle missive inoltrate a studenti e docenti rivela la tendenza del detenuto a riflettere prevalentemente sugli effetti che le precedenti scelte  di  vita  hanno  avuto  sulla  propria  vita  senza  mai  soffermarsi  sulle conseguenze irreversibili che ne sono derivate per le vittime.
La parziale ammissione di responsabilità è accompagnata da un approccio a tratti vittimistico e a tratti sminuente rispetto alla gravità delle proprie condotte devianti  ed  orientato  prevalentemente  ad  offrire  una  positiva  immagine  di  sé, piuttosto che a rimediare colazione concrete alle drammatiche conseguenze delle proprie azioni
Alla luce delle risultanze dell’ istruttoria non può dirsi pertanto che il necessario processo di revisione critica del passato criminale abbia avuto inizio in modo significativo considerata la natura e l’eccezionale gravità dei plurimi delitti commessi né può dirsi netta e definitiva la presa di distanza dall’organizzazione mafiosa cui COGNOME ha aderito per libera scelta e non per necessità: il detenuto, al di là di mere dichiarazioni di intenti, non ha compiuto azioni particolarmente pregnanti utili a dimostrare un sradicamento definitivo di quel meccanismo psicologico che l’hanno indotto ad essere affascinato da determinati contesti criminali
Non indicative di seria ed effettiva volontà di rimediare alle conseguenze dei delitti commessi sono state anche le azioni riparatorie effettuate dal condannato,
il quale si è limitato a versare, da circa un anno, la somma mesile di 30 euro ad un’ RAGIONE_SOCIALE religiosa.
NOME propone ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, AVV_NOTAIO e AVV_NOTAIO, articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo deduce inosservanza degli artt. 581, 591 cod. proc. pen. e 236 disp. att. cod. proc. pen. in relazione ai requisiti di ammissibilità del reclamo proposto dal pubblico ministero.
Lamenta che il reclamo è stato ritenuto ammissibile nonostante l’a specificità delle censure che fanno esclusivo riferimento alla gravità dei reati commessi e alle segnalazioni in atti relative all’ esistenza ed attuale operatività del ‘ mandamento RAGIONE_SOCIALE Brancaccio ‘ , senza contestare gli argomenti spesi dall’ordinanza del magistrato di sorveglianza che aveva concesso il permesso.
2.2.  Con  il  secondo  motivo  deduce  violazione  di  legge  nonché  vizio  di motivazione in relazione sia all’adempimento dell’onere di allegazione gravante sul condannato ai fini della concessione del permesso premio ai sensi degli artt. 4-bis e 30-ter Ord. pen. sia all’adempimento dell”istruttoria rafforzata’ necessaria per la dimostrazione del presupposto dei collegamenti con la criminalità organizzata ovvero del pericolo del loro ripristino.
L’ ordinanza, nel valutare la presunzione relativa di attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, ha attribuito un peso sproporzionato al parametro della  gravità  dei  reati  e  a  quello  della  mancata  collaborazione  con  la  giustizia, finendo per onerare il condannato di un obbligo di riparazione di entità tale da non essere in concreto mai raggiungibile.
Così operando l’ordinanza si è posta in stridente contrasto con i principi enunciati dalla più recente giurisprudenza di legittimità secondo cui nell’ambito del giudizio prognostico rimesso al Tribunale di sorveglianza assumono rilevanza spiccata le iniziative trattamentali avente valenza riparatoria, come quelle cui COGNOME ha attivamente partecipato sia disconoscendo il valore dell’ appartenenza all’ RAGIONE_SOCIALE criminale in più contesti scolastici sia stigmatizzando le proprie condotte al punto da dipingere ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ come una realtà fallimentare.
Il Tribunale ha utilizzato una motivazione di matrice eticizzante, interpretando il parametro della mancanza attuale di collegamenti con una valenza etico morale di pentimento anziché come distacco rispetto alla vita criminale e richiedendo per la meritevolezza del beneficio il definitivo completamento del processo di revisione critica
2.3. Con il terzo motivo denuncia in osservanza della legge penale in relazione alla verifica della sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime sia
nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa ai sensi dell’articolo 4-bis, comma 1- bis, Ord. pen.
Al contrario del magistrato di sorveglianza, che aveva evidenziato le numerose iniziative del condannato e la sua richiesta di inserimento in un percorso di giustizia riparativa, ha trasformato il presupposto, normativamente previsto, dell’attivazione a favore delle vittime, aggiungendo il requisito della necessaria proporzionalità rispetto al danno cagionato e soprattutto alla gravità del reato, rendendo  nella  sostanza  oggettivamente  impossibile l’ adempim ento  dell’onere della sua dimostrazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I tre motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente in ragione delle connessione logica dele questioni poste, sono infondati sicché il ricorso deve essere rigettato.
1. L’art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), prevede, al primo comma, che «Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro». L’ottavo comma dell’art. 30-ter specifica, poi, che «La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali».
L’istituto dei permessi premio è volto a soddisfare una pluralità di concorrenti esigenze, perché caratterizzato dalla specifica funzione pedagogico-propulsiva -quale parte integrante del trattamento, di cui costituisce uno strumento cruciale, secondo quanto indicato dalla Corte costituzionale già con la sentenza n. 504 del 1995 -che si accompagna a quella premiale, strettamente connessa all’osservanza di una regolare condotta da parte del detenuto ed all’assenza, nel beneficiario, di pericolosità sociale, anche se orientata alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro. Il giudice, pertanto, a fronte dell’istanza intesa alla concessione dei permessi premio, deve accertare, acquisendo le informazioni necessarie a valutare la coerenza del permesso con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione, la sussistenza di tre requisiti, integranti altrettanti presupposti logico-giuridici della concedibilità del beneficio e costituiti, rispettivamente, dalla regolare condotta del detenuto, dall’assenza di sua pericolosità sociale e dalla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di
interessi affettivi, culturali e di lavoro (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255311).Quanto al secondo requisito, si è chiarito che lo stesso dev’essere valutato con maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, COGNOME, Rv.269195).
Alla luce del nuovo regime giuridico introdotto dalla cd. riforma Cartabia, i benefici penitenziari per reati ostativi di “prima fascia” possono essere concessi ai detenuti anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a condizione che:
 dimostrino  l’adempimento  delle  obbligazioni  civili  e  degli  obblighi  di riparazione  pecuniaria  conseguenti  alla  condanna  o  l’assoluta  impossibilità  di adempimento;
b) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile;
c) il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa. Una volta che si accerti la ricorrenza delle menzionate condizioni, il Tribunale è chiamato a una  complessa  attività  istruttoria,  consistente  nell’acquisizione  di  dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine:
al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso;
al profilo criminale del detenuto;
alla sua posizione all’interno dell’RAGIONE_SOCIALE;
 alle  eventuali  nuove  imputazioni  o  misure  cautelari  o  di  prevenzione sopravvenute e, ove significative,
alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione.
Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del Pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3- bis e 3-quater, cod. proc. pen., del Pubblico ministero preso il Tribunale del capoluogo del distretto ove è stata pronunciata la
sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell’Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate. In definitiva, com’è stato recentemente chiarito, «In tema di concessione del permesso premio, dopo la modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, le condizioni di accesso al beneficio in relazione ai reati ivi elencati, per i detenuti che non collaborano con l’autorità giudiziaria, sono diventate più gravose rispetto a quelle sussistenti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, prevedendo, da un lato, la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento) e, codificando, dall’altro, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione che contempla, accanto all’individuazione di alcuni indicatori valutabili, anche la regola legale dell’insufficienza di alcuni di essi (la regolare condotta carceraria, la partecipazione al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione)» (Sez. 5, n. 33693 del 28/06/2024, Biondo, Rv. 286988 – 01.
In  motivazione,  la  Corte  ha  però  affermato  che,  in  ossequio  ai  principi costituzionali  di  eguaglianza  e  del  finalismo  rieducativo  della  pena,  non  può disconoscersi  la  rilevanza  del  percorso  rieducativo  effettivamente  compiuto  dal condannato  che  abbia  già  raggiunto,  in  concreto,  un  grado  di  rieducazione adeguato alla concessione del beneficio)
Tanto premesso, osserva il Collegio che il Tribunale di sorveglianza ha ben spiegato, con argomenti di assoluta solidità, le ragioni che sorreggono il giudizio di  mancato riscontro di  elementi  pregnanti,  capaci  di  attestare  la  recisione  dei collegamenti  con  il  contesto  mafioso-criminale  di  appartenenza  e  quindi  di superare la presunzione relativa di pericolosità desunta dalla mancata collaborazione con la giustizia.
A tal fine ha congruamente valutato il richiamo agli esiti, insoddisfacenti sul punto, dell’osservazione scientifica della personalità, svolta nell’istituto di pena, e segnatamente la circostanza che COGNOME -secondo la descrizione fattane dagli organi del trattamento -pur avendo osservato un formalmente contegno adesivo, ha assunto un atteggiamento di minimizzazione della propria condotta criminale compiendo  un  lavoro  di riflessione insufficiente specie se rapportato alla
eccezionale  gravità  dei  crimini  commessi  e  non  sintomatico  di  una  netta  e definitiva presa di distanza dall’ organizzaizone mafiosa cui lo stesso aveva aderito non per necessità economiche o di altro genere ma per libera scelta militandovi per un lungo periodo e traendone gratificazione .
In particolare, COGNOME:
ha ricollegato la volontà di dissociarsi dal contesto criminale di appartenenza -tutt’ora pacificamente attivo – e nel quale ha ricoperto un ruolo di primo piano tanto da essere convolto nella strategia stragista e terrorista partecipando alle stragi di Capaci e via D’Amelio – non al carattere riprovevole delle azioni criminali poste in essere ma all’essersi l’organizza zione cui aveva aderito rilevata ‘un modo di finzione’ ben diversa da quella che l ‘ aveva affascinato in età giovanile;
ha seguito un percorso inframurario improntato ad attività volte a favorire la sua crescita personale e non rivolte a prodigarsi concretamente in favore del prossimo; tali non possono essere ritenere le iniziative con proiezione esterna perché i ripetuti incontri con studenti, come ammesso dallo stesso interessato in più missive in atti indirizzate a vari partecipanti, erano finalizzati ad evidenziare gli effetti negativi delle azioni criminali sulla sua vita personale e non a stigmatizzare le conseguenze drammatiche ed irreversibile sulle vittime;
 le  ammissioni  di  responsabilità,  oltre  ad  essere  parziali,  sono  state caratterizzate da un approccio vittimistico volto a giustificare le scelte devianti in termini  di  errore  di  valutazione  giovanile,  senza  soffermarsi  sulle  conseguenze provocate alle vittime.
Trattasi di valutazioni in linea con il, consolidato e condiviso, principio interpretativo secondo cui, per la verifica dell’assenza di pericolosità sociale, deve tenersi conto, in senso negativo, della mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del precedente comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269195; Sez. 1, n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173; Sez. 1, n. 5430 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230924; Sez. 1 n. 27118 del 23/07/2020, COGNOME, non mass.).
Le  censure  sviluppate  sul  punto  dal  ricorrente  sconfinano  ampiamente  nel merito, assumendo un carattere contro-valutativo, palesemente estraneo all’ambito del sindacato consentito alla Corte di legittimità.
 Sotto  altro  concorrente  profilo,  appare  ineccepibile  il  convincimento  del Tribunale  di  sorveglianza,  secondo  cui  il  novero  dei  comportamenti  riparatori esigibili da COGNOME andasse ben oltre i documentati pagamenti in dell’RAGIONE_SOCIALE ‘ RAGIONE_SOCIALE ‘ .
Sul punto deve rammentarsi che «il condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia” che, non avendo collaborato con la giustizia, voglia accedere alle misure
alternative alla detenzione ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità dello stesso, anche nel caso in cui la persona offesa non si sia attivata per ottenere il risarcimento del danno. (Fattispecie relativa a condannato per il delitto di estorsione aggravata che aveva ristorato le spese legali sostenute dalle parti civili e aveva formalmente rinunciato al credito oggetto della richiesta estorsiva, nella quale la Corte ha confermato il provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione di misure alternative, rilevando che non era stato ristorato il danno di natura non patrimoniale sofferto dalle persone offese, ritenendo irrilevante che queste ultime non avessero ulteriormente coltivato, in sede civile, l’azione risarcitoria)» (Sez. 1, n. 37081 del 31/05/2024, COGNOME, Rv. 287087 -01; Sez. 1, n. 16321 del 10/01/2024, COGNOME, Rv. 286347 -01).
Ciò che non è avvenuto nel caso che ci occupa poiché -come emerge dalla stessa memoria allegata in sede di reclamo dinanzi al Tribunale di sorveglianza -il condannato non ha dedotto l’assoluta impossibilità di adempiere le obbligazioni civili, ma si è limitato a documentare il versamento della somma simbolica di 30 euro a mese di favore dell’ RAGIONE_SOCIALE.
Tale condotta è stata non illogicamente considerata dall’ordinanza impugnata non indicativa di una seria ed effettiva volontà di rimediare alle atroci conseguenze dei delitti commessi anche in considerazione dell’ entità e dei danni che ne sono derivati.
Dal rigetto del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna  il ricorrente  al  pagamento  delle  spese processuali .
Così deciso, in Roma 9 ottobre 2025.
Il Consigliere estensore
NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME