Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 13608 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 1 Num. 13608 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 08/01/2025
PRIMA SEZIONE PENALE
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME
NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a Calatabiano il 28/12/1957
avverso l’ordinanza del 14/05/2024 del Tribunale Sorveglianza di L’Aquila esaminati gli atti, visti il provvedimento impugnato e il ricorso, udita la relazione del Consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria scritta del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in preambolo il Tribunale di Sorveglianza dell’Aquila ha accolto il reclamo proposto dal Procuratore della Repubblica presso il menzionato Tribunale avverso il decreto, in data 11 marzo 2024, con il quale il magistrato di sorveglianza aveva concesso un permesso premio ai sensi dell’art. 30-ter legge 26 luglio 1975 n. 354 (Ord. pen.) avanzata da NOME COGNOME detenuto in espiazione della pena dell’ergastolo con isolamento diurno derivante da piø condanne per gravi reati e, tra questi, per associazione per delinquere di stampo mafioso, per numerosi omicidi, per distruzione di cadavere, per associazione finalizzata al traffico illecito di stupefacenti e per connessi reati in materia di armi.
A ragione della decisione, il Tribunale di sorveglianza ha valorizzato l’inadempimento da parte del condannato degli oneri imposti dalla novellata disciplina di cui all’art. 4-bisOrd. pen., evidenziando come le pur presenti allegazioni difensive non offrivano elementi concreti tali da consentire di escludere l’attualità di collegamenti tra il detenuto e la criminalità organizzata, nØ il pericolo che lo stesso potesse – ove ammesso alla fruizione del beneficio – ripristinare i collegamenti con la consorteria di appartenenza, il clan COGNOME–COGNOME, nel cui ambito egli ha assunto il ruolo di reggente, tuttora risultato operativo sul territorio, come attestato nella nota del 1 aprile 2023 della Questura di Catania.
Ha, poi, osservato che – alla luce della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto e citata
R.G.N. 37410/2024
nel provvedimento stesso – i simbolici versamenti all’associazione RAGIONE_SOCIALE e la mera dichiarazione di volontà di svolgere attività di volontariato, infine la generica manifestazione di volontà di contribuire alla riparazione pecuniaria non soddisfacevano i criteri del novellato art 4-bisOrd. pen.
Infine, ha fondato il provvedimento sull’ulteriore elemento della scarsa capacità del condannato di affrontare adeguatamente il tema della propria condotta illecita, come risulta dagli esiti dell’osservazione personologica: il detenuto, pur ammettendo di avere fatto parte dell’organizzazione mafiosa, ha minimizzato il proprio coinvolgimento, affermando di avere eseguito ordini altrui e negando di essersi macchiato di fatti di sangue,così dando dimostrazione dell’assenza di un sia pur embrionale inizio del percorso di riflessione critica.
COGNOME propone ricorso per cassazione, a mezzo dei difensori di fiducia, avv. COGNOME e avv. COGNOME che – con un unico, articolato motivo – deducono la violazione dell’art. 30-terOrd. pen. e il correlato vizio di motivazione.
Rileva in primo luogo, quanto all’onere di allegazione riguardante l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, che sarebbe stata trascurata la circostanza che egli Ł detenuto dal 1998, che i reati piø recenti sono stati commessi negli anni dal 1994 al 1998, che la pericolosità sociale sarebbe stata esclusa, essendo stato revocato nei suoi riguardi il regime speciale di cui all’art. 41bisOrd. pen.
Osserva, inoltre, l’errore in cui sarebbe incorsa l’ordinanza, sotto il profilo della ritenuta assenza di allegazioni inerenti al pericolo di ripristino di contatti con la criminalità, essendosi trascurato che il permesso Ł stato richiesto sul territorio di Sulmona e non in quello dove opera il sodalizio di originaria appartenenza.
Infine, sarebbero state depotenziate le allegazioni attestanti la volontà di avviare un percorso di giustizia riparativa da parte del detenuto che, proprio per avere reciso i contatti con la criminalità, Ł nullatenente e, ciò nonostante, contribuisce in proporzione alle sue possibilità.
Il Tribunale avrebbe, in definitiva, confermato il diniego del beneficio non già sull’esistenza di elementi concreti e attuali di pericolo di recidivanza, ma sulla base dei reati per cui il ricorrente Ł stato condannato e sul suo passato criminale.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME intervenuto con requisitoria scritta depositata il 2 dicembre 2024, ha chiesto il rigetto dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure infondate, dev’essere rigettato.
L’art. 30-ter legge 26 luglio 1975, n. 354 (Ord. pen.), prevede, al primo comma, che «Ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma 8 e che non risultano socialmente pericolosi, il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro». L’ottavo comma dell’art. 30-ter specifica, poi, che «La condotta dei condannati si considera regolare quando i soggetti, durante la detenzione, hanno manifestato costante senso di responsabilità e correttezza nel comportamento personale, nelle attività organizzate negli istituti e nelle eventuali attività lavorative o culturali».
L’istituto dei permessi premio Ł volto a soddisfare una pluralità di concorrenti esigenze, perchØ caratterizzato dalla specifica funzione pedagogico-propulsiva – quale parte integrante del trattamento, di cui costituisce uno strumento cruciale, secondo quanto indicato dalla Corte
costituzionale già con la sentenza n. 504 del 1995 – che si accompagna a quella premiale, strettamente connessa all’osservanza di una regolare condotta da parte del detenuto ed all’assenza, nel beneficiario, di pericolosità sociale, anche se orientata alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro.
Il giudice, pertanto, a fronte dell’istanza intesa alla concessione dei permessi premio, deve accertare, acquisendo le informazioni necessarie a valutare la coerenza del permesso con il trattamento complessivo e con le sue finalità di risocializzazione, la sussistenza di tre requisiti, integranti altrettanti presupposti logico-giuridici della concedibilità del beneficio e costituiti, rispettivamente, dalla regolare condotta del detenuto, dall’assenza di sua pericolosità sociale e dalla funzionalità del permesso premio alla coltivazione di interessi affettivi, culturali e di lavoro (in questo senso, cfr., tra le altre, Sez. 1, n. 36456 del 09/04/2018, Corrias, Rv. 273608; Sez. 1, n. 11581 del 05/02/2013, Grillo, Rv. 255311).Quanto al secondo requisito, si Ł chiarito che lo stesso dev’essere valutato con maggiore rigore nei casi di soggetti condannati per reati di particolare gravità e con fine pena lontana nel tempo, in relazione ai quali rileva, in senso negativo, anche la mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del pregresso comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, COGNOME, Rv.269195).
2. Alla luce del nuovo regime giuridico introdotto dalla cd. riforma Cartabia, i benefici penitenziari per reati ostativi di “prima fascia” possono essere concessi ai detenuti anche in assenza di collaborazione con la giustizia, a condizione che: i) dimostrino l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di adempimento; ii) alleghino elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e con il contesto nel quale il reato Ł stato commesso, nonchØ il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di altra informazione disponibile; iii) il giudice accerti la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.
Una volta che si accerti la ricorrenza delle menzionate condizioni, il Tribunale Ł chiamato a una complessa attività istruttoria, consistente nell’acquisizione di dettagliate informazioni, anche a conferma degli elementi offerti dal richiedente, in ordine: i) al perdurare dell’operatività del sodalizio criminale di appartenenza o del contesto criminale in cui il delitto fu commesso; ii) al profilo criminale del detenuto; iii) alla sua posizione all’interno dell’associazione; iv) alle eventuali nuove imputazioni o misure cautelari o di prevenzione sopravvenute e, ove significative, v) alle infrazioni disciplinari commesse in corso di detenzione.
Il Tribunale, ancora, deve richiedere il parere del Pubblico ministero presso il giudice che ha emesso la sentenza di primo grado o, se si tratta di condanne per i delitti di cui agli artt. 51 commi 3bis e 3-quater, cod. proc. pen., del Pubblico ministero preso il Tribunale del capoluogo del distretto ove Ł stata pronunciata la sentenza di primo grado, e del Procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo; deve, quindi, acquisire informazioni dalla Direzione dell’Istituto di detenzione e deve disporre accertamenti sulle condizioni reddituali e patrimoniali, sul tenore di vita, sulle attività economiche e sulla pendenza o definitività di misure di prevenzione personali o patrimoniali del detenuto, degli appartenenti al suo nucleo familiare o delle persone comunque a lui collegate.
In definitiva, com’Ł stato recentemente chiarito, «In tema di concessione del permesso premio, dopo la modifica dell’art. 4-bis, comma 1-bis, ord. pen. ad opera del d.l. 31 ottobre 2022, n. 162,
convertito, con modificazioni, dalla legge 30 dicembre 2022, n. 199, le condizioni di accesso al beneficio in relazione ai reati ivi elencati, per i detenuti che non collaborano con l’autorità giudiziaria, sono diventate piø gravose rispetto a quelle sussistenti a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 253 del 2019, prevedendo, da un lato, la necessità di ulteriori presupposti di ammissibilità della domanda (l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento) e, codificando, dall’altro, un criterio misto per il giudizio sulla presunzione relativa conseguente alla mancata collaborazione che contempla, accanto all’individuazione di alcuni indicatori valutabili, anche la regola legale dell’insufficienza di alcuni di essi (la regolare condotta carceraria, la partecipazione al percorso rieducativo e la mera dichiarazione di dissociazione)» (Sez. 5, n. 33693 del 28/06/2024, COGNOME, Rv. 286988 – 01. In motivazione, la Corte ha però affermato che, in ossequio ai principi costituzionali di eguaglianza e del finalismo rieducativo della pena, non può disconoscersi la rilevanza del percorso rieducativo effettivamente compiuto dal condannato che abbia già raggiunto, in concreto, un grado di rieducazione adeguato alla concessione del beneficio)
Tanto premesso, osserva il Collegio che il Tribunale di sorveglianza ha ben spiegato, con argomenti di assoluta solidità, le ragioni che sorreggono il giudizio di mancato riscontro di elementi pregnanti, capaci di attestare la recisione dei collegamenti con il contesto mafioso-criminale di appartenenza.
A tal fine Ł dirimente il richiamo agli esiti, insoddisfacenti sul punto, dell’osservazione scientifica della personalità, svolta nell’istituto di pena, e segnatamente la circostanza che Intelisano – secondo la descrizione fattane dagli organi del trattamento – pur avendo osservato un formalmente contegno adesivo, ha assunto un atteggiamento di minimizzazione della propria condotta criminale. SicchØ, non Ł manifestamente illogica la deduzione del Tribunale secondo cui il condannato ha scarsamente riflettuto sul proprio passato deviante e che era necessaria la prosecuzione dell’osservazione intramuraria.
Pertinente si rivela, al riguardo, il richiamo al consolidato e condiviso principio interpretativo secondo cui, per la verifica dell’assenza di pericolosità sociale, deve tenersi conto, in senso negativo, della mancanza di elementi indicativi di una rivisitazione critica del precedente comportamento deviante (Sez. 1, n. 5505 del 11/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 269195; Sez. 1, n. 9796 del 23/11/2007, dep. 2008, COGNOME, Rv. 239173; Sez. 1, n. 5430 del 25/01/2005, COGNOME, Rv. 230924; Sez. 1 n. 27118 del 23/07/2020, COGNOME, non mass.).
Le censure sviluppate sul punto dal ricorrente sconfinano ampiamente nel merito, assumendo un carattere contro-valutativo, palesemente estraneo all’ambito del sindacato consentito alla Corte di legittimità.
Sotto altro concorrente profilo, appare ineccepibile il convincimento del Tribunale di sorveglianza, secondo cui il novero dei comportamenti riparatori esigibili da Intelisano andasse ben oltre i documentati pagamenti in favore di Libera.
Questa Corte ha, invero, statuito che «il condannato per reati ostativi cd. “di prima fascia” che, non avendo collaborato con la giustizia, voglia accedere alle misure alternative alla detenzione ai sensi dell’art. 4-bis, comma 1-bis, legge 26 luglio 1975, n. 354, deve dimostrare l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna, o l’assoluta impossibilità dello stesso, anche nel caso in cui la persona offesa non si sia attivata per ottenere il risarcimento del danno. (Fattispecie relativa a condannato per il delitto di estorsione aggravata che aveva ristorato le spese legali sostenute dalle parti civili e aveva formalmente rinunciato al credito oggetto della richiesta estorsiva, nella quale la Corte ha confermato il provvedimento di rigetto
dell’istanza di concessione di misure alternative, rilevando che non era stato ristorato il danno di natura non patrimoniale sofferto dalle persone offese, ritenendo irrilevante che queste ultime non avessero ulteriormente coltivato, in sede civile, l’azione risarcitoria)» (Sez. 1, n. 37081 del 31/05/2024, COGNOME, Rv. 287087 – 01; Sez. 1, n. 16321 del 10/01/2024, COGNOME, Rv. 286347 – 01).
Ciò che non Ł avvenuto nel caso che ci occupa poichØ – come emerge dalla stessa memoria allegata in sede di reclamo dinanzi al Tribunale di sorveglianza – il condannato non ha dedotto l’assoluta impossibilità di adempiere le obbligazioni civili, ma si Ł limitato a documentare la rateizzazione riguardante il pagamento delle spese di giustizia e i versamenti in favore di Libera, per il resto limitandosi a manifestando una mera «volontà di adempiere nei limiti delle proprie possibilità».
Dal rigetto del ricorso discende la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616, comma 1, primo periodo, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 08/01/2025.
Il Presidente NOME COGNOME