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Pericolosità sociale: quando si applica la misura?

La Corte di Cassazione ha confermato la misura di prevenzione della sorveglianza speciale nei confronti di un giovane condannato per spaccio. La decisione si basa sulla sua “pericolosità sociale”, dimostrata dal fatto che viveva con i proventi di attività illecite, come indicato da un tenore di vita sproporzionato rispetto all’assenza di lavoro. La Corte ha inoltre ribadito che la misura è compatibile con una pena detentiva, la cui esecuzione viene semplicemente sospesa durante la carcerazione e rivalutata al termine della stessa.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Pericolosità sociale: la Cassazione definisce i presupposti

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37664/2025, affronta un tema cruciale nel diritto penale: i criteri per definire la pericolosità sociale di un individuo e applicare misure di prevenzione come la sorveglianza speciale. La pronuncia chiarisce la distinzione tra chi è semplicemente dedito a commettere reati e chi, invece, vive abitualmente con i proventi delle proprie attività illecite, confermando la legittimità della misura in quest’ultimo caso.

I fatti del caso: spaccio e tenore di vita sospetto

Il caso riguarda un giovane a cui era stata applicata la misura di prevenzione della sorveglianza speciale per due anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza e il pagamento di una cauzione. La decisione dei giudici di merito si fondava sulla sua ritenuta pericolosità sociale. Nonostante la giovane età, l’individuo aveva già due condanne per reati legati alla cessione di sostanze stupefacenti.

In due diverse occasioni, a distanza di pochi mesi, era stato trovato in possesso di ingenti quantità di cocaina e crack, chiaramente destinate allo spaccio. A questi elementi si aggiungeva un dato significativo: a fronte di un’assenza di attività lavorativa e di un modesto reddito familiare, il soggetto aveva la disponibilità di due autovetture e di uno scooter di recente acquisto.

I motivi del ricorso e la valutazione della pericolosità sociale

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali, tutti respinti dalla Corte.

La contestazione sulla base giuridica della misura

Il primo motivo di ricorso si basava su un presunto errore di diritto. La difesa sosteneva che la misura fosse stata applicata in base a una norma (art. 1, lett. a, D.Lgs. 159/2011) parzialmente dichiarata incostituzionale. La Cassazione ha liquidato l’argomento come un semplice “refuso” (errore materiale) nella sentenza impugnata, chiarendo che la decisione era solidamente fondata su una base giuridica diversa e pienamente legittima: quella prevista alla lettera b) dello stesso articolo, che riguarda “coloro che (…) vivono abitualmente, anche in parte, con i proventi di attività delittuose”.

La presunta mancanza di abitualità e profitto

Con il secondo motivo, si contestava la sussistenza dei presupposti di fatto per la misura. Secondo la difesa, le due condanne non dimostravano un’attività “abituale” e non c’era prova che l’imputato vivesse dei proventi dello spaccio, non essendo stato trovato in possesso di denaro al momento degli arresti. La Corte ha respinto anche questa tesi, sottolineando che la pericolosità sociale non si deduce solo dal denaro contante, ma da un quadro indiziario complessivo. Nel caso di specie, gli elementi decisivi erano:

* La commissione di due gravi reati in un breve arco temporale.
* La mancanza di qualsiasi fonte di reddito lecita.
* Un tenore di vita (disponibilità di veicoli) incompatibile con la situazione economica dichiarata.

Questi fattori, letti insieme, dimostravano in modo logico che l’attività illecita costituiva una fonte di reddito almeno significativa per il soggetto.

L’incompatibilità con la pena detentiva

Infine, la difesa lamentava che la misura di prevenzione fosse incompatibile con la pena detentiva di oltre quattro anni che il soggetto doveva scontare, sostenendo che ciò vanificasse la funzione rieducativa della pena. Anche questo motivo è stato giudicato infondato.

Le motivazioni della Corte

La Cassazione ha ribadito un principio consolidato, avallato anche dalla Corte Costituzionale: non esiste incompatibilità tra la detenzione e l’applicazione di una misura di prevenzione. L’esecuzione della sorveglianza speciale viene semplicemente sospesa durante il periodo di carcerazione. Una volta espiata la pena, l’organo competente dovrà effettuare una nuova valutazione per verificare se la pericolosità sociale del soggetto sia ancora attuale. Solo in caso di risposta affermativa, la misura di prevenzione tornerà ad essere eseguita.

La Corte ha specificato che la pericolosità deve essere valutata al momento dell’esecuzione della misura, non al momento della sua applicazione. La detenzione, pur avendo una funzione rieducativa, non garantisce automaticamente il venir meno della pericolosità. Sarà quindi necessaria una verifica concreta al termine del periodo di reclusione.

Le conclusioni

In conclusione, la sentenza rigetta il ricorso e conferma la misura di prevenzione. La decisione è importante perché consolida i criteri per l’accertamento della pericolosità sociale basata sul tenore di vita. Non è necessario trovare il “tesoro” del criminale per provare che vive di illeciti; è sufficiente un insieme di prove logiche e convergenti che dimostrino una sproporzione tra i beni posseduti e i redditi leciti. Inoltre, viene riaffermata la piena compatibilità tra il percorso detentivo e le misure di prevenzione, le quali rimangono uno strumento fondamentale per il controllo della pericolosità anche dopo la fine della pena.

Una persona può essere sottoposta a sorveglianza speciale solo perché ha commesso dei reati?
No, non è sufficiente. La Corte di Cassazione chiarisce che la misura è legittima se si dimostra che l’individuo appartiene a una specifica categoria di pericolosità, come quella di chi vive abitualmente, anche solo in parte, con i proventi di attività delittuose, come in questo caso.

Se non viene trovato denaro durante un arresto per spaccio, si può comunque ritenere che una persona viva di quel reato?
Sì. La Corte ha stabilito che la prova non richiede necessariamente il ritrovamento di denaro contante. Un quadro indiziario solido, che includa la ripetizione di reati, la mancanza di lavoro lecito e un tenore di vita sproporzionato rispetto ai redditi dichiarati, è sufficiente per dimostrare che i proventi illeciti sono una fonte di sostentamento.

La sorveglianza speciale può essere applicata a chi deve già scontare una pena in carcere?
Sì, la misura di prevenzione è compatibile con la detenzione. Tuttavia, la sua esecuzione viene sospesa per tutta la durata della carcerazione. Al momento della scarcerazione, un giudice dovrà rivalutare se la pericolosità sociale della persona è ancora attuale prima di decidere se riattivare o meno la misura.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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