Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 8385 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 8385 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/01/2025
SENTENZA
Sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nata a Napoli il 18/08/1975
avverso la sentenza della Corte di appello di Napoli del 10/05/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
sentite le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto che il ricorso venga accolto limitatamente al quarto motivo e per il resto rigettato;
sentito il difensore dell’imputato, Avvocato NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento integrale del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Napoli, con la sentenza indicata in epigrafe, ha confermato la condanna inflitta in primo grado a COGNOME NOME in ordine al delitto di peculato, per essersi, nella qualità di concessionario della ricevitoria del gioco del lotto, e quindi quale incaricato di pubblico servizio, appropriata della somma complessiva di euro 9.446,47 omettendo di versarla alla agenzia delle dogane entro il termine di cinque giorni.
Avverso la sentenza di appello l’imputata ha proposto, a mezzo del proprio difensore, ricorso per cassazione deducendo quattro motivi che si provvede a sintetizzare ai sensi dell’art. 173, comma 1, cod. porc. pen.
2.1. Con il primo motivo si eccepisce violazione di legge e vizio di motivazione in merito all’affermazione di penale responsabilità con particolare riferimento alla ritenuta sussistenza in capo alla ricorrente della qualifica soggettiva di incaricato di pubblico servizio.
2.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità, relativamente, in particolare, alla prova della condotta appropriativa in caso di adempimenti legati al decorso di un termine; si richiama la giurisprudenza della Corte secondo cui in tali casi l’appropriazione non coincide con il mero spirare del termine dovendosi accertare caso per caso quando sia intervenuto l’interversione del possesso. Nella specie, la Corte territoriale si sarebbe limitata ad affermare che i pagamenti sarebbero stati effettuati solo dopo le intimazioni di pagamento senza addurre alcuna giustificazione.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione sempre in riferimento al giudizio di responsabilità; ciò in quanto vi sarebbe stato un inadempimento dovuto al caso fortuito o alla forza maggiore. In ogni caso, nella condotta dell’imputata al più sarebbe configurabile un peculato d’uso
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al mancato riconoscimento dell’attenuante prevista dall’art. 323 bis cod. pwn. e della conseguente erronea applicazione dell’art. 317 bis comma 2 c.p.
Il Procuratore generale presso questa Corte ha depositato una memoria scritta nella quale chiede che la sentenza di appello venga annullata con rinvio in riferimento al quarto motivo.
3.1. Il difensore dell’imputata ha depositato memoria nella quale si argomenta ulteriormente sul tema della rinnovazione e della configurabilità dell’attenuante di cui all’art 323 bis c.p. attesa l’attestazione della inesistenza di situazioni debitori
da parte della ricorrente nei riguardi dell’Agenzia che, attraverso la polizza fideiussoria, ha recuperato le somme alla stessa dovute.
All’esito della discussione tenuta all’odierna udienza, le Parti hanno concluso nei termini in epigrafe riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è complessivamente infondato.
I primi tre motivi, tra loro collegati, sono infondati. Preliminarmente è opportuno ribadire che esula dai poteri di questa Corte di legittimità operare, come vorrebbe la ricorrente, una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944), essendo precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto post fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrente come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020 – dep. 2021, F., Rv. 280601).
2.1. E’ pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che integra il delitto di peculato la condotta del raccoglitore delle giocate del lotto che ometta il versamento delle somme riscosse al concessionario dell’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato per l’esercizio di tale gioco, in quanto il denaro incassato dall’agente, che riveste la qualità di incaricato di pubblico servizio, è di pertinenza della pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione (ex multis, Sez. 6, n. 4937 del 30/04/2019 – dep. 05/02/2020, COGNOME, Rv. 278116 – 01).
2.2. Tale conclusione è contestata dalla ricorrente, secondo la quale invece ella non avrebbe rivestito la natura di “agente contabile”, presupposto della ritenuta qualifica pubblicistica, dal momento che le somme ricevute non sarebbero riversate “nelle casse del tesoro” ma trasferite alla società RAGIONE_SOCIALE in bas all’estratto conto che detta società fornisce ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 560 del 1990. Pertanto, sarebbe la RAGIONE_SOCIALE il soggetto obbligato a riversare alla tesoreria provinciale dette somme e, dunque, le stesse non avrebbero natura pubblica sin dall’inizio e il raccoglitore, cioè il ricevitore, avrebbe solo il compito
convalidare le giocate, consegnare il tagliando allo scommettitore e a trasferire il denaro alla Lotto Italia che, attraverso i terminali in dotazione del ricevitore procede alla accettazione della giocata, alla convalida delle vincite e, solo in seguito, ad autorizzare il pagamento per poi riversare alla tesorerie le somme residue. Da ciò, secondo la ricorrente, consegue che solo in capo alla Lotto Italia si deve riconoscere la natura di agente contabile e, dunque, di incaricato di pubblico servizio; qualità da escludersi invece per il semplice ricevitore-sub concessionario che si limita a svolgere un’attività meramente esecutiva, come nel caso in esame dimostrato dalla presenza di una fideiussione rilasciata dal ricevitore in favore della Lotto Italia, cioè di una società privata, e non della Amministrazione dei Monopoli di Stato.
2.3. Tale tesi non può esser accolta. Come affermato dalla sentenza “Defraia”, prima citata, «il legislatore ha previsto la riserva a favore dello Stato (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) dell’attività di gioco e può affidare la realizzazione di tale servizio, in regime concessione, ad imprese specializzate, le quali esercitano la gestione mediante rete telematica del gioco lecito realizzato con apparecchi e video terminali collocati presso vari esercizi commerciali. I concessionari affidano la gestione telematica del gioco, nonché la riscossione degli introiti, a soggetti, enti o società, con cu stipulano contratti di subconcessione, creando una rete di gestori o esercenti, che fanno parte della propria “subfiliera”. Il contratto stipulato tra il concessionario e il gestore prevede, quali compiti di quest’ultimo, l’installazione degli apparecchi da gioco all’interno degli esercizi pubblici (bar, tabacchi, sale giochi). Il gestore dev essere munito di tutte le autorizzazioni necessarie, deve effettuare il prelievo delle somme contenute negli apparecchi e consegnare al concessionario le somme prelevate dagli apparecchi»; da ciò deriva che «il rapporto tra il concessionario ed il terzo incaricato della raccolta del denaro è qualificato come “rapporto di subconcessione” e pur avendo natura privatistica, regola “servizi pubblici”, perché il gioco è attività riservata allo Stato: la connotazione pubblicistica di tale attiv emerge per il suo diretto collegamento all’interesse generale alla riscossione del gettito che spetta allo Stato (nella specie monopolista), quale provento dell’attività di gioco … La natura privatistica del contratto con cui il concessionario “demanda” ad altro soggetto l’esercizio dell’attività di agente contabile non incide sulla veste di incaricato di pubblico servizio del suboncessionario, in quanto preparatoria e “funzionale” alla riscossione del prelievo erariale unico sulle giocate. Il denaro che si riscuote è fin da subito di spettanza della Pubblica Amministrazione, posto che il concessionario contabilizza il prelievo erariale unico ed esegue il versamento con le modalità definite dall’Amministrazione dei Monopoli. Il denaro versato dai giocatori diviene “pecunia publica” non appena entra in possesso del soggetto Corte di Cassazione – copia non ufficiale
incaricato di raccogliere tale denaro. Gli operatori di filiera non contraggono una mera obbligazione tributaria bensì, rivestendo il ruolo di incaricati di pubblico servizio (consistente nella raccolta del denaro dei giochi), sono tenuti a versare immediatamente al concessionario le somme ottenute dai giochi attraverso gli apparecchi predisposti per le giocate». Pertanto «commette il reato di peculato il titolare dell’attività di raccolta delle giocate, allorché omette il versamento del somme riscosse per conto dell’Amministrazione Finanziaria, atteso che il denaro incassato dall’agente è, sin dal momento della sua riscossione, di pertinenza della P.A.».
2.4. Alla luce delle suesposte conclusioni, che il Collegio condivide interamente, non assumono rilievo le ulteriori deduzioni difensive, circa l’assenza di prova in ordine al fatto che la somma richiesta fosse provento solo del gioco del lotto, atteso che COGNOME era titolare anche della rivendita di altri generi monopolio come tabacchi e altri servizi. I Giudici di merito, con motivazione non sindacabile in sede di legittimità, hanno chiarito che dette somme erano riferibili proprio ai proventi collegati all’esercizio del giuoco del lotto. Così come risult irrilevante la circostanza che la RAGIONE_SOCIALE, nella qualità di sostituto di impos avrebbe onorato il debito verso lo Stato, dal momento che si tratta di denaro che, sin dall’inizio, era di proprietà erariale e il fatto che un altro soggetto intervenuto al posto dell’obbligato per “ripianare il debito” non può incidere sulla configurabilità del reato di peculato che consiste nell’appropriazione delle somme di proprietà pubblica.
3. Infondata è, altresì, la censura secondo la quale nel caso di specie non sarebbe configurabile una condotta di appropriazione, trattandosi solo di un inadempimento, non avendo il ricevitore l’obbligo di un conto dedicato, ma solo quello di trasferire alla Lotto Italia le somme indistintamente ricevute in ragione della pluralità di servizi compiute (tabacchi, marche da bollo ecc.). Al riguardo, questo Collegio condivide l’orientamento di legittimità secondo cui il delitto di peculato per ritardato versamento, da parte dal concessionario del servizio di ricevitoria del lotto, delle giocate riscosse per conto dell’Azienda Autonoma Monopoli di Stato è configurabile quando la condotta omissiva si protragga oltre la scadenza del termine ultimo indicato nell’intimazione che l’amministrazione è tenuta ad inviare al concessionario sotto la comminatoria della decadenza dalla concessione, a condizione che sia altresì raggiunta la prova dell’interversione del titolo del possesso, evincibile dal protrarsi della sottrazione della “res” all disponibilità dell’ente pubblico per un lasso di tempo ragionevolmente apprezzabile e comunque tale da denotare inequivocabilmente l’atteggiamento “appropriativo” dell’agente (Sez. 6, n. 31167 del 13/04/2023, COGNOME, Rv. 285082 – 01).
Circostanza, questa, adeguatamente dimostrata dalle sentenze di merito, secondo le quali COGNOME, sebbene intimata a versare quanto dovuto relativamente ai periodi dal 22 ottobre al 15 novembre 2019, per un totale di euro 9.466, non aveva adempiuto per l’insorgenza di difficoltà economiche, che l’hanno costretta a chiudere l’attività, come dalla predetta ammesso in sede di interrogatorio (sentenza di appello, pag. 3 s.).
3.1. Neppure può accogliersi la richiesta di qualificazione del fatto ai sensi del secondo comma dell’art. 314 cod. pen., essendo pacifico che il peculato d’uso è configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel primo comma dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fini dell’integrazione dell’ipotesi attenuata (ex multis, Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015, Stanca, Rv. 266242 – 01).
Ugualmente infondata è la doglianza relativa alla mancata rinnovazione dell’istruzione dibattimentale in appello al fine di acquisire la deposizione del fratello dell’imputata in merito all’effettiva gestione della rivendita, da ascrivere costui e non alla COGNOME. Invero, può essere censurata in cassazione la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale solo qualora si dimostri l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577 – 01). E’ pacifico che l’intestataria della sub concessione fosse l’imputata di tal che risulta irrilevante che la predetta si facesse aiutare – o addirittura talora sostituire – d fratello nello svolgimento dell’attività, della quale rimane la responsabile, e, d’altr canto, quest’ultimo è stato escusso nel giudizio di primo grado e quindi il tema di prova ben avrebbe potuto essere esplorato in quella sede.
Inammissibile è il quarto motivo. Invero, l’applicazione della circostanza attenuante dell’art. 323 bis cod. pen. non risulta richiesta nell’atto di gravame e neppure in sede di conclusioni nell’udienza di appello. Pertanto, deve trovare applicazione il principio secondo cui il mancato esercizio del potere-dovere del giudice di appello di applicare di ufficio una circostanze attenuante, non accompagnato da alcuna motivazione, può costituire motivo di ricorso per cassazione per violazione di legge o difetto di motivazione solo se l’effettivo espletamento del medesimo potere-dovere sia stato sollecitato da una delle parti, almeno in sede di conclusioni nel giudizio di appello (Sez. 4, n. 29538 del
28/05/2019, COGNOME, Rv. 276596 – 02). Da ciò consegue anche la corretta determinazione della pena accessoria di cui all’art. 317 bis cod. pen., di durata perpetua, atteso che la pena irrogata all’imputata è superiore a due anni e a favore della stessa non è stata riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 323-bis cod. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 14 gennaio 2025
Il Consigliere fftensore
Il Pr idente