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Peculato medico: la Cassazione fa chiarezza

La Corte di Cassazione si pronuncia su un caso di peculato medico, annullando con rinvio la condanna per due medici e confermandola per un terzo. La sentenza stabilisce un principio fondamentale: per configurare il reato, non basta che il medico riceva denaro da un paziente, ma è necessario dimostrare che la prestazione sia stata erogata attraverso i canali ufficiali dell’attività ‘intramoenia’. Se la visita avviene in un contesto puramente privato, si può avere una violazione contrattuale ma non il delitto di peculato medico.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Peculato Medico: Quando la Visita Privata Diventa Reato?

L’attività libero-professionale dei medici del Servizio Sanitario Nazionale, nota come ‘intramoenia’, è spesso al centro di complesse questioni legali. Una recente sentenza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: quando l’omesso versamento di somme ricevute da un paziente configura il grave reato di peculato medico e quando, invece, si tratta di una diversa violazione? La Corte ha chiarito che la linea di demarcazione risiede nella modalità con cui la prestazione sanitaria viene attivata e gestita.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguardava tre medici di un ospedale pubblico, autorizzati a svolgere attività privata in regime di convenzione. Le loro posizioni, tuttavia, erano distinte:

* Un primo medico era accusato di aver emesso regolari fatture intestate all’Azienda Sanitaria, registrando falsamente l’incasso nel sistema informatico, senza però versare le somme corrispondenti all’ente. La sua difesa si basava su un presunto malfunzionamento del software gestionale.
* Altri due medici erano invece accusati di aver ricevuto denaro da alcuni pazienti senza emettere alcuna fattura e, di conseguenza, senza versare nulla all’Azienda Sanitaria.

La Corte d’Appello aveva confermato la condanna per peculato per tutti e tre gli imputati.

La Decisione della Cassazione sul Peculato Medico

La Corte di Cassazione ha ribaltato parzialmente la decisione di secondo grado, operando una distinzione fondamentale tra le diverse posizioni.

Per i due medici che non avevano emesso fattura, la Corte ha annullato la sentenza di condanna, rinviando il caso a un nuovo giudizio d’appello. Per il medico che invece aveva emesso fatture ma omesso il versamento, la condanna per il reato è stata sostanzialmente confermata, rigettando il ricorso nel merito, ma la sentenza è stata annullata senza rinvio limitatamente a una pena accessoria, che è stata eliminata.

Il Principio di Diritto: La Distinzione Cruciale

Il cuore della sentenza risiede nel principio secondo cui, per integrare il delitto di peculato, è indispensabile che il medico si appropri di denaro di cui ha la disponibilità ‘per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali’. Nel contesto dell’attività intramuraria, questo significa che il denaro diventa ‘pubblico’ solo se la prestazione sanitaria è stata attivata e gestita tramite i canali ufficiali del Servizio Sanitario (prenotazione tramite CUP, accettazione, etc.).

Se un paziente si rivolge a un medico in un rapporto puramente privato, senza ‘passare’ dall’Azienda Sanitaria, il medico che riceve il compenso viola il suo rapporto di esclusività con l’ente, commettendo un illecito contrattuale e disciplinare, ma non si appropria di denaro pubblico. Pertanto, non commette il reato di peculato.

Il Rifiuto della Tesi sul Sistema Informatico

Per quanto riguarda il medico che addebitava il mancato versamento a un errore del sistema, la Cassazione ha ritenuto la sua difesa infondata. I giudici hanno considerato la motivazione della Corte d’Appello logica e coerente nel ritenere che le prove raccolte non supportassero la tesi dell’errore incolpevole, ma indicassero piuttosto una volontà di appropriarsi delle somme.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione per l’annullamento nei confronti dei due medici è netta: la Corte territoriale è stata ‘silente’ e non ha indagato su un punto fondamentale, ovvero come i pazienti fossero ‘arrivati’ allo studio medico. Non è stato accertato se avessero seguito la procedura ufficiale di ‘intra moenia’ allargata o se si fossero rivolti ai professionisti in via diretta e privata. In assenza di questa prova, non si può stabilire la natura pubblica del denaro e, di conseguenza, non si può configurare il delitto di peculato. Il nuovo giudizio d’appello dovrà colmare questa lacuna istruttoria.

Per il terzo medico, invece, l’emissione di fatture intestate all’Azienda Sanitaria costituiva la prova che l’attività era stata svolta nell’ambito del rapporto funzionale con l’ente pubblico. Di conseguenza, le somme incassate erano indiscutibilmente di spettanza dell’Azienda e il loro mancato versamento integrava pienamente il reato contestato.

Le Conclusioni

Questa sentenza traccia una linea chiara e di grande importanza pratica. Per l’accusa, non è più sufficiente dimostrare che un medico pubblico abbia ricevuto un pagamento per una prestazione privata. È necessario provare in modo inequivocabile che quella prestazione sia stata erogata all’interno della cornice procedurale dell’attività intramuraria. Per i medici, la sentenza ribadisce che, sebbene la violazione del patto di esclusività abbia conseguenze disciplinari e contrattuali, essa non si traduce automaticamente in una condanna per il grave reato di peculato. La qualifica giuridica del fatto dipende interamente dal rapporto funzionale tra l’incasso del denaro e il pubblico ufficio ricoperto.

Un medico del servizio sanitario pubblico che riceve denaro da un paziente per una visita privata commette sempre il reato di peculato?
No. Secondo la sentenza, il reato di peculato si configura solo se la prestazione sanitaria viene erogata attraverso i canali ufficiali del sistema pubblico in regime di ‘intramoenia’. Se il rapporto è puramente privato e non passa attraverso l’azienda sanitaria, il medico può commettere una violazione disciplinare o contrattuale, ma non il delitto di peculato.

Cosa deve dimostrare l’accusa per provare il peculato medico in attività ‘intramoenia’?
L’accusa deve dimostrare che il denaro incassato dal medico era nella sua disponibilità in ragione del suo ufficio. Ciò significa provare che la visita è stata prenotata e gestita attraverso le procedure ufficiali dell’azienda sanitaria, rendendo così le somme percepite di spettanza pubblica.

Un malfunzionamento del sistema informatico può giustificare il mancato versamento delle somme dovute all’Azienda Sanitaria?
Nel caso specifico, la Corte di Cassazione ha ritenuto che la difesa basata su un presunto malfunzionamento del sistema informatico fosse infondata. La valutazione dipende dalle prove specifiche del caso, ma la sentenza suggerisce che una tale giustificazione deve essere supportata da prove concrete e convincenti per escludere la colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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