Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 18240 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 18240 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 03/12/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME nata a Corigliano Calabro 1’08/08/1952
COGNOME NOMECOGNOME nato a Longobucco il 03/07/1948
COGNOME NOMECOGNOME nato a Terravecchia il 21/08/1952
avverso la sentenza emessa il 14/03/2024 dalla Corte di appello di Catanzaro;
udita la relazione svolta dal Consigliere, NOME COGNOME
lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale, dott. NOME COGNOME che ha chiesto l’annullamento con effetto estensivo della impugnata sentenza limitatamente alla pena accessoria della incapacità a contrattare con la pubblica amministrazione;
lette le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME difensore di fiducia della costituita pa civile, Azienda Sanitaria Provinciale di Cosenza, che ha chiesto che i ricorsi siano dichiarati inammissibili o rigettati;
lette le conclusioni degli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME, difensori d fiducia di COGNOME NOME, che hanno insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso; lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME, difensore di fiducia di COGNOME, che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
lette le conclusioni dell’Avv. NOME COGNOME difensore di fiducia di NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso;
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Catanzaro ha confermato la sentenza con cui NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME Rocco sono stati condannati per il reato di peculato.
Gli imputati, in qualità di medici in servizio presso l’Ospedale di Corigliano Calabr autorizzati a svolgere, in regime di convenzione, attività libero – professiona intramuraria presso il proprio studio, si sarebbero appropriati di una serie di somme.
In particolare:
Pranteda, avendo emesso fatture recanti l’intestazione ASP e registrato falsamente nel sistema informatico dell’ASP l’incasso, non avrebbe poi versato all’azienda quanto “di spettanza, in tal modo appropriandosene” (si tratta di sei fatture);
COGNOME e NOMECOGNOME pur avendo ricevuto somme di denaro da alcune pazienti, non avrebbero emesso fattura con l’intestazione ASP e avrebbero omesso di versare le somme (si tratta per il primo delle visite a due pazienti e per la seconda delle visite una paziente).
Ha proposto ricorso per cassazione COGNOME NOME articolando quattro motivi.
2.1. Con il primo si deduce vizio di motivazione quanto al rigetto della richiesta assunzione – nel giudizio di primo grado, ai sensi dell’art. 507 cod. proc. pen., ovver nel corso del giudizio di appello – delle dichiarazioni dell’ing. NOME COGNOME responsabile del “nuovo” applicativo informatico – mal funzionante- che consentiva ai medici di “gestire” la prenotazione, l’accettazione delle visite e l’emissione delle fatt digitando un tasto che le generava senza, tuttavia, “scaricarle” nel registro cassa in cu veniva riportato l’importo incassato e da versare a fine mese alla Azienda Sanitaria (così il ricorso).
La richiesta di integrazione probatoria sarebbe stata rigettata perché superflua in ragione della documentazione acquisita e delle deposizioni assunte.
Si tratterebbe di una motivazione viziata perché: a) in contrasto con il quadro probatorio delineato dagli altri due testi COGNOME e NOME che, a loro volta, avrebb fatto riferimento al teste NOME COGNOME; b) non terrebbe conto dei numerosi contrasti esistenti tra le due deposizioni dei testi, in parte riportate in ricorso, e che atteng come detto, alla esistenza di anomalie di funzionamento nel sistema informatico che riguardavano la possibilità di emettere una fattura che, tuttavia, “non passava dal registro di cassa” e non veniva contabilizzata “impedendo così il successivo versamento della somma incassata da parte dell’ignaro operatore sanitario” (così il ricorso); un sistema, cioè, che “non consentiva la registrazione dell’incasso sul giornale di cassa dell’ASP” (così la Corte).
2.2. Con il secondo motivo si deduce vizio di motivazione; il tema attiene alla valutazione delle testimonianze di COGNOME e NOME; si assume che, proprio in ragione della prospettata “confusione” generata dall’uso del sistema, l’imputato sarebbe stato in incolpevole ritardo.
Sarebbero errate e congetturali le affermazioni della Corte secondo cui gli assunti difensivi non avrebbero adeguata capacità dimostrativa, da una parte, perchè l’imputato si era in altre occasioni avvalso del sistema senza cadere in errore e dall’altra, perché, il mancato versamento era stato occultato e denunciato solo dopo che gli accertamenti della Guardia di Finanza ne avevano svelato l’esistenza.
Si assume, invece, che l’imputato era impossibilitato a pagare prima della richiesta della ASP, in quanto le fatture, non essendo transitate nel registro di cassa, avrebbero dovuto prima essere rintracciate; l’imputato avrebbe poi provveduto al pagamento.
Anche l’affermazione della Corte secondo cui i testi non avrebbero riferito di anomalie del sistema e di una confusione generata da detta anomalia sarebbe errata.
2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge quanto alla mancata configurazione della fattispecie di peculato d’uso, alla ritenuta continuazione interna alla mancata riduzione della pena nel massimo, a seguito del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen., in ragione, secondo la Corte di appel della durata dell’azione e del comportamento dell’imputato che, scoperto, avrebbe posto in essere un carteggio “utile solo a tentare di allontanare da sé sospetti”, con c rivelando una particolare intensità del dolo.
Quanto al peculato d’uso avente ad oggetto il denaro, secondo il ricorrente vi sarebbe un contrasto giurisprudenziale che dovrebbe indurre a rimettere la questione alle Sezioni unite; quanto all’attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen., non sarebbero st considerati adeguatamente la modesta entità dei fatti, il comportamento degli imputati e, in particolare, del ricorrente che avrebbe versato le somme relative alle fatture no pagate.
2.4. Con il quarto motivo si deduce violazione di legge processuale; il tema attiene alla violazione dell’art. 525 cod. proc. pen.: la decisione sarebbe stata adottata da giudi diversi rispetto a quelli che avevano partecipato alla istruttoria dibattimentale
Per le prime tre udienze del 6.4.2018, 18.9.2018 e 15.1.2019 il Collegio sarebbe stato composto dai magistrati COGNOME, COGNOME e COGNOME e in dette udienze sarebbero stati escussi tre testi; all’udienza del 23.10.2020, il Collegio sarebbe stato composto da COGNOME, COGNOME e COGNOME e sarebbe stato dato atto del mutamento del Collegio; alla udienza del 16.2.2021, il Collegio, composto dai magistrati COGNOME, COGNOME, COGNOME, avrebbe escusso tre testi e non si sarebbe dato atto del mutamento della composizione; all’udienza del 26.3.2021, il Collegio sarebbe stato costituito da COGNOME e COGNOME e il Presidente, dopo aver dato che nella precedente udienza era mutata la
composizione, aveva proceduto, in ragione della ennesima mutazione, alla rinnovazione dibattimentale.
Secondo il ricorrente, all’udienza del 16.2.2021 non vi sarebbe stata rinnovazione e dunque vi sarebbe nullità, a nulla rilevando la successiva rinnovazione.
Ha proposto ricorso per cassazione NOME COGNOME articolando cinque motivi.
3.1. Con il primo e il secondo motivo si deduce vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
Il tema attiene, da una parte, all’elemento oggettivo del reato e alla mancata quantificazione degli importi percepiti, e, dall’altra, all’assenza di dolo in ragione occasionalità della condotta e della esiguità degli importi oggetto di appropriazione.
L’imputato avrebbe visitato le pazienti, talvolta, gratuitamente e, in altre occasion a tariffe inferiori rispetto a quelle previste dalla Asp; dunque, una condotta incompatibi con la volontà di appropriarsi.
3.2. Con il terzo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla mancata riduzione di un terzo della pena per effetto del riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 323 bis cod. pen.
3.3. Con il quarto e il quinto motivo si deduce violazione di legge quanto alla pena accessoria della interdizione dei pubblici uffici e del divieto di contrattare con la pubb amministrazione per la durata di cinque anni.
Si sostiene che la pena accessoria del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione non fosse prevista al momento della commissione del reato (2013) essendo stata introdotta con la legge n. 3 del 2019; si aggiunge, sotto altro profilo, ch la pena accessoria prevista dall’art. 317 bis cod. pen. della interdizione dei pubblici uf dovrebbe essere considerata – essendo previsto un minimo ed un massimo edittale quale “pena accessoria di durata non espressamente determinata dalla legge” e nella specie sarebbe stata inflitta per la durata di cinque anni senza nessuna motivazione
Ha proposto ricorso per cassazione NOME articolando due motivi.
4.1. Con il primo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto al giudizio di responsabilità.
La Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibile il primo motivo di impugnazione sull’erroneo presupposto che si sarebbe trattato di una mera riproposizione di tesi già valutate dal Tribunale.
Si tratterebbe di un assunto errato, atteso che non vi sarebbero preclusioni a proporre in appello argomentazioni difensive già rappresentate in primo grado e nella specie sarebbero stati indicati in modo specifico i punti e i capi della sentenza impugnata
In particolare, la Corte non avrebbe spiegato perché sarebbe maggiormente credibile la tesi accusatoria rispetto alla prospettazione alternativa lecita della difesa; né sareb stato chiarito perché le dichiarazioni rese durante le indagini dal teste COGNOME sarebber più attendibili rispetto a quelle riferite in dibattimento nel contraddittorio delle pa
Né, ancora, sarebbe stato spiegato perché, in presenza di tre testimonianze (COGNOME, COGNOME e COGNOME) concordi nel ritenere che l’imputata non avesse preteso nessun pagamento rispetto alle prestazioni svolte, avallando la tesi del rapporto privato e pregresso tra la dottoressa e la paziente, dovrebbe ritenersi provato l’assunto accusatorio.
Le somme sarebbero state erogate dai pazienti a titolo di regalia alla imputata che, quindi, non avrebbe dovuto riversarle alla ASP.
In tal senso militerebbe la circostanza per cui, rispetto alla verifica di un nume imprecisato di fatture, sarebbe stata non emessa solo la fattura nei riguardi di NOME: sul punto sarebbe stata necessaria una adeguata spiegazione quanto al dolo
4.2. Con il secondo motivo si deduce violazione di legge e vizio di motivazione quanto alla durata delle pene accessorie.
Sono state depositata memorie nell’interesse degli imputati con cui si riprendono e si sviluppano ulteriormente í motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1 ricorsi sono fondati nei limiti di cui si dirà.
Per ragioni di metodo è utile esaminare innanzitutto il ricorso proposto nell’interesse di NOME COGNOME che è fondato quanto al primo motivo.
In punto di fatto non è in contestazione che il giudizio di responsabilità sia sta formulato per avere l’imputata non versato alla Azienda Sanitaria alcune somme che avrebbe incassato dalla paziente COGNOME NOME, a seguito di alcune prestazioni eseguite in regime c.d. intramoenia allargato.
Non è neppure in contestazione che per dette visite non sarebbe stata emessa nessuna fattura.
Dunque, a fronte delle verifiche compiute in sede di indagini, NOME si sarebbe appropriata di somme relative alla sola paziente COGNOME per le quali non sarebbe stata nemmeno emessa fattura.
Al di là della formale dichiarazione di inammissibilità della Corte di appello co riguardo al primo motivo di impugnazione ad essa devoluto, in realtà esaminato nel merito dalla Corte (cfr., pag. 8), il tema che assume rilievo è quello del se queste visi
fossero “passate” dall’Azienda sanitaria, cioè fossero visite prenotate “attraverso” Servizio nazionale sanitario e poi eseguite dai medici in regime di convenzione.
La Corte di cassazione ha già chiarito che integra il delitto di peculato la condotta de medico dipendente di un ospedale pubblico il quale, svolgendo in regime di convenzione attività intramuraria, dopo aver riscosso l’onorario dovuto per le prestazioni, omette po di versare all’azienda sanitaria quanto di spettanza della medesima, in tal modo appropriandosene, a condizione che la disponibilità del denaro sia legata all’esercizio dei poteri e dei doveri funzionali del medesimo, e non derivi da un affidamento devoluto solo “intuitu personae” ovvero da una condotta “contra legem” (Sez. 6, n. 24717 del 24/04/2024, COGNOME, Rv. 286666 in cui, in applicazione del principio, la Corte ha annullato con rinvio la sentenza impugnata per non aver chiarito se l’imputata, svolgendo le prestazioni sanitarie presso il proprio studio professionale, avesse previamente attivato la procedura di “intra moenia” allargata, cui era autorizzata, trattenendo quanto aveva riscosso in ragione del proprio ufficio, ovvero avesse operato al di fuori del rapporto con l’amministrazione, in violazione delle norme contrattuali disciplinari ad esso inerenti).
In tal senso anche Sez. 6, n. 35988 del 21/05/2015, COGNOME, Rv. 264578 con cui si è affermato che «nello schema normativo della fattispecie di peculato la locuzione “ragione del suo ufficio o servizio” esprime una caratterizzazione giuridica del poter che deve sussistere in capo al soggetto attivo: per commettere il delitto di peculato, dunque, il pubblico ufficiale, ovvero l’incaricato di pubblico servizio, deve appropria del denaro o della cosa mobile di cui dispone per una ragione legata all’esercizio di poteri o doveri funzionali, in un contesto che consenta al soggetto di tenere nei confronti dell cosa quei comportamenti uti dominus in cui consiste l’appropriazione, dovendosi ritenere incompatibile con la presenza della ragione funzionale un possesso proveniente da un affidamento devoluto solo intuitu personae (Sez. 6, n. 34884 del 07/03/2007, Rv. 237693), ovvero scaturito da una situazione contra legem o evidentemente abusiva, senza alcuna relazione legittima con l’oggetto materiale della condotta» (In tal senso anche, Sez. 6, n. 23792 del 10/03/2024, COGNOME, in motivazione).
Ciò che deve dunque essere accertato, ai fini dell’affermazione della responsabilità, è che il medico autorizzato a svolgere attività intramoenia con un rapporto di esclusività con l’Azienda non si sia limitato a violare solo l’esclusività esercitando un’attività consentita, ma si sia invece appropriato delle somme che, in ragione della riferibilit della sua attività all’ente, avrebbe dovuto versare a questo.
È possibile che il medico violi il rapporto di esclusività, e, ad esempio, vi privatamente senza “passare” dalla Azienda, cioè in ragione di un rapporto personale con il paziente che, dunque, a lui si rivolge non tramite l’Azienda; in tali casi il me viola la convenzione con l’ente di riferimento, ma non si appropria delle somme che il
paziente eventualmente corrisponde e che il pubblico ufficiale detiene non “in ragione” del suo ufficio”.
La Corte territoriale sul punto è silente e non precisa il rapporto professional intercorso tra il paziente e l’imputata: se, cioè, la COGNOME fosse “arrivata” allo s medico della COGNOME a seguito dell’attivazione della procedura di “intra moenia” allargata, ovvero se ella avesse effettuato le visite e gli esami al di fuori di detto rapporto dunque violando il rapporto contrattuale con l’Amministrazione), atteso che, in questo caso non sarebbe integrabile l’appropriazione di somme di cui l’agente disponeva e che avrebbero dovuto essere versate all’Azienda sanitaria, in ragione del rapporto pubblicistico sottostante.
Ne consegue che sul punto la sentenza deve essere annullata; la Corte, applicherà i principi indicati e verificherà se e in che termini sia possibile configurare nei rigu della ricorrente il delitto contestato.
4. Il secondo motivo di ricorso è assorbito
Le considerazioni formulate consentono di ritenere fondato anche il ricorso proposto nell’interesse di Scorpiniti, rispetto al quale pure non sono state rinvenut fatture intestate all’Azienda sanitaria e, dunque, la sentenza deve essere annullata con rinvio.
Anche in tal caso i motivi ulteriori rispetto ai primi due sono assorbiti.
È infondato invece il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOME rispetto al quale il giudizio di responsabilità è stato fatto discendere dal rinvenimento di fatt da lui emesse e intestate alla Azienda e dal mancato rinvenimento del versamento delle somme riscosse
Dunque, una piattaforma probatoria diversa rispetto a quella degli altri due ricorrenti
6.1. Sono infondati, ai limiti della inammissibilità, i primi due motivi di ricorso.
La Corte di appello ha ampiamente spiegato, con una motivazione non manifestamente illogica, perché: a) non fosse necessaria l’integrazione probatoria attraverso l’audizione del teste NOME COGNOME; b) debba essere escluso che l’operatività del sistema possa avere generato un errore incolpevole nell’imputato; c) non può essere attribuita decisiva valenza alla documentazione successiva alla emersione del fatto sul piano investigativo.
In tale contesto i motivi di ricorso rivelano la loro strutturale infondatezza, essend sostanzialmente limitato il ricorrente a sollecitare una diversa valutazione delle prov poste a fondamento del rigetto della richiesta di integrazione probatoria e, in ultim analisi, una diversa ricostruzione dei fatti.
6.2. È inammissibile il terzo motivo, essendo il peculato d’uso configurabile solo in relazione a cose di specie e non al denaro, menzionato in modo alternativo solo nel
primo comma dell’art. 314 cod. pen., in quanto la sua natura fungibile non consente – dopo l’uso – la restituzione della stessa cosa, ma solo del “tantundem”, irrilevante ai fi
dell’integrazione dell’ipotesi attenuata (Sez. 6, n. 49474 del 04/12/2015, Stanca, Rv.
266242)
6.3. È infondato, ai limiti della inammissibilità, anche il quarto motivo di rico atteso che secondo la stessa ricostruzione difensiva, il Tribunale all’udienza del
26.3.2021, dopo avere dato atto che alla precedente udienza del 16.2.2021 non si era proceduto, dispose la rinnovazione dell’attività in precedenza compiuta.
6.4. Il ricorso dunque è nel complesso infondato ma, pur non essendo stata la questione dedotta, la sentenza deve essere annullata senza rinvio limitatamente alla
pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione che deve essere eliminata.
Si tratta di una pena accessoria non prevista al momento della commissione del fatto, essendo stata introdotta solo con la legge n. 3 del 2019.
6.4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna dell’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Azienda Sanitaria di Cosenza che si liquidano in complessivi 3.800,00 euro oltre accessori di legge.
P. Q. M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME limitatamente alla pena accessoria della incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione, pena che elimina.
Rigetta nel resto il ricorso.
Condanna COGNOME NOME alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile Azienda Sanitaria di Cosenza che liquida in complessivi 3.800,00 euro oltre accessori di legge.
Annulla la medesima sentenza nei confronti di NOME e COGNOME NOME e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Catanzaro.
Così deciso in Roma il 3 dicembre 2024.