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Parcheggiatore abusivo: condanna senza prova del compenso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un individuo condannato per l’attività di parcheggiatore abusivo. La Corte ha stabilito che la condanna è legittima anche in assenza della prova del pagamento di un compenso, essendo sufficiente che l’imputato sia stato sorpreso a indicare con gesti inequivocabili gli spazi per parcheggiare. L’appello è stato ritenuto una mera riproposizione di argomenti già respinti.

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Pubblicato il 13 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Parcheggiatore Abusivo: Condanna Valida Anche Senza Prova del Pagamento

L’attività di parcheggiatore abusivo è un fenomeno diffuso che il legislatore ha inteso contrastare con una specifica norma sanzionatoria. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha fornito un importante chiarimento sui presupposti necessari per la configurabilità di tale reato, stabilendo che la condanna può essere confermata anche in assenza della prova che sia stato effettivamente corrisposto un compenso. Questa decisione rafforza gli strumenti di repressione, concentrandosi sulla condotta stessa piuttosto che sulle sue conseguenze economiche.

Il Caso: Dalla Corte d’Appello alla Cassazione

Il caso in esame riguarda un individuo condannato in secondo grado dalla Corte d’Appello di Napoli per aver esercitato l’attività di parcheggiatore non autorizzato, reato previsto dall’articolo 7, comma 15-bis, del Codice della Strada. L’imputato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo la carenza di prove sufficienti a dimostrare la sua effettiva responsabilità. Il motivo principale del ricorso si basava sull’assenza di dimostrazione di un avvenuto pagamento o di una richiesta di denaro, elemento che, a detta della difesa, sarebbe stato cruciale per configurare il reato.

La Decisione della Corte: La Condotta del Parcheggiatore Abusivo è Rilevante

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e riproduttivo di censure già esaminate e correttamente respinte dal giudice di merito. La decisione si fonda su due pilastri argomentativi fondamentali.

L’Inammissibilità del Ricorso per Manifesta Infondatezza

In primo luogo, i giudici hanno osservato che il ricorso non introduceva nuovi elementi di critica, ma si limitava a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e disattese in appello. La Corte d’Appello aveva infatti basato la sua decisione su plurime circostanze di fatto, adeguatamente motivate, che dimostravano la condotta illecita dell’imputato. La Cassazione, in questi casi, non può riesaminare il merito dei fatti, ma solo verificare la correttezza logico-giuridica della motivazione, che in questo caso è stata ritenuta congruente e logica.

L’Irrilevanza del Compenso ai Fini del Reato

Il punto centrale della decisione riguarda la natura del reato. La Cassazione ha ribadito un principio cruciale: per la configurabilità del reato di parcheggiatore abusivo, non è necessario che vi sia la prova della ricezione di un compenso. L’elemento essenziale del reato non è l’ottenimento di un guadagno, ma lo svolgimento dell’attività non autorizzata in sé.

Le Motivazioni della Cassazione

Le motivazioni della Corte si sono concentrate sulla valorizzazione delle prove fattuali raccolte. I giudici di merito avevano accertato che l’imputato era stato “colto nell’indicare con gesti inequivocabili lo spazio da occupare nel parcheggio”. Questa condotta, secondo la Cassazione, è di per sé sufficiente a integrare la fattispecie di reato. La logica della norma è quella di sanzionare l’ingerenza indebita nella gestione degli spazi pubblici, a prescindere dal fatto che tale attività si traduca in un effettivo guadagno. La mancanza di prova sulla corresponsione di somme di denaro non è idonea a smentire la logicità della sentenza di condanna, poiché tale circostanza non costituisce un elemento essenziale del reato.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La pronuncia della Cassazione ha importanti implicazioni pratiche. Conferma che l’attenzione delle forze dell’ordine e dei giudici deve concentrarsi sulla condotta materiale di chi, senza autorizzazione, si arroga il diritto di gestire aree di sosta. La decisione rende più agevole l’accertamento del reato, poiché non è più necessario dimostrare una transazione economica, spesso difficile da provare. Per i cittadini, ciò significa che la semplice presenza di un individuo che indica dove parcheggiare con fare insistente può integrare un illecito penalmente rilevante. In conseguenza dell’inammissibilità del ricorso, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro alla Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria.

È necessario provare che il parcheggiatore abusivo ha ricevuto un compenso per poterlo condannare?
No, la sentenza chiarisce che la corresponsione di un compenso non costituisce un elemento essenziale del reato. La condanna si fonda sull’esercizio dell’attività non autorizzata in sé.

Quali prove sono sufficienti per dimostrare l’attività di parcheggiatore abusivo?
Secondo la Corte, sono sufficienti prove fattuali che dimostrino la condotta, come essere sorpresi mentre si indicano con gesti inequivocabili gli spazi da occupare nel parcheggio.

Cosa succede se un ricorso in Cassazione si limita a ripetere le stesse argomentazioni già respinte in appello?
Il ricorso viene dichiarato inammissibile per palese infondatezza e perché riproduttivo di censure già vagliate. Ciò comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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