Ordine di Demolizione e Abuso Edilizio: Quando il Ricorso è Inammissibile
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 24057 del 2024, è tornata a pronunciarsi su un tema tanto delicato quanto frequente: l’esecuzione di un ordine di demolizione a seguito di una condanna per abuso edilizio. La decisione offre importanti chiarimenti sui limiti dell’impugnazione, in particolare quando il condannato adduce motivazioni legate a difficoltà economiche o a presunte violazioni procedurali. Questo caso evidenzia la fermezza della giurisprudenza nel ritenere l’ordine ripristinatorio un atto dovuto e non negoziabile, anche a distanza di molti anni dalla condanna.
I Fatti del Caso: Un Abuso Edilizio e il Lungo Percorso Giudiziario
La vicenda trae origine da una sentenza di condanna per abuso edilizio emessa dal GIP nel lontano 2006. A seguito di tale sentenza, nel 2022 il Pubblico Ministero emetteva il decreto di esecuzione dell’ordine di demolizione dell’immobile abusivo. La proprietaria dell’immobile presentava un ricorso al Giudice dell’Esecuzione, che però veniva rigettato. Contro quest’ultima decisione, la ricorrente si rivolgeva alla Corte di Cassazione, articolando tre principali motivi di doglianza.
I Motivi del Ricorso: Tre Censure Contro l’Ordine di Demolizione
La difesa della ricorrente si basava su tre argomentazioni principali, volte a bloccare o limitare l’esecuzione della demolizione.
La Questione dell’Autodemolizione
In primo luogo, si lamentava la violazione di legge per esserle stata negata la possibilità di procedere autonomamente alla demolizione senza prima versare le spese di una consulenza tecnica disposta in precedenza dal Pubblico Ministero. Secondo la ricorrente, questa condizione preliminare era illegittima.
La Proporzionalità della Misura e le Difficoltà Economiche
Il secondo motivo di ricorso verteva sulla violazione di norme processuali e sul principio di proporzionalità sancito dall’art. 8 della CEDU. La ricorrente sosteneva di non essere in grado di trovare soluzioni abitative alternative a causa della sua precaria condizione economica, percependo una pensione di soli 700 euro. La demolizione, a suo dire, avrebbe rappresentato una misura sproporzionata.
La Demolizione Parziale dell’Immobile
Infine, veniva contestata la mancata concessione della possibilità di demolire solo l’ampliamento abusivo del manufatto, quantificato in 40 mq, anziché l’intera struttura.
Le Motivazioni della Corte Suprema
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile, confutando punto per punto le argomentazioni della ricorrente.
Sul primo punto, i giudici hanno osservato che la ricorrente non aveva mai formalmente chiesto di procedere all’autodemolizione. La facoltà concessa dal PM era quindi “meramente eventuale” e non un diritto che potesse essere fatto valere in sede di impugnazione.
In merito alla presunta sproporzionalità della misura, la Corte ha sottolineato che erano trascorsi ben sedici anni dalla sentenza di condanna, un lasso di tempo considerato più che sufficiente per reperire un alloggio alternativo. Inoltre, citando la giurisprudenza consolidata, ha ribadito che le condizioni economiche precarie, da sole, non bastano a giustificare la revoca di un ordine di demolizione. La ricorrente non aveva, peraltro, dimostrato di aver richiesto accesso a misure di sostegno pubblico.
Infine, riguardo alla richiesta di demolizione parziale, la Cassazione ha confermato la correttezza della decisione del giudice precedente. Tale richiesta implicherebbe un accertamento di fatto, incompatibile con la natura definitiva e non più modificabile (il cosiddetto “giudicato”) della sentenza di condanna. Il giudice dell’esecuzione, e a maggior ragione la Corte di legittimità, non possono riesaminare nel merito aspetti già decisi in via definitiva.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza
La sentenza ribadisce con forza alcuni principi cardine in materia di abusi edilizi. In primo luogo, l’ordine di demolizione è una conseguenza quasi automatica e obbligatoria della condanna, finalizzata al ripristino dell’ordine urbanistico violato. In secondo luogo, il lungo tempo trascorso dalla condanna non gioca a favore del condannato, ma al contrario rafforza l’obbligo di conformarsi alla decisione. Infine, le difficoltà economiche e personali, pur comprensibili sul piano umano, non possono costituire un valido motivo per eludere la sanzione ripristinatoria, a meno che non si dimostri una situazione di vulnerabilità eccezionale e l’impossibilità oggettiva, nonostante l’attivazione di aiuti sociali, di trovare un’alternativa. La decisione conferma che, una volta formatosi il giudicato, gli spazi per contestare l’esecuzione della demolizione sono estremamente ridotti e limitati a questioni di mera legittimità.
Le difficoltà economiche possono bloccare un ordine di demolizione?
No, la sentenza chiarisce che le condizioni economiche precarie, da sole, non sono sufficienti per revocare un ordine di demolizione, specialmente se è trascorso molto tempo (in questo caso, sedici anni) dalla condanna senza che l’interessato abbia reperito soluzioni abitative alternative o dimostrato di aver richiesto misure di sostegno.
È possibile chiedere la demolizione solo della parte abusiva di un immobile in fase di esecuzione della sentenza?
No, la Corte ha stabilito che una richiesta del genere implica una valutazione dei fatti che non può essere fatta in sede di esecuzione, in quanto contrasterebbe con la sentenza di condanna ormai definitiva (giudicato). Tale accertamento è incompatibile con la cognizione del giudice dell’esecuzione e della Corte di Cassazione.
Se il Pubblico Ministero offre la possibilità di autodemolizione a determinate condizioni, il condannato può impugnare tali condizioni se non le accetta?
Secondo la Corte, se il condannato non ha mai formalmente richiesto di procedere in proprio alla demolizione, non può lamentarsi delle condizioni poste dal PM. La facoltà di autorizzare l’autodemolizione è una prerogativa del PM e, se non viene esercitata, rimane una possibilità meramente eventuale e non un diritto su cui fondare un’impugnazione.
Testo del provvedimento
Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 24057 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 24057 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/01/2024
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOME, nata a Torre del Greco il DATA_NASCITA, avverso l’ordinanza in data 12/07/2023 del GIP del Tribunale di Torre Annunziata, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con ordinanza in data 12 luglio 2023 il GIP del Tribunale di Torre Annunziata ha rigettato il ricorso presentato da NOME COGNOME avverso il decreto di esecuzione dell’ordine di demolizione emesso dal PM in data 15 settembre 2022 in seguito alla sentenza del GIP in data 8 febbraio 2006 n. 96.
2. La ricorrente articola tre censure.
Con la prima lamenta la violazione di legge perché le era stata negata la possibilità di procedere all’autodemolizione del fabbricato senza dover previamente versare le spese della consulenza fatta eseguire dal PM; con la seconda eccepisce la violazione di norme processuali perché non era in grado di reperire soluzioni abitative alternative percependo una pensione di soli 700 euro;
con la terza deduce la violazione di norme processuali perché non le era stata concessa la possibilità di demolire solo l’ampliamento del manufatto nella misura di mq 40.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato perché riproduttivo di censure già vagliate e disattese con adeguata motivazione giuridica dal GIP in funzione di giudice dell’esecuzione.
La prima attiene alla facoltà prevista dal PM nell’ordine di demolizione di autorizzare l’interessata alla demolizione in proprio previa corresponsione degli esborsi per la consulenza espletata. La censura non si confronta affatto con la motivazione dell’ordinanza impugnata ove si dà atto che la ricorrente non ha mai chiesto di procedere in proprio alla demolizione del fabbricato abusivo, con la conseguenza che la facoltà riconosciuta dal PM, peraltro rientrante nelle sue prerogative, è meramente eventuale e quindi non valutabile.
La seconda attiene alla proporzionalità della misura che il Giudice ha valutato e congruamente motivato con riferimento alla giurisprudenza sovranazionale e alla giurisprudenza nazionale che si è formata sull’art. 8 CEDU. Infatti, dalla sentenza di condanna per l’abuso edilizio all’ordine di demolizione del manufatto è intercorso un congruo lasso di tempo – sedici anni – che la ricorrente non ha utilizzato per reperire un idoneo alloggio alternativo e, d’altra parte, correttamente il Giudice ha escluso che le condizioni economiche precarie siano di per sé sufficienti a giustificare la revoca dell’ordine di demolizione, in assenza della dimostrazione della richiesta di accesso a misure di sostegno (tra le più recenti, Sez. 3, n. 5822 del 18/01/2022, COGNOME, Rv. 282950-01 e n. 21198 del 15/02/2023, COGNOME, Rv. 284627-01).
Infine, la terza attiene alla possibilità di una riduzione della demolizione alla sola parte abusiva del manufatto. Già il Giudice ha negato tale possibilità che contemplerebbe un accertamento in fatto incompatibile con il giudicato. La motivazione è corretta e la censura, riprodotta tal quale con il ricorso per cassazione, esula dalla cognizione del giudice di legittimità
Sulla base RAGIONE_SOCIALE considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”, si dispone che la ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE iut/
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro tremila in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Così deciso, il 18 gennaio 2024
Il Consigliere estensore