Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 14212 Anno 2025
REPUBBLICA ITALIANA
In nome del Popolo Italiano
Penale Sent. Sez. 3 Num. 14212 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/12/2024
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE PENALE
Composta da
NOME COGNOME
– Presidente –
Sent. n. 2119 sez.
NOME COGNOME
U.P. – 17/12/2024
NOME COGNOME
R.G.N. 29996/2024
NOME COGNOME
NOME COGNOME Relatore –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOME COGNOME nato a Milano il 14-05-1964, avverso la sentenza del 03-05-2024 della Corte di appello di Brescia; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni rassegnate dal Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale dott. NOME COGNOME che ha chiesto di dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 22 febbraio 2023, il Tribunale di Brescia condannava NOME COGNOME con i doppi benefici di legge, alla pena di anni 1 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all’ art. 10 bis del d. lgs. n. 74 del 2000, reato a lui contestato perché, quale legale rappresentante della società RAGIONE_SOCIALE , non versava, nel termine previsto per la presentazione della dichiarazione annuale di sostituto di imposta, le ritenute dovute sulla base della stessa dichiarazione o risultanti dalla certificazione rilasciata ai sostituti, per l’ammontare di 454.684,19 euro, relativamente al periodo di imposta 2015; fatto commesso in Gussago il 13 settembre 2016, data di presentazione del modello semplificato 770.
Con sentenza del 3 maggio 2024, la Corte di appello di Brescia, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, riconosciute all’imputato le attenuanti generiche, riduceva la pena irrogatagli a mesi 6 di reclusione, confermando nel resto la decisione del Tribunale.
Avverso la sentenza della Corte di appello lombarda, COGNOME tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando cinque motivi.
Con il primo, la difesa eccepisce la violazione degli art. 97, comma 4, 148, comma 1 e 149, commi 1 e 2, cod. proc. pen., in ordine all’omessa notifica al difensore dell’imputato nel giudizio di appello del provvedimento di anticipazione d ell’ udienza del 22 dicembre 2023, che veniva celebrata alla sola presenza dell ‘ avvocato NOME COGNOME il 20 dicembre 2023, senza che di ciò sia stata edotta tempestivamente l’avvocato NOME COGNOME che è venuta a conoscenza dell’anticipazione dell’udienza di appello solo a seguito della formale notifica del verbale della successiva udienza del 5 marzo 2024, per cui la relativa eccezione formulata all ‘ udienza successiva del 3 maggio 2024 doveva ritenersi tempestiva, venendo in rilievo una nullità a regime intermedio deducibile fino alla sentenza.
Con il secondo motivo, ci si duole della mancata declaratoria di estinzione per prescrizione del reato contestato, rilevandosi che la prescrizione, pari nel massimo a 7 anni e 6 mesi, è maturata il 13 marzo 2024, ossia prima della data di emissione della sentenza impugnata (3 maggio 2024). Al riguardo si precisa che all’udienza del 17 ottobre 2023, la Corte di appello, a seguito della richiesta difensiva di sospensione del processo ai sensi dell’art. 23 del decreto legge n. 34 del 2023, disponeva l’audizione del responsabile dell’Agenzia delle Entrate di Brescia che fu escusso solo il 3 maggio 2024, dopo due rinvii interlocutori (20 dicembre 2023 e 5 marzo 2024) non imputabili al ricorrente, per cui la durata della sospensione dei termini di prescrizione del reato, commesso il 13 settembre 2016, dovrebbe al più computarsi nel solo intervallo di tempo che va dal 17 ottobre al 20 dicembre 2023,
fermo restando che l’art. 161 cod. pen. non consente di computare l’aumento per gli atti interruttivi oltre la misura di un quarto del termine prescrizionale ordinario.
Con il terzo motivo, erroneamente denominato quarto, oggetto di doglianza è l’erronea applicazione degli art. 2 cod. pen. e 10 bis del d. lgs. n. 74 del 2000, contestandosi il giudizio sulla sussistenza del reato contestato, in quanto la normativa vigente all’epoca dell’annualità contestata richiedeva la prova che al mancato versamento contributivo corrispondesse la dazione della certificazione dell’avvenuto pagamento, prova che nel caso di specie non sarebbe stata fornita, posto che il funzionario escusso ha riferito di non aver accertato il numero dei dipendenti dell’impresa e, dunque, di non avere verificato tutte le posizioni debitorie, per cui, al di là dell’entità del debito presunto, non risulta dimostrato il rilascio di certificazioni mendaci, a ciò aggiungendosi che mancherebbe in atti la declaratoria di decadenza dalla rateizzazione da notificare all’imputato, quale presupposto di punibilità della fattispecie de qua .
Il quarto motivo è dedicato, in via subordinata, al mancato riconoscimento della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto: si osserva in proposito che, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 175 del 2022, non è possibile utilizzare quale elemento probatorio, il modello 770 presentato dall’imputato, dal quale è stato ricavato l’importo di 454.684 euro quale somma ritenuta ma non versata, per cui, dovendo basarsi sui soli dati emergenti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti di imposta, l’impo rto non corrisposto ammonta a 181.277 euro, con la conseguenza che non può essere più qualificata come ingente la somma trattenuta e non versata dalla società, dovendosi altresì tenere conto dell’effettivo pagamento rateale spontaneamente eseguito dall’imp utato.
Con il quinto motivo, infine, si censura il trattamento sanzionatorio, rilevandosi che il discostamento della pena base dal minimo edittale non è stato giustificato dalla Corte di appello, che invece avrebbe dovuto tenere conto del pagamento di tutti gli stipendi e della mancata riduzione del personale dipendente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile perché manifestamente infondato.
Iniziando dal primo motivo, occorre innanzitutto premettere che, come emerge dalla stessa prospettazione difensiva, nel corso del giudizio di appello, all’udienza del 20 dicembre 2023, celebrata in anticipo rispetto all’ udienza del 22 dicembre 2023 originariamente calendarizzata, era presente uno dei due difensori di fiducia dell’imputato, ovvero l ‘ avvocato NOME COGNOME il quale non risulta abbia eccepito nulla rispetto all’omesso avviso dell’anticipazione di udienza anche al codifensore di COGNOME, ossia l’avvocato NOME COGNOME .
Ne consegue che la nullità in questione deve ritenersi sanata, dovendosi richiamare il condiviso principio elaborato da questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 55800 del 03/10/2018, Rv. 274620, Sez. 3, n. 38021 del 12/06/2013, Rv. 256980 e Sez. 6, n. 17267 del 16/04/2010, Rv. 247086), secondo cui, in caso di omesso avviso di fissazione udienza a uno dei due difensori di fiducia dell ‘ imputato, si configura una nullità a regime intermedio che deve essere eccepita in udienza dal difensore presente, sicché la mancata proposizione dell ‘ eccezione sana la nullità, a prescindere dal fatto che l ‘ imputato, regolarmente citato, sia presente o meno. La censura difensiva risulta pertanto inammissibile, e ciò anche in ragione del fatto che non risulta illustrato nel ricorso il pregiudizio che la difesa avrebbe subito in concreto a causa de ll’avvenuta anticipazione dell’udienza del 20 dicembre 2023, udienza nella quale peraltro non ha avuto luogo la discussione dell’appello.
Passando per ragioni di priorità logica al terzo motivo, se ne deve parimenti rimarcare l’inammissibilità, dovendosi evidenziare che, nell’atto di appello, la difesa non ha contestato i fatti nel merito, come accertati dal giudice di primo grado, limitandosi a proporre censure soltanto in punto di diniego della causa di non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. e di trattamento sanzionatorio.
Da ciò consegue l’inammissibilità dell a doglianza in tema di responsabilità, in quanto volta a introdurre nel giudizio di legittimità profili valutativi su questioni nuove, avendo questa Corte precisato più volte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 16610 del 24/01/2017, Rv. 269632 e Sez. 5, n. 28514 del 23/04/2013, Rv. 255577) che non possono essere dedotte con il ricorso per cassazione questioni sulle quali il giudice di appello abbia correttamente omesso di pronunciare, perché non devolute alla sua cognizione, restando solo da aggiungere che, in ogni caso, alle pagine 2 e 3 della sentenza impugnata, sono state esposte le ragioni che hanno portato alla formulazione del giudizio di colpevolezza dell’imputato da parte del Tribunale, ragioni con le quali il ricorso non si confronta adeguatamente.
Anche il quarto motivo, dedicato al mancato riconoscimento della particolare tenuità del fatto, è inammissibile perché manifestamente infondato. Ed invero la Corte territoriale, in senso ostativo al riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 131 bis cod. pen., ha rimarcato la gravità del fatto, desunta dal fatto che l’ammontare delle ritenute non versate è risultato pari a euro 454.000, somma questa contestata dalla difesa, secondo cui, in base ai dati emergenti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti di imposta, l’importo delle ritenute non versate sarebbe pari alla minor somma di 181.277 euro. Ora, pur contestando questo diverso computo, operato su un numero parziale di dipendenti, i giudici di appello hanno rilevato che comunque non era possibile una valutazione in termini di minima offensività pure in ragione di tale importo , anch’esso non poco distante dalla soglia minima di punibilità, fissata dal legislatore in 150.000 euro.
Orbene, l’impostazione della sentenza impugnata risulta immune da censure, in quanto coerente con l ‘ affermazione di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 15020 del 22/01/2019, Rv. 2759319), secondo cui, in tema di reati tributari caratterizzati dalla soglia di punibilità, già solo il superamento in misura significativa di detta soglia preclude la configurabilità della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, laddove, invece, se tale superamento è di poco superiore, può procedersi a valutare i restanti parametri afferenti la condotta nella sua interezza, non potendosi sottacere che uno scostamento dalla soglia di punibilità nella misura di 31.000 euro non può affatto considerarsi lieve. Di qui la manifesta infondatezza della doglianza difensiva.
4. Alla medesima conclusione deve pervenirsi rispetto al quinto motivo. In punto di trattamento sanzionatorio, occorre infatti evidenziare che la Corte territoriale ha mitigato la pena inflitta all’imputato, riducendola da un anno a sei mesi di reclusione, riconoscendo le attenuanti generiche, applicate nella misura massima di un terzo sulla pena base di mesi 9 di reclusione, di poco distante dal minimo edittale, p er cui deve senz’altro escludersi che la determinazione della pena sia stata ispirata da eccessivo rigore, e ciò tanto più ove si consideri che già il primo giudice aveva concesso all’imputato entrambi i benefici di legge .
Passando ora al secondo motivo, deve evidenziarsi che, al momento della decisione impugnata, emessa il 3 maggio 2024, il reato per cui si procede non era prescritto, posto che al termine massimo di 7 anni e 6 mesi deve essere aggiunto l’ulteriore periodo di 7 mesi di sospensioni, ovvero dall’8 al 22 febbraio 2023 nel giudizio di primo grado (14 giorni) e dal 17 ottobre 2023 al 3 maggio 2024 nel giudizio di appello (6 mesi e 16 giorni), per cui, avuto riguardo al tempus commisi delicti (13 settembre 2016), la prescrizione è maturata il 13 ottobre 2024.
Quanto alla sospensione riferita al giudizio di secondo grado, deve evidenziarsi che la stessa, come precisato nella sentenza impugnata (pag. 4), è ricollegabile alla sollecitazione contenuta nell’atto di appello di sospensione del processo ai sensi dell’a rt. 23 del decreto legge n. 34 del 2023, convertito dalla legge n. 56 del 2023. Tale norma prevede una causa speciale di non punibilità dei reati tributari di cui agli articoli 10 bis , 10 ter e 10 quater , comma 1, del d. lgs. n. 74 del 2000, operante, come specifica il comma 1, quando le relative violazioni sono correttamente definite e le somme dovute sono versate integralmente dal contribuente, purché le relative procedure siano definite prima della pronuncia della sentenza di appello. Si prevede in tal caso (comma 2) che il contribuente dia immediata comunicazione, all ‘ Autorità giudiziaria che procede, dell ‘ avvenuto versamento delle somme dovute o, in caso di pagamento rateale, del versamento della prima rata e, contestualmente, informi l ‘ Agenzia delle Entrate dell ‘ invio della predetta comunicazione, indicando i riferimenti del relativo procedimento penale.
Il comma 3 del citato art. 34 dispone che ‘i l processo di merito è sospeso dalla ricezione delle comunicazioni di cui al comma 2, sino al momento in cui il giudice è informato dall ‘ Agenzia delle Entrate della corretta definizione della procedura e dell ‘ integrale versamento delle somme dovute ovvero della mancata definizione della procedura o della decadenza del contribuente dal beneficio della rateazione ‘ . Ciò posto, deve rilevarsi che legittimamente la sospensione della prescrizione ha avuto luogo dal momento in cui, con ordinanza del 17 ottobre 2023, la Corte di appello ha chiesto all’Agenzia delle Entrate chiarimenti circa l’ esito della procedura di definizione agevolata intrapresa dal contribuente, fino al momento in cui, all’udienza del 3 maggio 2024, il funzionario dell’Agenzia delle Entrate COGNOME ha comunicato che la società rappresentata dall’imputato non ha più versato gli importi dovuti, con conseguente decadenza dal beneficio, essendo stati ragionevolmente computati nel predetto periodo di sospensione anche i passaggi interlocutori antecedenti a ll’acquisizione finale delle informazioni richieste, posto che tale fase incidentale del giudizio di merito risulta pur sempre ricollegabile a un’esplic ita richiesta difensiva, cui è riconosciuto ex lege effetto sospensivo.
5.1. Né rileva la circostanza che la prescrizione sia intervenuta in epoca successiva alla emissione della sentenza impugnata, essendo la declaratoria di estinzione del reato comunque impedita dal rilievo della manifesta infondatezza delle doglianze sollevate, non consentendo l’inammissibilità originaria dei ricorsi per cassazione la valida in staurazione dell’ulteriore fase di impugnazione ( cfr. in termini, ex multis , Sez. 7, n. 6935 del 17/04/2015, dep. 2016, Rv. 266172).
6 . Alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso proposto nell’interesse di COGNOME deve essere quindi dichiarato inammissibile, con onere per il ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 186 del 13 giugno 2000, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone infine che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000 in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 17.12.2024
Il consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME