Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 21573 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 21573 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/04/2025
SENTENZA
sul ricorso di COGNOME NOMECOGNOME nato a Leonforte il 20/04/1955, avverso la sentenza in data 19/09/2024 della Corte di appello di Torino, visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; letta per l’imputato la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza in data 19 aprile 2024 la Corte di appello di Torino, in riforma della sentenza in data 29 settembre 2022 del Tribunale di Torino, riconosciute le circostanze attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata recidiva, ha rideterminato la pena irrogata a NOME COGNOME in anni 1, mesi 6 di reclusione per il reato dell’art. 5 d.lgs. n. 74 del 2000.
Il ricorrente lamenta il vizio di motivazione sulla prova del reato non essendo sufficiente lo spesometro e i dati incrociati nonché l’assenza di
motivazione sull’elemento oggettivo (primo motivo) e l’assenza di motivazione in ordine all’elemento soggettivo (secondo motivo). Nella memoria ribadisce le difese già svolte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è manifestamente infondato.
La prima censura è meramente ripetitiva di una doglianza già vagliata e disattesa con adeguata motivazione giuridica della Corte territoriale che ha evidenziato che l’imputato non aveva contestato l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate basato sulle risultanze contabili e sulle voci tracciate. Il ricorrente h lamentato nuovamente con il ricorso per cassazione che dai conteggi non erano state detratte le spese ma non si è confrontato con la sentenza impugnata secondo cui le suddette spese non erano mai state documentate né in fase amministrativa né nel corso del procedimento penale. Si tratta dunque di un motivo generico e fattuale nonché esorbitante dai limiti di applicazione dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.: il vizio del travisamento della prova, per utilizzazione d un’informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova decisiva, può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti, con specifica deduzione, che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado (tra le più recenti, Sez. 3, n. 45537 del 28/09/2022, M., Rv. 283777 – 01).
Del pari inconsistente è la seconda censura. La Corte territoriale ha ritenuto comprovata la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui all’art. 5 d.lgs. 74/2000, richiamando il significativo importo, euro 224.0000 circa, dell’obbligo dichiarativo, con evasione dell’IRPEF nella misura di euro 89.647,00, la riconducibilità di tale inadempimento a una deliberata scelta dell’imprenditore di ignorare gli obblighi imposti dalla normativa fiscale nonché l’inserimento della condotta illecita in un più ampio contesto di significative e reiterate condotte omissive di dichiarazioni obbligatorie ai fini Irpef o Iva. Va ribadito, in tema di rea tributari, che la prova del dolo specifico di evasione, nel delitto di omessa dichiarazione di cui all’art. 5 d.lgs. 74 del 2000, può essere desunta dall’entità del superamento della soglia di punibilità vigente, unitamente alla piena consapevolezza, da parte del soggetto obbligato, dell’esatto ammontare dell’imposta dovuta (Sez. 3, n. 18936 del 19/01/2016, V., Rv. 267022), ammontare che, peraltro, può costituire oggetto di rappresentazione e volizione anche soltanto nella forma del c.d. dolo eventuale (cfr. Sez. 3, n. 7000 del 23/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 272578). Le argomentazioni espresse nella
sentenza sono congrue e non manifestamente illogiche ed in linea con il suesposto
principio di diritto e si sottraggono, pertanto, al sindacato di legittimità.
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che
il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il
ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del
procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data
13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso
sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di
inammissibilità”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata, in
ragione della consistenza della causa di inammissibilità del ricorso, in via
equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese
processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende
Così deciso, il 18 aprile 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente
Corte di Cassazione – copia non ufficiale