Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 35134 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2   Num. 35134  Anno 2025
Presidente: COGNOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nata a AGRIGENTO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 18/12/2024 della CORTE APPELLO di PALERMO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e letto il ricorso e la memoria dell’AVV_NOTAIO.
NOME COGNOME;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni di cui alla requisitoria del AVV_NOTAIO PAVV_NOTAIO NOME COGNOME
Ricorso trattato con rito cartolare ai sensi degli artt. 610, comma 5 e 611, comm bis e ss. c.p.p.
RITENUTO IN FATTO
COGNOME NOME, a mezzo del difensore di fiducia, ricorre per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello di Palermo del 18 dicembre 2024, con cui è stata confermata la sentenza del Tribunale di Agrigento che ha condannato la ricorrente alla pena di giustizia, in ordine ai reati di cui agli artt. 633-639-bi cod. pen. e 44 lett. b) D.P.R. n. 380/01, ritenuta la continuazione e applicata la diminuente per il rito abbreviato. Pena detentiva sospesa subordinatamente alla demolizione dell’opera abusiva e alla rimessione in pristino dei luoghi.
In particolare, si contesta all’imputata di avere arbitrariamente occupato un lotto di terreno di proprietà del comune di Porto Empedocle recintando l’area con “un muro della lunghezza di mt. 33,20, un cancello scorrevole con struttura in ferro e doghe in legno, sorretto da due pilastri in ferro scatolare, due manufatti in muratura, adibiti a deposito, un manufatto in muratura, adibito a cuccia per il cane e pavimentandone l’area in battuto di cemento”. Inoltre, di avere realizzato, in assenza del permesso di costruire, i tre manufatti sopra menzionati.
La difesa affida il ricorso a tre motivi che, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., saranno a seguire enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
 Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO NOME COGNOME, con requisitoria del 24 settembre 2025, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Con nota di conclusioni del 9 ottobre 2025, la difesa ha insistito per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
 Il ricorso è inammissibile.
 Violazione degli artt. 168-bis e ss. cod. pen.
Si denuncia l’illegittimità dell’ordinanza con cui il Tribunale ha rigettato la richiesta dell’imputata di messa alla prova. Il richiamo alla circostanza che la ricorrente era stata condannata per “reati similari” non poteva assumere valenza ostativa, tenuto conto che ella annovera una sola condanna per il delitto di cui all’art. 633 cod. pen., divenuta irrevocabile quasi otto anni or sono; per un secondo analogo episodio risulta, invece, prosciolta per particolare tenuità del fatto ex art. 131-bis cod. pen.
Il motivo è inammissibile poiché meramente reiterativo di quello proposto in appello, non scandito da specifica critica delle argomentazioni in forza delle quali sia il primo giudice che la Corte territoriale sono pervenuti al rigetto dell’istanza di ammissione dell’imputata all’istituto della sospensione del procedimento con
messa alla prova. La censura, pertanto, difetta di specificità estrinseca.
Ad ogni buon conto, dalla lettura della sentenza impugnata si ricava, anzitutto, che a fondamento del rigetto vi è un profilo di carattere preliminare non esplorato dalla difesa – costituito dall’omessa allegazione alla richiesta del programma di trattamento di cui al quarto comma dell’art. 464-bis cod. proc. pen. E tanto basterebbe alla luce del principio affermato da questa Corte secondo cui «è legittimo il rigetto della richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova motivato dalla mancata produzione del programma di trattamento o, quanto meno, della richiesta della sua elaborazione all’ufficio di esecuzione penale esterna, trattandosi di requisiti di ammissibilità dell’istanza di sospensione ex art. 464-bis cod. proc. pen.» (ex multis, v. Sez. 6, n. 9197 del 26/09/2019, dep. 2020, Milahi, Rv. 278619 – 01).
Inoltre, il precedente penale specifico e l’ulteriore condotta che ha formato oggetto di proscioglimento ex art. 131-bis cod. pen., lungi dall’essere stati ritenuti quali elementi di per sé ostativi all’ammissione al beneficio, sono stati unitariamente apprezzati con gli ulteriori elementi di disvalore del fatto e della personalità della ricorrente puntualmente passati in rassegna dalla Corte di merito (v. pag. 5). I giudici di merito hanno dato motivatamente conto delle ragioni in forza delle quali hanno espresso una prognosi negativa all’efficacia riabilitativa e dissuasiva dell’istituto, alla stregua di quanto stabilito dall’art. 464-quater cod. proc. pen. che richiama, ai fini dell’ammissione al beneficio, i parametri di cui all’art. 133 cod. pen.
3. Violazione dell’art. 54 cod. pen.
Si deduce che la condotta di recinzione del muro che aveva determinato l’illegittima invasione sia dovuta alla necessità di salvare la ricorrente e i propri figli dal pericolo attuale di un danno grave alla persona rappresentato dal rischio sanitario derivante dalla presenza di vari rifiuti antistanti all’appartamento dalla stessa adibito.
Il motivo è manifestamente infondato. La prospettazione difensiva si pone in antitesi con la situazione di fatto accertata dai giudici di merito: l’imputata, infatti non ha provveduto a recintare l’area in attesa degli interventi di bonifica che ella sostiene di avere sollecitato e indica come indifferibili ed urgenti, bensì al muro di recinzione vi ha annesso un cancello scorrevole di ferro e all’interno vi ha realizzato ben tre manufatti abusivi (di cui due a deposito e un terzo a cuccia per il cane). L’intento, quindi, non era affatto quello di “proteggere” la sua persona ed il suo nucleo familiare dai rischi derivanti da un’area incolta che si afferma sede di rifiuti, bensì quello di creare una stabile pertinenza dell’abitazione principale invadendo arbitrariamente il terreno prospicente mediante la realizzazione di opere abusive. Nel caso in esame, pertanto, il fatto resta antigiuridico, con esclusione di
qualunque spazio di intervento per l’invocata causa di giustificazione.
E tanto a prescindere dall’assenza di prova che la situazione di degrado avesse raggiunto un livello tale da attentare all’incolumità fisica e alla salute dell’odierna imputata e della di lei famiglia, nonché dei requisiti della necessità e inevitabilità della condotta su cui si sofferma diffusamente la sentenza impugnata.
Peraltro, sul punto, va condiviso quanto sostenuto dalla Corte di merito a proposito dell’assenza di rilievo, ai fini dell’integrazione del reato di cui all’art. 633 cod. pen., dello stato di abbandono in cui il terreno si sarebbe trovato.
Il disuso dell’immobile può rilevare, a certe condizioni, ai fini dell’usucapione, ma non ad elidere la tutela penale apprestata dalla norma penale che, per un verso, non richiede un impoverimento della persona offesa e, dall’altro, a differenza della violazione di domicilio, non richiede l’uso attuale ed effettivo del bene da parte del proprietario.
4. Prescrizione del reato.
Si rappresenta che la realizzazione dell’opera abusiva andava fatta risalire, per come precisato dall’imputata, pochi mesi dopo che ella nel 2012 aveva occupato l’immobile dello IACP e non nel gennaio 2020. Ciò risultava anche dal fatto che l’esigenza di costruire il muro a protezione del dritto alla salute e alla sicurezza del suo nucleo familiare era coeva all’inadempienza del comune di provvedere a ripulire l’area, a cui l’ente territoriale era stato a quel tempo sollecitato.
Il motivo è inammissibile: la ricorrente, infatti, nel reiterare l’eccezione di prescrizione sollevata col terzo motivo di appello, introduce una doglianza di mero fatto che risulta essere stata disattesa dalla sentenza impugnata con congrua motivazione.
In particolare:
– quanto al delitto di cui all’art. 633 cod. pen., se ne è correttamente rilevata la natura di reato istantaneo con effetti permanenti, alla luce dell’orientamento affermato dalla Corte di legittimità in forza del quale il reato si consuma nel momento esatto in cui ha inizio l’occupazione e, ove si protragga nel tempo, la situazione antigiuridica permane sino all’allontanamento del reo ovvero sino alla sentenza di condanna (Sez. 2, n. 46692 del 02/10/2019, Tomasello, Rv. 277929 – 01; Sez. 2, n. 40771 del 19/07/2018, Vetrano, Rv. 274458 – 01). Con la conseguenza che, dando atto la sentenza impugnata che, alla data del sopralluogo della polizia giudiziaria del 26 maggio 2020, l’imputata stava continuando ad occupare abusivamente il lotto, neppure si pone un problema di prescrizione, bensì di improcedibilità, i cui termini, ai sensi dell’art. 344-bis cod. proc. pen., non sono decorsi essendo la sentenza di primo grado stata deliberata il 3 maggio 2023 (con motivazione contestuale) e quella di appello il 18/12/2024;
quanto al reato edilizio, di carattere permanente, i giudici di merito hanno precisato che, alla data del sopralluogo del 26 maggio 2020, gli abusi edilizi in contestazione non erano ancora ultimati per come ricavato dalle plurime circostanze di fatto puntualmente indicate alla pagina 3 della sentenza impugnata. Si è fatta, quindi, corretta applicazione del principio secondo cui la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado (Sez. 3, n. 29974 del 06/05/2014, COGNOME, Rv. 260498 – 01; Sez. 3, n. 13607 dell’08/02/2019, Martina, Rv. 275900 – 01).
Da quanto osservato discende l’inammissibilità del ricorso. Consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende, così determinata in ragione dei profili di inammissibilità rilevati.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, li 10 ottobre 2025.