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Motivazione per relationem: quando è legittima?

La Corte di Cassazione dichiara inammissibili i ricorsi di due indagati per associazione a delinquere, accusati di contestare una misura cautelare basata su una motivazione per relationem. La Suprema Corte ha stabilito che tale motivazione è legittima quando il giudice non si limita a un rinvio acritico, ma espone, seppur sinteticamente, gli elementi specifici che fondano la gravità indiziaria, dimostrando un’autonoma valutazione del caso.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Motivazione per relationem: La Cassazione ne conferma la legittimità se non è un rinvio passivo

Nel processo penale, il diritto dell’indagato a conoscere le ragioni di un provvedimento restrittivo è sacro. Ma cosa succede quando un giudice, per motivare la sua decisione, rinvia a un atto precedente? Questa tecnica, nota come motivazione per relationem, è spesso oggetto di dibattito. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 11792/2024) offre un importante chiarimento, stabilendo che tale pratica è pienamente legittima, a condizione che non si traduca in un mero e acritico rinvio.

I Fatti del Caso

Due soggetti, indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso e per associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, proponevano ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame. Quest’ultimo aveva confermato la misura della custodia in carcere per uno e l’aveva sostituita con gli arresti domiciliari per l’altro. I ricorrenti lamentavano, tra i vari motivi, un vizio di motivazione. Sostenevano che il Tribunale si fosse limitato a richiamare ‘per relationem’ il provvedimento del GIP, senza un’autonoma valutazione degli indizi e senza rispondere specificamente alle censure difensive, come l’errata identificazione di uno degli indagati e la contraddittorietà nella valutazione delle intercettazioni.

La Decisione della Corte e la validità della Motivazione per Relationem

La Suprema Corte ha dichiarato i ricorsi manifestamente infondati e, quindi, inammissibili. Il punto centrale della decisione riguarda proprio la corretta applicazione della motivazione per relationem. Secondo gli Ermellini, il Tribunale del Riesame non si era limitato a un rinvio passivo. Al contrario, pur richiamando l’ordinanza cautelare originaria, aveva anche esposto in modo “sintetico ed esaustivo” gli elementi specifici a carico di ciascun indagato, dimostrando di aver compiuto una propria e autonoma valutazione del materiale probatorio. Ad esempio, per l’indagato che contestava la sua identificazione, il Tribunale aveva evidenziato una conversazione intercettata in cui l’utilizzatore dell’utenza forniva i suoi dati anagrafici completi, un elemento decisivo che la difesa aveva omesso di considerare nel ricorso.

Le Motivazioni

La sentenza si sofferma su alcuni principi cardine della procedura penale in materia di misure cautelari. In primo luogo, la Corte ribadisce che la motivazione per relationem è uno strumento compatibile con l’obbligo di motivazione, ma solo se il giudice “facente rinvio” dimostra di aver preso cognizione del contenuto dell’atto richiamato e di averlo recepito criticamente. Nel caso di specie, il Tribunale aveva operato correttamente, sintetizzando il quadro indiziario e valorizzando elementi specifici come le numerose intercettazioni telefoniche e ambientali che delineavano il rapporto di stretta collaborazione tra i due indagati nella gestione di una piazza di spaccio, con la consapevolezza di operare per conto di un clan egemone sul territorio.

In secondo luogo, la Corte chiarisce un altro aspetto interessante: anche se alcune conversazioni non sono state ritenute sufficienti per configurare singoli episodi di spaccio, il loro tenore complessivo (caratterizzato da linguaggio criptico) assumeva comunque un forte rilievo indiziario nel contesto del reato associativo, dimostrando la piena partecipazione degli indagati al sodalizio criminale. Infine, per quanto riguarda il pericolo di recidiva, la sentenza richiama un consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui, nei reati associativi, la prognosi di pericolosità non si lega solo all’operatività attuale del gruppo, ma anche al “grado di inserimento” e alla “professionalità” criminale dell’indagato, elementi che giustificano la presunzione di adeguatezza della misura carceraria.

Le Conclusioni

La pronuncia in esame consolida un principio di equilibrio tra economia processuale e diritto di difesa. Una motivazione non deve essere necessariamente prolissa per essere valida. La motivazione per relationem è ammessa se il giudice dimostra di aver vagliato autonomamente il compendio indiziario, anche attraverso una sintesi degli elementi chiave. Questa sentenza ricorda agli operatori del diritto che contestare un provvedimento per difetto di motivazione richiede di affrontare nel merito gli elementi valorizzati dal giudice, e non limitarsi a una critica formale della tecnica redazionale utilizzata.

Quando una motivazione “per relationem” è considerata legittima dalla Corte di Cassazione?
È considerata legittima quando il giudice non si limita a un rinvio passivo e acritico all’atto precedente, ma dimostra di averne preso visione e di averlo valutato autonomamente, esponendo, anche in modo sintetico, gli elementi specifici e cruciali che fondano la sua decisione.

Perché le intercettazioni sono state ritenute prove valide per il reato associativo anche se non hanno dimostrato singoli episodi di spaccio?
Perché il tenore delle conversazioni, caratterizzato da un linguaggio criptico e dalla pianificazione della gestione di una piazza di spaccio, è stato considerato sintomatico della piena partecipazione degli indagati a un’associazione criminale stabile, anche se non sufficiente a provare ogni singola cessione di droga ai fini di una misura cautelare per quei specifici reati.

Come viene valutato il pericolo di recidiva per un’associazione dedita al traffico di stupefacenti?
Il pericolo non si valuta solo in base all’operatività attuale dell’associazione, ma anche considerando la professionalità criminale dell’indagato e il suo grado di inserimento in circuiti criminali, elementi che suggeriscono la probabilità che possa commettere delitti della stessa specie in futuro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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