Motivazione della pena: quando una spiegazione minima è sufficiente?
La motivazione della pena è un pilastro del nostro sistema giudiziario, garanzia di trasparenza e controllo sulle decisioni del giudice. Tuttavia, quanto deve essere dettagliata questa motivazione? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 10272/2024) offre un chiarimento cruciale, stabilendo che l’obbligo di una spiegazione approfondita si attenua notevolmente quando la sanzione si avvicina al minimo previsto dalla legge. Analizziamo questa importante decisione.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un imputato avverso una sentenza della Corte d’Appello. La difesa sollevava due questioni principali: in primo luogo, contestava l’applicazione della recidiva, ritenendola ingiustificata; in secondo luogo, criticava la quantificazione della pena, lamentando una motivazione carente.
L’imputato sosteneva che i giudici di merito non avessero adeguatamente spiegato perché la sua storia criminale dovesse portare a un aumento di pena, né perché la sanzione inflitta fosse congrua rispetto alla gravità del fatto commesso.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le doglianze della difesa. Per i giudici di legittimità, le motivazioni della Corte d’Appello erano pienamente valide e conformi ai principi di diritto.
In particolare, la Corte ha confermato sia la correttezza dell’applicazione della recidiva sia la sufficienza della motivazione relativa alla pena. La decisione si fonda su un consolidato orientamento giurisprudenziale che bilancia l’obbligo di motivazione del giudice con il principio di economia processuale.
Le Motivazioni: Il Principio sulla Motivazione della Pena
Il cuore della decisione risiede nella spiegazione fornita dalla Cassazione riguardo alla motivazione della pena. La Corte ha ribadito un principio consolidato: l’onere di motivazione del giudice è inversamente proporzionale alla vicinanza della pena al minimo edittale.
In altre parole, più la pena si allontana dal minimo previsto dalla legge per avvicinarsi al massimo, più il giudice è tenuto a fornire una spiegazione dettagliata e specifica delle ragioni della sua scelta, facendo riferimento ai criteri dell’art. 133 del Codice Penale (gravità del reato, capacità a delinquere del reo).
Al contrario, quando la pena inflitta è di gran lunga più vicina al minimo che al massimo, come nel caso di specie, il giudice può adempiere al suo obbligo con una motivazione più sintetica. Un semplice richiamo ai ‘criteri di cui all’art. 133 cod. pen.’ viene considerato sufficiente, in quanto si presume che il giudice abbia implicitamente valutato tutti gli elementi rilevanti per contenere la sanzione.
Per quanto riguarda la recidiva, la Corte ha osservato che i giudici di merito avevano correttamente evidenziato come l’ultimo reato fosse espressione di una ‘persistente attitudine a violare le norme penali’ e di una ‘spinta criminosa ancora sussistente’, dimostrando l’insensibilità dell’imputato ai precedenti ammonimenti derivanti dalle condanne passate.
Conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza consolida un importante principio pratico. Per gli avvocati e gli imputati, significa che un ricorso basato unicamente sulla presunta brevità della motivazione di una pena lieve ha scarse probabilità di successo. La strategia difensiva deve concentrarsi su altri vizi, più sostanziali, della decisione.
Per i giudici, conferma la legittimità di una motivazione sintetica in casi di minore gravità sanzionatoria, consentendo di concentrare gli sforzi argomentativi sulle decisioni che comportano pene più severe. In definitiva, la pronuncia bilancia l’esigenza di garanzia per l’imputato con quella di efficienza del sistema giudiziario, chiarendo che la trasparenza non si misura dalla lunghezza della motivazione, ma dalla sua adeguatezza rispetto alla decisione presa.
Quando il giudice deve fornire una motivazione dettagliata per la pena inflitta?
L’obbligo di una motivazione specifica e dettagliata si accentua quanto più la pena si allontana dal minimo edittale previsto dalla legge e si avvicina al massimo.
È sufficiente un semplice richiamo all’art. 133 c.p. per motivare una pena?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, un richiamo generico ai criteri dell’art. 133 c.p. è considerato una motivazione sufficiente nel caso in cui la pena inflitta sia di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale.
Per quale motivo la Corte ha ritenuto giustificata l’applicazione della recidiva in questo caso?
La Corte ha ritenuto corretta l’applicazione della recidiva perché i giudici di merito avevano adeguatamente spiegato che il nuovo reato era la prosecuzione di un percorso delinquenziale, indice di una particolare e persistente attitudine a violare la legge e di un’accentuata pericolosità sociale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10272 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10272 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 23/03/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME;
ritenuto che il primo ed il secondo motivo del ricorso, con cui la difesa deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla mancata esclusione della recidiva, sono manifestamente infondati avendo la Corte d’appello puntualmente motivato in ordine ai presupposti per il suo riconoscimento (cfr., pag. 7 della sentenza) non limitandosi ad evocare i precedenti penali ma spiegando le ragioni per le quali l’episodio ivi giudicato era espressione di una accentuata pericolosità sociale “essendosi il reo dimostrato insensibile agli ammonimenti derivanti dalle precedenti condanne e dalle pene espiate …” sicché “… la condol:ta qui contestata costituisce significativa prosecuzione di un percorso delinquenziale già avviato ed indice di una particolare e persistente attitudine a violare le norme penali e di una spinta criminosa ancora sussistente” (cfr., ivi);
rilevato che analoga sorte riguarda il terzo ed il quarto motivo che, in realtà, attengono ad un profilo su cui la Corte d’appello aveva rilevato l’assenza di censure difensive avendo tuttavia avuto cura di precisare che la pena era stata contenuta nel minimo edittale “… con aumenti del tutto modesti per i reati minori in continuazione” (cfr., ivi, ancora, pag. 7) essendo appena il caso di ribadire che nel caso in cui venga irrogata una pena di gran lunga più vicina al minimo che al massimo edittale, il mero richiamo ai “criteri di cui all’art. 133 cod. pen.” realizza una motivazione sufficiente per dar conto dell’adeguatezza della pena all’entità del fatto; invero, l’obbligo della motivazione, in ordine alla congruità della pena inflitta, tanto più si attenua quanto più la pena, in concreto irrogata, si avvicina al minimo edittale (cfr., in tal senso, tra le tante, Sez. 1, n. 6677 del 05/05/1995, COGNOME, Rv.201537; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464); si è affermato che, nel caso in cui venga irrogata una pena al di sotto della media edittale, non è necessaria una specifica e dettagliata motivazione da parte del giudice, essendo sufficiente il richiamo al criterio di adeguatezza della pena, nel quale sono impliciti gli elementi di cui all’art. 133 cod. pen. (cfr., Sez. 4, n. 46412 del 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 3, n. 29968 del 22/02/2019, COGNOME, Rv. 276288, in cui la Corte ha peraltro precisato che la media edil:tale deve essere calcolata non dimezzando il massimo edittale previsto per il reato, ma dividendo per due il numero di mesi o anni che separano il minimo dal massimo edittale ed aggiungendo il risultato così ottenuto al minimo);
134. R.G. 31231 – 2023
rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 09/01/2024
Il Consigliere Estensore