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Mantenimento figlio: madre legittimata ad agire

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 17855/2024, ha stabilito che la madre convivente con il figlio, anche se maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, ha una legittimazione propria (iure proprio) a costituirsi parte civile nel processo penale per il reato di omesso versamento dell’assegno di mantenimento figlio a carico dell’ex coniuge. La Corte ha inoltre ribadito che tale reato, avendo natura abituale, non può beneficiare della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Mantenimento Figlio: la Madre ha un Diritto Proprio ad Agire anche se il Figlio è Maggiorenne

La questione del mantenimento figlio dopo la separazione o il divorzio è fonte di numerosi contenziosi. Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 17855 del 2024, getta luce su un aspetto procedurale di grande rilevanza: la legittimazione del genitore convivente ad agire contro l’ex coniuge inadempiente, anche quando il figlio ha raggiunto la maggiore età ma non è ancora economicamente indipendente. La Corte chiarisce che il genitore affidatario agisce iure proprio, ovvero per un diritto che gli appartiene personalmente, e non come semplice rappresentante del figlio.

I Fatti del Caso: un Assegno Versato solo Parzialmente

Il caso trae origine dalla condanna di un padre per il reato previsto dall’art. 570-bis del codice penale. L’uomo aveva adempiuto solo in parte all’obbligo, stabilito dal tribunale civile in sede di divorzio, di versare all’ex moglie un assegno mensile di 1.250 euro, oltre al 50% delle spese straordinarie, per il mantenimento figlio. L’inadempimento si era protratto per un lungo periodo, anche dopo che il ragazzo aveva compiuto 18 anni, pur rimanendo economicamente dipendente e convivente con la madre.

Il padre, condannato in primo grado e in appello, proponeva ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. Difetto di legittimazione della madre: sosteneva che, essendo il figlio maggiorenne al momento della costituzione di parte civile, solo lui avrebbe potuto agire per il risarcimento del danno, e non la madre.
2. Particolare tenuità del fatto: chiedeva l’applicazione della causa di non punibilità ex art. 131-bis c.p., data la presunta non “serialità” della condotta.
3. Contraddizione nella sentenza d’appello: evidenziava come la Corte d’Appello, pur avendo confermato integralmente la condanna, avesse indicato in motivazione la necessità di ridurre la provvisionale (l’anticipo sul risarcimento) da 2.000 a 1.500 euro.

Il Diritto al Mantenimento Figlio e la Legittimazione del Genitore Convivente

La Corte di Cassazione ha rigettato i primi due motivi di ricorso, fornendo chiarimenti fondamentali. Il punto cruciale riguarda la legittimazione della madre. Contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici hanno affermato che il genitore convivente con il figlio (minorenne o maggiorenne non autosufficiente) è titolare di un diritto di credito proprio nei confronti dell’altro genitore. Questo diritto nasce dal fatto che egli si occupa materialmente del mantenimento quotidiano della prole, anticipando le spese.

La legittimazione della madre, quindi, non deriva da una rappresentanza del figlio, ma è autonoma e concorre con quella del figlio stesso, una volta che quest’ultimo diventa maggiorenne. Si tratta di una legittimazione iure proprio che permane finché il figlio continua a convivere e non ottiene la corresponsione diretta dell’assegno.

L’Inapplicabilità della Particolare Tenuità del Fatto

Anche il secondo motivo è stato giudicato infondato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato: il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare è un “reato a consumazione prolungata”. Ogni singola omissione nel versamento dell’assegno di mantenimento figlio non è un episodio isolato, ma aggrava l’offesa al bene giuridico tutelato. La natura abituale e protratta nel tempo del comportamento inadempiente è ostativa al riconoscimento del beneficio della particolare tenuità del fatto. Nel caso di specie, l’omissione si era protratta per oltre un anno, rendendo impossibile qualificare il fatto come di minima offensività.

le motivazioni

La Corte Suprema ha ritenuto manifestamente infondato il primo motivo di ricorso. La decisione si allinea con il consolidato orientamento della giurisprudenza civile, secondo cui il genitore separato o divorziato, affidatario e convivente con il figlio, è legittimato iure proprio ad ottenere l’adempimento dell’obbligo di versamento dell’assegno gravante sull’altro coniuge. Questa legittimazione propria si conserva, in via autonoma e concorrente con quella del figlio, anche dopo il raggiungimento della maggiore età di quest’ultimo, qualora egli non abbia richiesto e ottenuto la corresponsione diretta dell’assegno. Di conseguenza, la costituzione di parte civile della madre era pienamente legittima, poiché finalizzata a far valere un proprio diritto di credito.

Per quanto riguarda il secondo motivo, la Corte ha spiegato che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non si applica ai reati come l’omesso versamento del contributo al mantenimento, data l’abitualità del comportamento che caratterizza la fattispecie. Ogni mancato pagamento aggrava l’offesa, configurando un reato “a consumazione prolungata” incompatibile con il beneficio richiesto.

Infine, la Corte ha accolto il terzo motivo. È stata riscontrata una palese contraddizione tra la motivazione della sentenza d’appello, che argomentava per una riduzione della provvisionale a 1.500 euro, e il dispositivo, che confermava integralmente la sentenza di primo grado (che prevedeva una provvisionale di 2.000 euro). Per questo specifico punto, la Cassazione ha annullato la sentenza senza rinvio, rideterminando direttamente l’importo della provvisionale nella misura di 1.500 euro.

le conclusioni

Questa sentenza riafferma principi cruciali in materia di obblighi familiari. In primo luogo, consolida la posizione del genitore convivente, riconoscendogli un diritto autonomo a pretendere il versamento dell’assegno di mantenimento, anche per il figlio maggiorenne non autosufficiente. Ciò semplifica l’azione legale, evitando che il figlio debba necessariamente agire in prima persona. In secondo luogo, conferma la severità dell’ordinamento nei confronti di chi si sottrae in modo continuativo ai propri doveri economici verso la prole, escludendo scorciatoie come la non punibilità per tenuità del fatto. La decisione finale, pur correggendo un errore materiale sulla provvisionale, conferma nel resto la condanna, sottolineando l’importanza inderogabile del dovere di provvedere al mantenimento figlio.

La madre che convive con il figlio maggiorenne ma non autosufficiente può costituirsi parte civile contro l’ex coniuge per il mancato versamento dell’assegno di mantenimento?
Sì. La sentenza afferma che la madre convivente ha una legittimazione ad agire “iure proprio” (per un diritto proprio), autonoma e concorrente con quella del figlio, per ottenere il contributo al mantenimento, anche quando il figlio è maggiorenne ma non ancora economicamente indipendente.

L’omesso versamento dell’assegno di mantenimento per più mesi può essere considerato un “fatto di particolare tenuità” e quindi non punibile?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare è un “reato a consumazione prolungata”. L’abitualità del comportamento, che si manifesta con l’omissione ripetuta dei pagamenti, è ostativa al riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

Cosa succede se la motivazione di una sentenza d’appello contraddice la decisione finale (dispositivo)?
In questo caso, la Corte di Cassazione ha rilevato la contraddizione. Poiché la motivazione indicava che la provvisionale dovesse essere ridotta a 1.500 euro, mentre il dispositivo confermava l’importo maggiore di 2.000 euro, la Corte ha annullato la sentenza su questo punto specifico e, senza bisogno di un nuovo giudizio (rinvio), ha rideterminato direttamente l’importo della provvisionale a 1.500 euro, conformemente a quanto indicato nella motivazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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