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Lieve entità spaccio esclusa per 250g di droga

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per detenzione di stupefacenti. La richiesta di riconoscere l’ipotesi di lieve entità spaccio è stata respinta a causa del notevole quantitativo di droga (249,5 grammi), considerato un indice di professionalità e di un’attività di cessione continua, incompatibile con la minima offensività richiesta dalla norma. La decisione è stata rafforzata dai precedenti penali dell’imputato.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Lieve Entità Spaccio: Quando la Quantità di Droga Fa la Differenza

L’ordinanza della Corte di Cassazione n. 18570/2024 offre un’importante chiave di lettura sui criteri di valutazione del reato di lieve entità spaccio. La Suprema Corte, nel dichiarare inammissibile un ricorso, ha ribadito come un quantitativo ingente di stupefacente sia un elemento decisivo per escludere la configurabilità del fatto di lieve entità, delineando un confine netto tra piccola criminalità e attività strutturata.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo condannato dalla Corte d’Appello di Messina per un reato legato agli stupefacenti. L’imputato, trovato in possesso di 249,5 grammi di sostanza illecita, chiedeva alla Suprema Corte di riqualificare il reato nell’ipotesi più lieve prevista dall’art. 73, comma 5, del d.P.R. 309/90, sostenendo che la sua condotta avesse una minima offensività penale. Inoltre, contestava il diniego delle attenuanti generiche.

La Decisione della Cassazione e i Parametri della Lieve Entità Spaccio

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il suo ricorso inammissibile. I giudici hanno sottolineato che la decisione della Corte d’Appello era ben motivata e giuridicamente corretta.

Il punto centrale della pronuncia ruota attorno all’interpretazione del concetto di lieve entità spaccio. Secondo la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite, questa fattispecie può essere riconosciuta solo in casi di minima offensività della condotta. Tale valutazione non si basa solo sulla quantità e qualità della droga, ma anche su altri parametri come i mezzi, le modalità e le circostanze dell’azione.

Nel caso specifico, il quantitativo di quasi 250 grammi è stato ritenuto un fattore “negativamente assorbente”, ovvero un elemento talmente grave da rendere irrilevante ogni altra considerazione favorevole. Un tale quantitativo, secondo la Corte, non è compatibile con una detenzione per uso occasionale o piccolo spaccio, ma è invece sintomatico di un “pregresso approvvigionamento di stupefacente da destinare a continua cessione” e di una “collaudata professionalità nell’attività di spaccio”.

L’Importanza dei Precedenti Penali

La Corte ha anche confermato la decisione dei giudici di merito di non concedere le attenuanti generiche (previste dall’art. 62 bis del codice penale). La motivazione si fonda sulla “negativa personalità del prevenuto”, desunta dai suoi numerosi precedenti penali. Questo elemento ha rafforzato il quadro di un soggetto dedito ad attività illecite, rendendo inappropriata qualsiasi forma di clemenza.

Le Motivazioni

La motivazione della Cassazione si allinea a un orientamento rigoroso e consolidato. La Corte ha spiegato che, per valutare la lieve entità spaccio, il giudice deve effettuare un’analisi complessiva. Tuttavia, quando uno degli indici previsti dalla legge (come la quantità di droga) assume una valenza particolarmente negativa, questo è sufficiente a escludere la fattispecie attenuata. La quantità di 249,5 grammi è stata ritenuta logicamente indicativa di un’attività criminale strutturata e non di un episodio isolato o marginale. Di conseguenza, la condotta non poteva essere qualificata come di minima offensività. La condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria di 3.000 euro a favore della Cassa delle ammende è la diretta conseguenza procedurale della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: nel valutare il reato di lieve entità spaccio, il dato quantitativo della sostanza stupefacente assume un peso preponderante. Un quantitativo rilevante può essere considerato di per sé un indicatore di professionalità criminale, sufficiente a escludere l’applicazione della norma più favorevole. Questa decisione serve da monito, chiarendo che il beneficio della lieve entità è riservato a situazioni oggettivamente e soggettivamente marginali, e non a chi dimostra, attraverso la quantità di droga detenuta e i propri precedenti, una consolidata inclinazione al crimine.

Quando un reato di spaccio può essere considerato di “lieve entità”?
Un reato di spaccio può essere considerato di lieve entità quando la condotta presenta una minima offensività penale. Questa valutazione si basa sull’analisi complessiva di diversi parametri: la qualità e quantità dello stupefacente, i mezzi, le modalità, le circostanze dell’azione e la personalità dell’imputato.

Una grande quantità di stupefacente esclude automaticamente la lieve entità?
Sì, secondo l’orientamento della Cassazione confermato in questa ordinanza, un quantitativo rilevante (in questo caso 249,5 grammi) può essere considerato un indice “negativamente assorbente”, ovvero un elemento talmente grave da escludere da solo la lieve entità, in quanto ritenuto sintomatico di un’attività di spaccio professionale e continua.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile e quali sono le conseguenze?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le motivazioni presentate erano manifestamente infondate e non idonee a scalfire la correttezza logico-giuridica della sentenza impugnata. La conseguenza principale, prevista dall’art. 616 c.p.p., è la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, in questo caso fissata in 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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