Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 26415 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 26415 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME NOME a SERMONETA il DATA_NASCITA
COGNOME NOME NOME a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 20/12/2022 della CORTE APPELLO di ROMA
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME COGNOME, che ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi, riportandosi e illustrando la memoria depositata; uditi gli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME, nell’interesse rispettivamente dei ricorrenti NOME COGNOME e NOME COGNOME, che hanno illustrato i motivi dei rispettivi ricorsi e ne hanno chiesto l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
La Corte di appello di Roma, con la sentenza emessa il 20 dicembre 2022, riformava parzialmente quella del Tribunale di Latina, per quanto qui di interesse in ordine agli attuali ricorrenti, dichiarando l’estinzione del reato di infede patrimoniale previsto dall’art. 2634 cod. civ. per intervenuta prescrizione e confermando le statuizioni civili – consistenti nella condanna generica al
risarcimento del danno in favore delle parti civili – e la confisca dell’immobile in sequestro ex art. 2641 cod. civ.
In particolare, gli attuali ricorrenti rispondevano del menzioNOME delitto, in quanto NOME COGNOME, quale amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE e della società RAGIONE_SOCIALE, e NOME COGNOME, quale finanziatore dell’operazione, in data 31 luglio 2007 concorrevano nella compravendita dell’immobile sito in Latina, stipulato tra le citate società, agendo COGNOME in conflitto di interessi con la società RAGIONE_SOCIALE, e provocando con tale condotta un danno patrimoniale alla società venditrice – la citata RAGIONE_SOCIALE – rappresentato dal fatto che il vantaggio conseguito per effetto dell’operazione era significativamente inferiore al valore dell’immobile
La Corte di appello confermava l’impianto della sentenza di primo grado, che aveva ritenuto fondata l’ipotesi d’accusa in ordine alla circostanza che si trattasse dell’unico bene immobile della società, che lo stesso veniva venduto senza nessuna previa attività volta alla ricerca del migliore offerente e senza che vi fosse alcuna necessità liquidatoria e in assenza della previsione di alcun interesse in relazione all’ampia quota di corrispettivo significativamente dilazionata nel tempo, a mezzo di effetti cambiari emessi dalla acquirente, società quest’ultima, sottocapitalizzata e priva di capacità patrimoniale, costituita per altro solo cinque giorni prima dell’atto.
La contestazione indicava come il risultato di cassa, ottenuto dalla venditrice, risultasse irrisorio, essendo pari ad euro 100.311,64, mentre altra parte del prezzo, pari ad euro 508.928,62, era stato corrisposto tramite l’accollo di debiti della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME (peraltro una parte del debito nei confronti di COGNOME NOME pari ad euro 198.319,46 non appariva in alcun modo giustificabile); infine, in capo alla società RAGIONE_SOCIALE permaneva la responsabilità solidale con RAGIONE_SOCIALE per i debiti accollati della società RAGIONE_SOCIALE e pari ad euro 899.688,36, con evidente pregiudizio per la società venditrice.
Successivamente, si legge ancora nell’imputazione, nel dicembre 2007, RAGIONE_SOCIALE cedeva le quote sociali ad una società lussemburghese, RAGIONE_SOCIALE (intestazione in realtà fiduciaria, in quanto i titolari delle quot partecipazione della RAGIONE_SOCIALE erano COGNOME NOME NOME COGNOME NOME, giusta scrittura privata del 4 dicembre 2007) e stipulava un contratto preliminare di compravendita con la società RAGIONE_SOCIALE, partecipata da una società di diritto lussemburghese RAGIONE_SOCIALE, in tal modo operando affinché venisse preclusa la possibilità di riacquisizione dell’immobile da parte di RAGIONE_SOCIALE Il delitto contestato in Latina il 31 luglio 2007 e in epoca successiva.
I ricorsi per cassazione proposti nell’interesse di NOME COGNOME e NOME COGNOME constano di motivi che saranno enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Quanto al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, lo stesso si articola in cinque motivi.
3.1 Con il primo motivo deduce il ricorrente violazione di legge in relazione agli articoli 76, 78, 100 e 122 cod. proc. pen.
Il ricorrente lamenta che i Giudici del merito abbiano ritenuto valida la costituzione di parte civile da parte della RAGIONE_SOCIALE, nonostante il G.u.p. avesse nomiNOME dapprima il socio di minoranza della società, NOME COGNOME, quale curatore speciale, che conferiva al difensore procura speciale per costituirsi parte civile, il che avveniva il 17 novembre 2010. Successivamente lo stesso Giudice, a seguito dell’opposizione dell’imputato, revocava il decreto con il quale aveva disposto la nomina del curatore speciale, disponendo l’audizione dell’amministratore di diritto, escusso all’udienza del 31 gennaio 2011 e all’esito, il 14 febbraio 2011, il G.u.p. disponeva la nomina del medesimo curatore speciale, ammettendo la costituzione di parte civile.
Argomenta il ricorrente che la revoca del provvedimento di nomina del curatore determinava l’invalidità ex tunc della stessa, e travolgeva anche la procura speciale rilasciata, cosicché la costituzione della parte civile avrebbe richiesto il rilascio di una ulteriore procura speciale, non intervenuta.
Pertanto, il ricorrente censura la sentenza ora impugnata che ha ritenuto valida – perché autonoma dalla nomina del curatore – la procura speciale rilasciata, avendo invece la revoca del curatore speciale determiNOME l’invalidità degli atti dello stesso, fra i quali quelli prodromici alla costituzione in giudi quindi viziata.
3.2 II secondo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 2476 cod. civ. quanto ai soci COGNOME, COGNOME e COGNOME.
In sostanza, rileva il ricorrente come nonostante la propria opposizione in primo grado e il motivo di impugnazione, anche la Corte di appello abbia erroneamente ritenuto compatibile l’azione civile dei soci, nonostante quella della società.
Argomenta il ricorrente che il danno che legittima i soci a costituirsi deve essere un danno diretto, ai sensi dell’art. 2476 cod. civ. ma nel caso in esame per un verso lo stesso non viene prospettato, e dunque difetta la legittimazione, per altro verso, quanto alla prova del danno, i soci lo hanno calcolato operando una valutazione in tutto sovrapponibile a quella della società, limitandosi alla ripartizione del danno sociale pro-quota.
Ne dovrebbe conseguire l’annullamento della sentenza quanto alle statuizioni di condanna generica in favore dei soci e in ordine alle spese di costituzione e giudizio, non sussistendo alcun danno morale nella fattispecie in esame da imputare alla condotta contestata, meramente patrimoniale.
3.3. Il terzo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione rispetto alla valutazione della Corte di appello che ha ritenuto sussistenti elementi adeguati a escludere l’assoluzione nel merito degli imputati, in funzione della confisca.
Nel fare ciò, però, per un verso la Corte territoriale avrebbe confuso il capitale sociale con il patrimonio, annoverando la cessione dell’immobile nella riduzione del primo, valorizzando quale ragione di danno la circostanza che la cessione dell’immobile determinava la perdita dell’unico bene di proprietà, senza considerare che l’immobile era invece destiNOME fin dall’origine alla vendita, che la stessa non aveva inciso sul capitale sociale, che la sostituzione dello stesso con un credito di pari valore – la stessa sentenza impugnata non attribuisce rilievo alla contestata sottostima del prezzo pattuito rispetto al reale valore di mercato non avrebbe determiNOME alcun danno, che la scelta operata dall’amministratore non fu distrattiva ma finalizzata a recuperare risorse per saldare i debiti societari, non avendo i soci provveduto a nuovi finanziamenti della società.
Per altro, il ritenuto conflitto di interessi non determinava in sé l’illic dell’atto dispositivo, in assenza di danno per società e soci, necessario ai sensi dell’art. 2634 cod. civ.
La sentenza impugnata si sarebbe quindi limitata a una indagine non sufficientemente penetrante quanto alla sussistenza del delitto, solo in funzione della pretesa risarcitoria e della alternativa di proscioglimento nel merito ex art. 129, comma 2, cod. proc. pen. rispetto a quella per estinzione del reato.
3.4 Il quarto motivo lamenta violazione di legge in relazione alla confermata confisca, osservando come nel caso in esame l’art. 2641 cod. civ. richieda, per la confisca conseguente ai reati societari, la sussistenza degli elementi del reato necessari per la condanna, richiesta esplicitamente dalla norma del codice civile a differenza del mero accertamento di responsabilità, richiesto ad esempio dall’art. 44, lett. c), d.P.R. 380 del 2001.
In sostanza, il ricorrente richiama la necessità del rispetto del principio di legalità, data la natura sanzioNOMEria della confisca, fondandosi su pronunce di questa Corte, quali Sez. Unite De Maio e COGNOME, della Corte costituzionale, e sul principio di prevedibilità della decisione ablatoria, anche per il caso di intervenuta estinzione per prescrizione del reato. In tal senso, quindi, la declaratoria di estinzione del reato per prescrizione non può consentire la disposta confisca e comunque, anche a voler ritenere ciò possibile, l’art. 578-bis cod. proc. pen. richiede un accertamento effettivo sulla responsabilità dell’imputato e non solo
quello funzionale ad evitare il proscioglimento ex art. 129 cod. proc. pen. come richiesto in caso di prescrizione.
Inoltre, il ricorrente richiama anche le Sez. U, COGNOME (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, Rv. 284209 – 01), che attribuendo natura sostanziale alla disposizione processuale dell’art. 578-bis cod. pen. ne hanno escluso l’applicazione retroattiva in relazione a fatti antecedenti l’entrata in vigor della norma medesima.
In vero, lamenta il ricorrente, la Corte di appello avrebbe esclusivamente valutato la responsabilità ai fini delle statuizioni civili e, quindi, del risarcim del danno che soggiace a criteri di valutazione diversi rispetto a quelli propri dell’accertamento della responsabilità penale.
3.5 Il quinto motivo lamenta violazione dell’art. 2641 cod. civ. e vizio di motivazione in ordine alla perimetrazione del profitto del reato.
La Corte territoriale ha ritenuto il profitto coincidente con l’immobile compravenduto, senza tenere in conto che nell’ambito di un contratto a prestazioni corrispettive il profitto sia invece da valutarsi al netto del vantaggio ottenuto da danneggiato.
In tal senso rileva la distinzione fra reato contratto e reato in contratt dovendo ritenersi errata la valutazione della Corte territoriale, che deliba irrilevante perché civilistica tale distinzione, mentre il Tribunale riconduceva a caso del reato contratto la fattispecie in esame.
Nel caso di specie, secondo il ricorrente, la distinzione fra le due classificazioni dovrebbe essere risolta in favore del reato in contratto, in quanto non si tratta di contratto illecito in sé, ma di contratto connotato da illegittimità per essere sta stipulato con rimozione degli ostacoli alla sua conclusione, connessi al conflitto di interessi.
Il reato in contratto esclude la confiscabilità del profitto, riabilitando strumenti civilistici di tutela, fermo restando che comunque il profitto non può coincidere, in un contratto sinallagmatico, se non con quella parte del risultato economico che non trova ragione nella causa del contratto medesimo, non potendo così ritenersi il danno conseguente alla perdita di chance, nel caso in esame relativamente all’utilizzo e alla redditività (preclusi) dell’immobile da parte del società venditrice.
Quanto al ricorso nell’interesse di NOME COGNOME, lo stesso si articola in tre motivi.
4.1. Il primo motivo lamenta violazione di legge in relazione agli artt. 2641, primo comma, cod. civ. e 240, secondo comma, cod. pen. nonché vizio di motivazione.
La Corte territoriale si sarebbe limitata a una analisi dei motivi di appello in funzione della responsabilità aquiliana, non anche in relazione alla verifica della sussistenza del reato ex art. 2634 cod. civ., come invece richiesto da Sez. U, COGNOME, per la confisca, limitandosi ad escludere le ragioni del proscioglimento nel merito rispetto alla pronuncia di estinzione per prescrizione.
In tale prospettiva, il ricorrente evidenzia come la Corte territoriale abbia omesso una valutazione in ordine alle censure mosse alla sentenza di primo grado, rilevanti ai fini della sussistenza del reato.
Quanto al pregiudizio che la società avrebbe subito, la sentenza ritiene erroneamente che esso consista nella cessione dell’unico immobile del quale era proprietaria la cedente.
Inoltre, la pronuncia non si confronta con gli argomenti seguenti: l’operazione di vendita era necessaria in ragione dell’indebitamento, che diversamente avrebbe condotto al fallimento della società; la vendita integrava un mutamento solo qualitativo del patrimonio aziendale, consentendo alla società di reinvestire il prezzo; il danno non può coincidere con la chance di un possibile diverso utilizzo del bene immobile.
La Corte territoriale, inoltre, non avrebbe dato adeguata risposta in relazione alla responsabilità personale di COGNOME, che risulterebbe dover rispondere come concorrente extraneus di un intraneus senza cariche formali, essendo COGNOME ritenuto amministratore di fatto.
COGNOME, infatti, non aveva rapporti se non con COGNOME e, dunque, la sentenza impugnata avrebbe dovuto dimostrare anche la piena consapevolezza da parte dell’attuale ricorrente della illiceità dell’operazione di compravendita e dell sua funzione liquidatoria, nonché della qualità di amministratore di fatto di COGNOME: a fronte di tali obiezioni illogica e apparente risulterebbe la motivazione impugnata.
4.2 II secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 2641 cod. civ.
Il motivo ripropone argomentazioni sovrapponibili al quinto motivo del ricorso COGNOME, riconducendo il caso in esame ad un reato in contratto, come la truffa, risultando la compravendita dannosa per la società, ma non essendo illecito in sé l’atto di disposizione, cosicché il profitto non poteva – come invece ha ritenuto la Corte territoriale – individuarsi in non consentite utilità future, solo attese sperate, eludendo il tema della differenza fra reato contratto e in contratto, definizione quest’ultima che avrebbe condotto a una individuazione del profitto diversa da quella operata dalla sentenza impugnata.
4.3 Il terzo motivo lamenta violazione di legge in relazione all’art. 2641, terzo comma, cod. civ. e 240, quarto comma, cod. pen. in quanto la Corte territoriale
non si è confrontata con il tema per cui la società acquirente, RAGIONE_SOCIALE, sia terza estranea al reato e anche al processo, non potendo far valere le proprie ragioni, né risultando la stessa indicata come uno schermo formale utilizzato dagli autori del reato.
Il ricorso è stato trattato con intervento delle parti, ai sensi dell’art. comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’art. del d.lgs. 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5 -duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del d.l. 30 dicembre 2023, n. 215, convertito in legge 23 febbraio 2024, n. 18.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha concluso riportandosi alla memoria depositata in atti, con la quale ha chiesto dichiararsi inammissibili i ricorsi.
In particolare, ha rappresentato come la Corte di appello abbia dato risposta a tutte le censure reiterate con i ricorsi, in ordine alla sussistenza del reato contestazione. e ha sollecitato questa Corte a rilevare d’ufficio, ai sensi dell’ar 609, comma 2, cod. proc. pen., per un verso come la confisca dell’immobile non sia consentita in quanto in proprietà della società terza estranea al reato, per quanto affermato dalla Cedu con la sentenza Giem contro RAGIONE_SOCIALE, non essendo il delitto per cui si procede titolo per la responsabilità amministrativa da reato per l’ente acquirente; per altro verso, dichiararsi la nullità del contratto perché in fro alla legge e con motivo illecito, per quanto previsto dagli artt. 1343, 1344 e 1345 cod. civ., con la restituzione dell’immobile alla società venditrice, mentre la confisca andrebbe disposta in via diretta e per equivalente in ordine al bene utilizzato per commettere il reato, vale a dire il prezzo, nonché sul profitt ottenuto, pari al vantaggio economico tratto dall’utilizzo temporaneo.
I difensori dei ricorrenti hanno illustrato i rispettivi ricorsi chiedendo l’accoglimento, e l’avvocato NOME COGNOME per NOME COGNOME si è riportato anche alla memoria depositata, in replica alle conclusioni della Procura AVV_NOTAIO, con la quale rappresentava l’ammissibilità dei ricorsi, fondati su argomentazioni analoghe a quelle proposte dalla Procura AVV_NOTAIO per giungere a dichiarare la nullità del contratto e l’inestensibilità della confisca al terzo estraneo al reato e al processo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo del ricorso COGNOME è aspecifico.
A ben vedere, dalla sola ricostruzione operata dagli atti di impugnazione in appello e in cassazione, risulta che il G.u.p. ebbe a nominare curatore speciale ex art. 77 cod. proc. pen. della società Key il socio COGNOME in data 15 giugno 2010, il quale in tale veste rilasciava procura speciale al difensore per la costituzione di parte civile, intervenuta all’udienza del 17 novembre 2010.
Il G.u.p., a seguito delle eccezioni difensive, riteneva fondate quelle relative alla mancata audizione delle persone interessate, ex art. 77, comma 3, cod. proc. pen., e pertanto revocava il decreto di nomina del curatore, procedeva all’audizione e il 14 febbraio 2010 ne emetteva uno nuovo che confermava l’attribuzione dell’incarico allo stesso COGNOME, ammettendo poi la costituzione di parte civile proposta sulla scorta della procura speciale rilasciata in precedenza e, quindi, secondo le censure del ricorrente, invalida a seguito della revoca intervenuta.
Va evidenziato come il motivo di ricorso sia aspecifico, in quanto non sostiene le argomentazioni con l’allegazione dei verbali dell’udienza preliminare e con i provvedimenti assunti dal G.u.p., oltre che con lo stesso atto di costituzione di parte civile.
Se in questa sede di legittimità alla Corte di cassazione il controllo degli atti per la verifica della fondatezza dei motivi inerenti ad asseriti “errores i procedendo” è pacifico (cfr. Sez. U., 31 ottobre 2001, Policastro, Rv. 220092), non di meno ciò non esonera il ricorrente dalla specifica indicazione, secondo quanto previsto dall’art. 187, comma 2, cod. proc. pen., degli elementi dai quali dedurre le caratteristiche dell’atto (Sez. 6, n. 36612 del 19/11/2020, Gresta, Rv. 280121 – 01; conf. n. 25310 del 2004, Rv. 228953 – 01, n. 34351 del 2005, Rv. 232508 – 01).
Ciò vale anche per il giudizio di appello, e nel caso in esame l’atto di impugnazione non adempie a tale onere di allegazione specifica, tenuto in conto che la deduzione della invalidità non può limitarsi a denunciare l’inosservanza della norma processuale, e «deve eventualmente avvalorare l’affermazione con elementi che la rendano credibile. Infatti, in un processo basato sulla iniziativa delle parti è normale che anche l’esercizio dei poteri officiosi del giudice si mediato dall’attività delle parti, quando dagli atti non risultano gli element necessari per l’esercizio di quei poteri e solo le parti sono in grado di rappresentarli al giudice e di procurarne l’acquisizione» (Sez. U, n. 119 del 27/10/2004, dep. 07/01/2005, COGNOME, Rv. 229541 – 01.; conf. Sez. 1, n. 20989 del 23/06/2020, COGNOME, Rv. 279320 – 01).
Nel caso in esame, gli atti resi disponibili per questa Corte non consentono la verifica di quanto affermato dal ricorrente, anche perché l’invalidità denunciata si sarebbe verificata nella fase dell’udienza preliminare, con la conseguenza che la relativa documentazione è contenuta nel fascicolo del pubblico ministero, non essendo stata esercitata alcuna opzione per un rito alternativo a quello dibattimentale.
In sostanza, spettava al ricorrente fornire la prova, in quanto l’onere in ordine al fatto processuale, dal quale dipende l’accoglimento dell’eccezione procedurale, grava sulla parte che ha sollevato l’eccezione stessa (Sez. 5, n. 1915 del 18/11/2010, dep. 21/01/2011, COGNOME, Rv. 249048 – 01, in un caso in cui il ricorrente aveva eccepito l’improcedibilità dell’azione penale per violazione del principio di specialità in materia di estradizione; Sez. 5, n. 600 del 17/12/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 242551 – 01).
Nello stesso senso, in relazione alla diversa tipologia di invalidità quale è l’inutilizzabilità – cfr. Sez. U, n. 45189 del 17/11/2004, COGNOME, Rv. 229245 verificatasi nel diverso procedimento, è rilevabile dal giudice del procedimento in cui le intercettazioni vengono utilizzate, solo quando essa risulti dagli atti diversamente non essendo tenuto il giudice a ricercarne d’ufficio la prova.
Nel caso in esame, quindi, il motivo di ricorso risulta aspecifico, in quanto non mette in condizione questa Corte di verificare il maturare della invalidità dedotta, non essendo stati allegati al ricorso gli atti processuali decisivi per valutare l doglianza difensiva, né risultando provata la richiesta rivolta alla cancelleria della Corte di appello, degli atti indicati nel ricorso per cassazione, ai fini del allegazione ai sensi dell’art. 165-bis disp. att. cod. proc. pen., fermo restando che comunque gravi sul difensore un onere di diligenza nel verificare l’effettiva trasmissione degli atti e nel provvedere spontaneamente alle allegazioni ritenute necessarie (Sez. 3, n. 32093 del 04/04/2023, Curti, Rv. 284901 – 01).
Per altro, anche a voler seguire la ricostruzione difensiva e a ritenere fondata la denuncia di invalidità della costituzione di parte civile per difetto di una seconda procura speciale, nulla emerge – né questa Corte ha la possibilità di verificarlo, difettando l’allegazione degli atti – quanto alla eventuale presenza in udienza del COGNOME all’atto della rinnovata costituzione di parte civile, che evidentemente avrebbe integrato la personale costituzione del danneggiato in udienza (così Sez. U, n. 12213 del 21/12/2017, dep. /2018, COGNOME, Rv. 272169 – 01).
Con quest’ultima decisione, le Sezioni Unite richiamano e condividono, in motivazione, gli orientamenti maturati per la costituzione di parte civile in mancanza di procura speciale al difensore o al sostituto desigNOME: «la presenza in udienza della persona offesa (recte, danneggiato) va considerata come esercizio personale della facoltà di costituirsi parte civile, modalità espressamente prevista
dall’art. 76 cod. proc. pen. (Sez. 4, n. 41790 del 11/06/2009, COGNOME, Rv. 245534; Sez. 4, n. 24455 del 22/04/2015, COGNOME, Rv. 263730), ovvero che «l’assenza di legittimazione all’esercizio dell’azione civile da parte del difensore, per difetto procura speciale, ovvero da parte del sostituto processuale, per difetto dei relativi poteri sostanziali, è sanata mediante la presenza in udienza della persona offesa, che consente di ritenere la costituzione di parte civile come avvenuta personalmente» (Sez. 4, n. 49158 del 26/10/2017, Sanapo, non mass.). E ciò anche in linea con l’orientamento in AVV_NOTAIO improntato nel senso della irrilevanza del conferimento della procura speciale laddove il difensore ponga in essere delle attività in presenza della parte interessata (Si veda, in particolare con riguardo alla richiesta di rito abbreviato in assenza di procura speciale ma in presenza della parte interessata, Sez. U, n. 9977 del 31/01/2008, Morini, Rv. 238680)».
Ne consegue l’aspecificità del primo motivo di ricorso.
In relazione al secondo motivo del ricorso COGNOMECOGNOME deve rilevarsi come il motivo risulti aspecifico fin dall’atto di appello, in quanto non si confronta c parte della motivazione resa dal Tribunale.
Infatti, la sentenza di primo grado osservava come la legittimazione ad agire in sede penale con l’azione civile per i soci fosse giustificata dal danno non patrimoniale connesso al reato ex art. 185 cod. proc. pen. (fol. 46).
A ben vedere, rispetto a tale ultimo argomento l’appellante, ora ricorrente COGNOME, si limitava a rilevare che la categoria del danno morale sia caratterizzata da improbabile compatibilità rispetto a una operazione squisitamente patrimoniale.
D’altro canto, la censura è manifestamente infondata, in quanto il danno non patrimoniale è conseguenza del reato ex art. 185 cod. pen. in ragione della riserva di legge dell’art. 2059 cod. civ., cosicchè è ben possibile che l’azione civile si legittimamente proposta anche dal socio e non solo dalla società. Nel caso del delitto di evento ex art. 2634 cod. civ. il bene tutelato è il patrimonio sociale e, dunque, la società è certamente persona offesa: non di meno lo è anche il socio, per pacifico e consolidato orientamento di questa Corte.
Di fatti va condiviso da questo Collegio il principio – affermato da Sez. 5, n. 22495 del 18/11/2015, dep. 27/05/2016, COGNOME, Rv. 267139 – 01, tratto da da Sez. 5, n. 39506 del 24/06/2015, COGNOME, Rv. 264919 – in forza del quale anche i soci sono persone offese del delitto in esame, tanto che la legittimazione alla proposizione della querela per il reato di infedeltà patrimoniale dell’amministratore spetta non solo alla società nel suo complesso (essendo l’incriminazione volta alla tutela dell’integrità patrimoniale della società), ma anch – e disgiuntamente – al singolo socio: il singolo socio è persona offesa del reato
di infedeltà patrimoniale, e non solo danneggiato dallo stesso, in quanto la condotta dell’amministratore infedele è diretta a compromettere le ragioni della società, ma anche, principalmente, quelle dei soci o quotisti della stessa, che per l’infedele attività dell’amministratore subiscono il depauperamento del proprio patrimonio (Sez. 5, n. 37033 del 16/6/2006, Rv. 235282), orientamento consolidatosi in seguito (Sez. 2, n. 24824 del 25/2/2009, Rv. 244336; Sez. 5, n. 35080 del 7/5/2014, Rv. 260468).
Diversamente la specificità dell’oggetto della tutela nell’incriminazione ex art. 2634 cod. civ., tutto interno alla compagine sociale, esclude che sia possibile estendere la qualifica di persona offesa dal reato ad altra generica categoria di soggetti quali i creditori sociali i cui interessi sull’integrità del patrimonio soc trovano differenti modalità di tutela, nelle situazioni di patologia della società (Sez 5, n. 13110 del 5/3/2008, Rv. 239394) idonee a determinare la definitiva lesione del loro interesse.
Ad ogni buon conto, anche a non voler condividere tale orientamento consolidato, che riconosce al socio la qualità di persona offesa, comunque lo stesso sarebbe legittimato all’esercizio dell’azione civile nel processo penale, in quanto soggetto danneggiato, essendo principio altrettanto consolidato quello che legittima non solo il soggetto passivo del reato, ma anche chiunque abbia riportato un danno eziologicamente riferibile all’azione od omissione del soggetto attivo (Sez. 2, n. 31295 del 31/05/2018, La Montagna, Rv. 273698 – 01; mass. conf. n. 46084 del 2014, Rv. 261482 – 01, n. 4380 del 2015, Rv. 262371 – 01).
D’altro canto, il dualismo della tutela della società e del socio contro l’amministratore infedele è anche garantito dal potere di iniziativa concorrente assicurato a entrambi i soggetti per l’azione di responsabilità contro l’amministratore, al quale si aggiunge, per il socio direttamente danneggiato da atti dolosi o colposi degli amministratori, il diritto al risarcimento, non pregiudicat dall’azione di responsabilità posta in essere dalla società o da altro socio, né dalla rinuncia o transazione conseguente (art. 2476, comma settimo, cod. civ.).
Pertanto, l’art. 2476, comma settimo, cod. civ. consente di far valere pretese risarcitorie ulteriori, rispetto a quelle proprie della società, come quelle afferenti danno non patrimoniale morale da reato.
E dunque, il motivo di ricorso per un verso non si confronta adeguatamente con il danno non patrimoniale richiamato dal Tribunale né, per altro, con il principio per cui non è in sede di costituzione della parte civile che tutto ciò va verificato, i quanto la legittimazione all’azione civile nel processo penale va correlata esclusivamente alla fattispecie giuridica prospettata dalla parte a fondamento dell’azione, in relazione al rapporto sostanziale dedotto in giudizio ed indipendentemente dalla effettiva titolarità del vantato diritto al risarcimento dei
danni, il cui accertamento riguarda il merito della causa, investendo i concreti requisiti di accoglibilità della domanda e, perciò, la sua fondatezza, ed è collegato all’adempimento dell’onere deduttivo e probatorio incombente sull’attore (Sez. 4, n. 14768 del 18/02/2016, COGNOME, Rv. 266899 – 01; mass. conf. n. 49038 del 2014, Rv. 261143 – 01).
Il motivo è, pertanto, per un verso aspecifico fin dall’atto di appello, per altr infondato.
Quanto ai motivi terzo e quarto del ricorso COGNOME, nonché al primo motivo del ricorso COGNOME, che vanno trattati congiuntamente in quanto per buona parte sovrapponibili, occorre premettere quanto segue.
3.1 L’art. 578-bis cod. proc. pen. risulta avere portata realmente innovativa quanto ai rapporti fra la confisca e la sentenza dichiarativa della prescrizione, esclusivamente in relazione ai casi di confisca per equivalente.
In sostanza, è ben possibile procedere alla confisca in presenza di una sentenza di estinzione del reato per prescrizione, come già valutato dalle Sezioni Unite COGNOME, che a loro volta distinguevano fra la confisca del prodotto o del profitto, a contenuto ripristiNOMErio, e la confisca per equivalente a contenuto sanzioNOMErio.
3.2 Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, COGNOME, Rv. 264435 – 01, infatti, affermavano che il giudice, nel dichiarare la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, non può disporre, atteso il suo carattere afflittivo e sanzioNOMErio, l confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto.
Diversamente, il giudice, nel dichiarare l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione, può disporre, a norma dell’art. 240, comma secondo, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., la confisca diretta de prezzo o del profitto del reato a condizione che vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto, rimanga inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio.
A tale distinzione le Sezioni Unite giungevano chiarendo come la confisca del prezzo del reato, il che vale anche per il profitto, non si atteggi alla stregua di un pena e non presuppone «un giudicato formale di condanna, quale unica fonte idonea a fungere da “titolo esecutivo”, dal momento che, ciò che risulta “convenzionalmente imposto”, alla luce delle richiamate pronunce della Corte EDU, e “costituzionalmente compatibile”, in ragione delle linee-guida tracciate dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 49 del 2015, è che l responsabilità sia stata accertata con una sentenza di condanna, anche se il processo è stato definito con una declaratoria di estinzione del reato per
prescrizione. L’obbligo della relativa immediata declaratoria, infatti, lungi dall stemperare il “già accertato”, ne cristallizza gli esiti “sostanziali”, sia pure ne circoscritta e peculiare dimensione della confisca del prezzo del reato, dal momento che – altrimenti – al giudice incomberebbe un onere di “conformazione costituzionale” della interpretazione, attenta a salvaguardare anche i “controlimiti” che la pronuncia della Corte costituzionale ha implicitamente, ma chiaramente, evocato. In altri termini, l’opposta tesi dovrebbe fare i conti con la gamma non evanescente di valori costituzionali che verrebbero ad essere ineluttabilmente coinvolti da un sistema che, dopo aver accertato la sussistenza del reato, la responsabilità del suo autore e la percezione da parte di questi di una somma come prezzo del reato, non consentisse l’ablazione di tale prezzo, esclusivamente per l’intervento della prescrizione, che giustifica “l’oblio” ai fini della applicaz della pena, ma non impone certo la inapplicabilità della misura di sicurezza patrimoniale».
Le Sezioni Unite chiarivano poi – ma, si ripete, con riguardo alla sola confisca per equivalente – come non possa ritenersi sufficiente, ai fini della confisca, «un mero accertamento incidentale della responsabilità, dal momento che ciò si tradurrebbe in una non consentita trasformazione della confisca in una tipica actio in rem, lumeggiata nel corso del complesso procedimento di approvazione, ma poi non recepita dalla direttiva 2014/42/UE del 3 aprile 2014 relativa «al congelamento e alla confisca dei beni strumentali e dei proventi da reato nell’Unione europea», dal momento che anche tale strumento della Unione Europea continua a prevedere la condanna come base per la confisca, anche per equivalente, dei beni strumentali e dei proventi da reato».
La conseguenza di ciò, per le Sezioni Unite, è che l’accertamento della responsabilità debba dunque confluire in una pronuncia che, non solo sostanzialmente, ma anche formalmente, la dichiari, richiedendo che l’«esistenza del reato, la circostanza che l’autore dello stesso abbia percepito una somma e che questa abbia rappresentato il prezzo del reato stesso, devono aver formato oggetto di una condanna, i cui termini essenziali non abbiano, nel corso del giudizio, subito mutazioni quanto alla sussistenza di un accertamento “al di là dì ogni ragionevole dubbio”».
Sez. U., COGNOME, poi, estende i principi descritti anche al caso di confisca del profitto previsto da previsioni speciali di confisca obbligatoria, prezzo e profitto da ricondurre «all’interno di un nucleo per così dire unitario di finalità ripristiNOME dello status quo ante, secondo la medesima prospettiva volta a sterilizzare, in funzione essenzialmente preventiva, tutte le utilità che il reato, a prescindere dalle relative forme e dal relativo titolo, può aver prodotto in capo al suo autore, e con
specifico riferimento a figure di reato per le quali il legislatore ha ritenu necessario optare per una simile scelta».
3.4 A fronte delle critiche rivolte al metro di valutazione operato dalla Corte di appello, va premesso come Sez. U, COGNOME approfondiva ulteriormente la qualità dell’accertamento di responsabilità sottostante la confisca in caso di prescrizione – tema già esamiNOME da Sez. U., COGNOME – richiedendo che la sussistenza del fatto sia stata già accertata, sotto il profilo oggettivo e soggettivo, nell’ambito di u giudizio che abbia assicurato il pieno contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati: la confisca non richiede « la necessità di una sentenza di condanna “formale”, permettendo di fondare la “legittimità” del provvedimento ablatorio su un accertamento del fatto che, pur assumendo le forme esteriori di una pronuncia di proscioglimento, equivale, in forza della sua necessaria latitudine (estesa alla verifica, oltre che dell’elemento oggettivo, anche dell’esistenza di profili quantomeno di colpa sotto l’aspetto dell’imprudenza, della negligenza e del difetto di vigilanza) e delle sue modalità di formazione (caratterizzate da un giudizio che assicuri il contraddittorio e la più ampia partecipazione degli interessati), ad una pronuncia di condanna come tale rispettosa ad un tempo dei principi del giusto processo e dei principi convenzionali, proprio come riconosciuto, da ultimo, anche dalla Corte EDU» (Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278870).
Anche Sez. U, COGNOME confermano che si possa disporre, a norma dell’art. 240, secondo comma, n. 1 cod. pen., la confisca del prezzo e, ai sensi dell’art. 322-ter cod. pen., la confisca diretta del prezzo o del profitto del reato a condizione che in caso di estinzione del reato per prescrizione vi sia stata una precedente pronuncia di condanna e che l’accertamento relativo alla sussistenza del reato, alla penale responsabilità dell’imputato e alla qualificazione del bene da confiscare come prezzo o profitto sia rimasto inalterato nel merito nei successivi gradi di giudizio (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264434 – 01).
3.5 Inoltre, in relazione al rinvio dell’art. 578-bis alla confisca “prevista altre disposizioni di legge”, formulato senza ulteriori specificazioni, le Sezion Unite, da ultimo anche Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01, ribadivano che deve riconoscersi al richiamo contenuto carattere AVV_NOTAIO, capace di ricomprendere anche le confische disposte da fonti normative poste al di fuori del codice penale, in ciò riprendendo quanto già ritenuto da Sez. U, n. 6141/19 del 25/10/2018, COGNOME, Rv. 274627, per le quali il rinvio alle “altre disposizioni di legge” riguardi «le plurime forme di confisca previste dalle leggi penali speciali», in tal modo condividendo la legittimità di una lettura ad ampio raggio, non limitata alla sola confisca “per sproporzione”.
Infine, Sez. U, COGNOME hanno affermato che che nel caso in cui il giudice abbia dichiarato la estinzione del reato per intervenuta prescrizione, il diritt vivente si è stabilizzato, prima della previsione dell’art. 578-bis cod. proc. pen., nel ritenere che non si possa disporre, atteso il suo carattere afflittivo sanzioNOMErio, la confisca per equivalente delle cose che ne costituiscono il prezzo o il profitto (Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, cit., Rv. 264435 – 01), mentre possa essere disposta la confisca diretta già prevista dall’art. 240 o da altre norme speciali.
3.6 Tanto premesso, venendo alle doglianze in esame, l’art. 2641 cod. civ. al comma primo prevede la confisca obbligatoria diretta del «prodotto o del profitto e dei beni utilizzati per commetterlo» con riferimento ai reati societari fra i quali delitto di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 cod. civ.
Il comma secondo, invece, prevede la confisca per equivalente «quando non è possibile l’individuazione o l’apprensione» del prodotto, del profitto e dei beni in precedenza indicati.
La confisca dell’immobile oggetto della compravendita rientra nel caso della confisca diretta, quindi di natura non sanzioNOMEria ma ripristiNOMEria, alle qual l’art. 578-bis rinvia, essendo l’art. 2641, primo comma, cod. civ. una delle «altre disposizioni di legge» che prevedono la confisca obbligatoria.
Pertanto, a differenza di quanto rappresentano i ricorrenti, il principio evocato di Sez. U. COGNOME – per cui la disposizione di cui all’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotta dall’art. 6, comma 4, d.lgs. 1 marzo 2018, n. 21, ha, con riguardo alla confisca per equivalente e alle forme di confisca che presentino comunque una componente sanzioNOMEria, natura anche sostanziale e, pertanto, è inapplicabile in relazione ai fatti posti in essere prima della sua entrata in vigore (Sez. U, n. 4145 del 29/09/2022, dep. 31/01/2023, COGNOME, Rv. 284209 – 01) – non trova applicazione per la confisca oggetto del presente giudizio, di natura diretta e già consentita allorchè sia intervenuta una sentenza di condanna alla quale sia seguita l’estinzione per prescrizione del reato.
Nel caso in esame, infatti, la confiscabilità del profitto e del prezzo era gi consentita anche per il caso di declaratoria di estinzione del reato, alla condizione che la misura di sicurezza fosse stata disposta con la sentenza di primo grado già prima dell’introduzione dell’art. 578-bis cod. proc. pen. in ragione del ‘diritto vivente’ accertato da Sez. U., COGNOME, ribadito poi anche dalle esaminate successive sentenze delle Sezioni Unite di questa Corte.
Pertanto, il limite all’effetto retroattivo, sancito da Sez. U. COGNOME richiamato dai ricorrenti, non trova applicazione nel caso in esame in quanto riguarda esclusivamente i casi di confisca sanzioNOMEria e non anche ripristiNOMEria come è quella diretta che afferisca al prodotto o al profitto.
Inoltre, deve anche rilevare questo Collegio che la Corte territoriale richiama, relativamente alla confisca (fol. 15 e s.) la giurisprudenza delle Sezioni Unite e la necessità di un accertamento «mediante una sentenza di condanna», come parametro di valutazione.
Poi si rifà, in astratto, ai fini delle statuizioni civili, al criterio del probabile che non», richiamando alla sentenza della Corte costituzionale n. 182 del 2021, in relazione al rapporto fra prescrizione e determinazioni risarcitorie: e però tale affermazione non rileva a fronte della circostanza che, in concreto, la sentenza impugnata si impegna, per ‘sostenere’ la confisca, in un’articolata valutazione secondo i criteri penalistici più penetranti e più esigenti di quelli propr dell’illecito civile.
Difatti, ai fini dell’esame delle doglianze, la Corte territoriale ha provveduto ad una oltremodo dettagliata analisi dei motivi di appello, in ordine alla sussistenza del reato, riconducibili proprio alla latitudine della valutazione richiesta pe sostenere la confisca, come emerge da quanto si leggerà a seguire.
3.7 A tal proposito deve evidenziarsi come si verta in tema di doppia conforme.
La Corte di appello certamente erra riferendo il danno procurato dalla condotta di reato al capitale sociale, errore che le difese correttamente richiamano, in quanto il danno fu portato al patrimonio della società.
Non di meno si tratta di errore non decisivo, sia perché vengono evocati come lesi sia il capitale sociale che il patrimonio («sul capitale e quindi sul patrimoni sociale», fol. 12 della sentenza impugnata), il che riconduce l’argomentazione almeno in parte alla correttezza, sia anche perché tutta la complessiva argomentazione valorizza le ragioni di danno al patrimonio, elencate in modo puntuale nella sentenza di appello: al trasferimento dell’immobile non corrispose il pagamento dell’intero prezzo, che invece fu dilazioNOME nel tempo senza garanzia e senza interessi; fu scelta quale acquirente una società priva di capitale sociale adeguato, che quindi in sé non offriva garanzie di recupero del credito; la parte limitata del prezzo corrisposto risultava impiegato in scopi che la Corte di appello indica non «cristallini», comunque non fu destiNOME al patrimonio sociale, mentre la venditrice NOME era rimasta obbligata anche in relazione ai debiti che l’acquirente si era accollata, quale parte del prezzo.
La Corte di merito evidenzia anche, rispondendo alla censura difensiva relativa alla esposizione debitoria della società Key, che la necessità della vendita dell’immobile per sanare la situazione debitoria non garantiva sulla finalità di tutela dell’interesse sociale, che avrebbe dovuto condurre la società allo scioglimento, tanto più che dalla complessiva motivazione ora impugnata emerge anche che l’intento di sanare la situazione debitoria avrebbe richiesto ben altre garanzie – e
soprattutto ben altri tempi di adempimento – quanto al pagamento del prezzo da parte della acquirente.
D’altro canto, anche la situazione debitoria viene indicata dalla Corte di merito come artatamente simulata dall’amministratore formale COGNOME.
Inoltre, la Corte esamina anche il tema del conflitto di interessi, ravvisandone la sussistenza in quanto COGNOME, amministratore di fatto delle due società, la cedente e la cessionaria, concorse nella assunzione di un atto dispositivo che spogliava la Key dell’unico bene disponibile, con la finalità, attraverso la società acquirente, artatamente costituita qualche giorno prima dell’operazione, che fungeva da schermo, di divenirne unitamente a COGNOME il proprietario finale.
Si tratta di una motivazione congrua, espressiva di una delibazione di merito piena, propria di una sentenza di condanna, ispirata ai principi del «oltre ogni ragionevole dubbio», oltremodo adeguata a rispondere ai motivi che sostanzialmente vengono reiterati dinanzi a questa Corte di cassazione.
3.8 Pertanto i motivi esaminati sono complessivamente infondati.
Il quinto motivo del ricorso COGNOME e il secondo motivo del ricorso COGNOME riguardano l’ampiezza e il perimetro della nozione di profitto.
4.1 Va premesso che nel caso in esame la Corte di appello ha ritenuto correttamente che il profitto fosse del tutto da confiscarsi e che lo stesso coincidesse con l’immobile compravenduto.
A ben vedere, pur escludendo la rilevanza ai fini della decisione dei parametri strettamente civilistici, la decisione impugnata risulta comunque corretta, oltre che conforme a quella assunta in primo grado.
Le sentenze di merito fanno buon governo del principio per cui «nel caso in cui la legge qualifica come reato unicamente la stipula di un contratto a prescindere dalla sua esecuzione, è evidente che si determina una immedesimazione del reato col negozio giuridico (c.d. “reato contratto”) e quest’ultimo risulta integralmente contamiNOME da illiceità, con l’effetto che i relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca. Se, invece, il comportamento penalmente rilevante non coincide con la stipulazione del contratto in sé, ma va ad incidere unicamente sulla fase di formazione della volontà contrattuale o su quella di esecuzione del programma negoziale (c.d. “reato in contratto”), è possibile enucleare aspetti leciti del relativo rapporto, perché assolutamente lecito e valido inter partes è il contratto (eventualmente solo annullabile ex artt. 1418 e 1439 c.c.), con la conseguenza che il corrispondente profitto tratto dall’agente ben può essere non ricollegabile direttamente alla condotta sanzionata penalmente» (Sez. U., n. 26654 del 27/03/2008, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 239926 – 01, in motivazione).
Inoltre, le Sezioni Unite chiarivano la nozione di profitto, che è il “vantaggio d natura economica”, il “beneficio aggiunto di natura patrimoniale”, l'”utile conseguito dall’autore del reato in seguito alla commissione del reato” (cfr. Sez. U, 24/05/2004, Focarelli, n. 29951; Sez. U, 25/10/2005, Muci, n. 41936).
Nel caso in esame il contratto di compravendita (atto di disposizione ex art. 2634 cod. civ.) stipulato dall’amministratore avente un interesse in conflitto con l’interesse della società, con dolo specifico di profitto ingiusto, cagionante l’evento del danno patrimoniale alla società, è in sé “contratto reato”, in quanto non si riscontra alcun vizio nella formazione della volontà, perché alcuna trattativa viene effettivamente svolta, né alcun vizio che incida sull’esecuzione del contratto, in quanto si determina un’immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest’ultimo risulta integralmente contamiNOME da illiceità, con l’effetto che i relativo profitto è conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile a confisca (cfr. Sez. 6, n. 9988 del 27/01/2015, COGNOME, Rv. 262794 – 01, in motivazione).
Ne consegue che se il vantaggio è nella sua interezza collegato all’an della disposizione e non al quomodo della esecuzione dello stesso, ne consegue che il profitto coincide con l’intero vantaggio patrimoniale, senza alcuno scomputo della controprestazione eventualmente effettuata.
Diversamente accade, come osserva Sez. U, RAGIONE_SOCIALE, cit., nelle ipotesi di “reato in contratto” ove il profitto deve essere concretamente determiNOME al netto dell’effettiva utilità eventualmente conseguita dal danneggiato, nell’ambito del rapporto sinallagmatico con l’ente (da ultimo, in questo senso, Sez. 2, n. 40765 del 21/10/2021, Carotenuto, Rv. 282194 – 01).
Ciò esclude la fondatezza delle argomentazioni dei ricorrenti quanto al perimetro del profitto.
4.2 D’altro canto, per completezza, deve anche evidenziare questa Corte che l’immobile oggetto dell’atto di disposizione contestato ai ricorrenti si identifica oltre con il vantaggio economico derivante in via diretta ed immediata dalla commissione dell’illecito (Sez. U, COGNOME), ponendosi in linea con le affermazioni di Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni, Rv. 205707 – 01, anche con il prodotto del reato, che rappresenta il risultato, cioè il frutto che il colpevole otti direttamente dalla sua attività illecita. In tale ultimo senso si è già espressa questa Corte proprio in ordine ad un caso sovrapponibile a quello in esame.
Sez. 5, n. 21458 del 18/05/2005 , COGNOME, Rv. 232289 – 01 affermava essere soggetto a confisca di cui all’art. 2641 cod. civ. e, pertanto, al sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, comma secondo, cod. proc. pen., ove sussista il fumus commissi delicti della fattispecie criminosa di cui all’art. 2634 cod. civ. il bene, oggetto della appropriazione-distrazione che costituisce il prodotto del reato
e quindi, il risultato della condotta criminosa, fatta salva la previsione dell’art. 24 comma terzo, cod. pen.
Il caso riguardava il compimento, quale atto di disposizione dei beni di una società, da parte dell’amministratrice della stessa, in concorso con il padre socio della predetta società e titolare dell’impresa acquirente, di un immobile a prezzo irrisorio, sussistendo l’interesse in conflitto, come anche il fine di cagionare a padre l’ingiusto profitto rappresentato dalla disponibilità esclusiva del detto bene immobile, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale pari alla differenza tra valore effettivo e prezzo concordato per la vendita. La Corte di cassazione rilevava che «allo stato, il terreno non appartiene alla società e costituisce il prodotto del reato, cioè il risultato dell’attività criminosa ottenuto M., e, in quanto tale, a norma dell’art. 2641 cod. civ. è soggetto a confisca, fermo rimanendo che – come ha rilevato il p.m. ricorrente – la misura non sarà applicabile se la società riacquisterà la proprietà del terreno (art. 240 comma 3 c.p.)».
4.3 Ne consegue la complessiva infondatezza delle doglianze sull’ampiezza del profitto.
Può dunque affermarsi che in tema di delitto di infedeltà patrimoniale, ex art. 2634 cod. civ. l’atto di disposizione negoziale stipulato dall’amministratore, avente un interesse in conflitto con quello della società, con dolo specifico di profitt ingiusto, cagionante l’evento del danno patrimoniale, è in sé reato-contratto, in quanto, essendo frutto di una determinazione illecita ab origine, non verte in tema di vizio che indica sulla formazione della volontà, in quanto alcuna trattativa viene effettivamente svolta, o sull’esecuzione del contratto: si verifica, invece, l’immedesimazione del reato col negozio giuridico e quest’ultimo risulta integralmente contamiNOME da illiceità, con l’effetto che il relativo profitto conseguenza immediata e diretta della medesima ed è, pertanto, assoggettabile interamente a confisca diretta ai sensi dell’art. 2641, comma primo, cod. civ.
Quanto al primo motivo del ricorso COGNOME, in ordine al concorso da parte di costui nella condotta di COGNOME, va evidenziato come la sentenza di primo grado rilevi che COGNOME abbia agito in concorso, in quanto detentore del 40 per cento – mentre COGNOME ne deteneva il 60 per cento – del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, società alla quale fu ceduto il capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE dopo che la stessa aveva acquisito l’immobile dalla RAGIONE_SOCIALE.
Inoltre, il Tribunale di Latina richiamava anche l’impegno di COGNOME, in uno a COGNOME, per far ottenere finanziamenti alla RAGIONE_SOCIALE, pur non essendone soci, come anche la circostanza che i due ricorrenti divennero soci della RAGIONE_SOCIALE; inoltre evidenziava il Tribunale come il teste COGNOME avesse riferito che, a occuparsi del preliminare di vendita tra la RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, altra società facente
capo ai due imputati, furono proprio COGNOME e COGNOME, insieme a COGNOME NOME (fol. 33 e 34 della sentenza di primo grado).
Tale motivazione evidenziava la partecipazione attiva e la cointeressenza di COGNOME nell’operazione dispositiva dell’immobile e il suo concorso quale extraneus rispetto a di COGNOME che della società COGNOME era amministratore di fatto (fol. 38).
A fronte di tale ampia motivazione, l’atto di appello lamentava per un verso la circostanza che già COGNOME avesse un ruolo frutto di una estensione, quale amministratore di fatto, come anche il deficit di prova quanto alla conoscenza da parte di COGNOME delle vicende della RAGIONE_SOCIALE,
La Corte di appello ritiene, senza incongruenze motivazionali, che COGNOME abbia agito d’accordo con COGNOME, il che risponde ai fatti come ricostruiti dalla sentenza di primo grado, che giungeva alla conforme conclusione.
D’altro canto, che l’accordo dei due imputati fosse comprovato dalle condotte descritte dal primo grado è coerente con il principio per cui ai fini dell configurabilità del concorso dell’ extraneus nel reato “proprio” di cui all’art. 2634, non è sufficiente che la condotta di quest’ultimo sia stata anche solo lato sensu ausiliatrice rispetto all’azione dell’autore qualificato, ma occorre che in essa sia ravvisabile un quid pluris, ricavabile dalle modalità e circostanze del fatto, ovvero dai rapporti personali intercorsi con le parti, che dimostri concretamente il raggiungimento di un’intesa con il concorrente qualificato o, quanto meno, una pressione diretta a sollecitarlo o persuaderlo al compimento dell’atto illecito (Cass. n. 35767/2017).
E nel caso in esame certamente la sentenza di primo grado, confermata da quella ora impugnata, ha evidenziato una serie di condotte convergenti che non sono state censurate dall’appellante se non in modo generico, cosicchè la prova della consapevolezza e del dolo del progetto, teso a sottrarre l’immobile alla società e a trasferirlo nella propria disponibilità a basso costo, con indubbio profitt ingiusto, da parte di entrambe i ricorrenti, si trae dalla concretezza delle condotte poste in essere.
D’altro canto, deve anche evidenziarsi come correttamente la Corte di appello rileva che sia suggestiva la tesi della doppia estensione soggettiva, ma infondata: a riguardo deve essere evidenziato che chi ricopre le funzioni di amministrazione, di fatto, ha comunque il dovere di adempiere agli obblighi nell’interesse della società. Infatti, in base alla disciplina dettata dall’art. 2639 cod. civ., la qual di amministratore “di fatto” di una società è da ritenere gravato dell’intera gamma dei doveri cui è soggetto l’amministratore “di diritto”, per cui, ove concorrano le altre condizioni di ordine oggettivo e soggettivo, è penalmente responsabile per tutti i comportamenti a quest’ultimo addebitabili, anche nel caso di colpevole e consapevole inerzia a fronte di tali comportamenti, in applicazione della regola
dettata dall’art. 40, comma secondo, cod. pen.(Sez. 5, n. 26542 del 19/03/2014, Riva, Rv. 250844; Sez. 5, n. 15065 del 02/03/2011, Rv. 250094).
In sostanza, l’amministratore di fatto è penalmente responsabile come l’amministratore di diritto e il concorrente esterno può certamente concorrere, secondo i consueti principi propri del concorso di persona, propri dell’extraneus, nel caso in esame ben governati dalle sentenze di merito.
Quanto al terzo motivo del ricorso COGNOME (del secondo si è detto supra sub 4), deve rilevarsi come il motivo di appello non si confronta con la circostanza che la sentenza di primo grado aveva già escluso la estraneità della RAGIONE_SOCIALE al reato, «tenuto conto che la medesima fu proprio il soggetto di diritto attraverso il quale gli imputati commisero il delitto accertato» (fol. 44 della sentenza di primo grado).
Sul punto l’appello (fol. 26) non si confronta con la tale motivazione. A riguardo, quindi, il motivo è aspecifico, il che consente a questa Corte di rilevare l’inammissibilità del motivo di appello e del coincidente motivo di ricorso, in quanto le Sez. U., n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, Galtelli, Rv. 268822 – 01, in motivazione, hanno precisato come la declaratoria di inammissibilità possa essere adottata anche d’ufficio in sede di legittimità, qualora l’inammissibilità stessa non sia stata rilevata dal giudice d’appello. Dagli artt. 591, comma 4, e 627, comma 4, cod. proc. pen., infatti, emerge che l’inammissibilità può essere dichiarata in ogni stato e grado del processo, se non rilevata dal giudice dell’impugnazione, salvo che nel giudizio conseguente ad annullamento con rinvio, in cui è invece preclusa la rilevazione delle inammissibilità verificatesi nei precedenti giudizi o nel corso delle indagini preliminari.
Per altro sulla esclusa estraneità della COGNOME al reato i motivi di censura non si soffermano in modo specifico, a fronte della motivazione esplicita della sentenza di primo grado, e di quella implicita di appello, in ordine alla natura di ‘schermo’ della società, utilizzata dagli imputati per la commissione del reato.
Inoltre, va anche richiamata – a proposito della censura fondata sulla giurisprudenza convenzionale – che in tema di lottizzazione abusiva, ma il principio va applicato anche al caso in esame, le questioni relative alla conformità della confisca al principio di protezione della proprietà di cui all’art. 1 del Prot 1 CEDU, come interpretato dalla pronuncia della Grande Camera della Corte EDU del 28 giugno 2018, RAGIONE_SOCIALE contro RAGIONE_SOCIALE, possono essere proposte dagli interessati al giudice dell’esecuzione, anche chiedendo la revoca della misura limitatamente alle aree o agli immobili estranei alla condotta illecita (così Sez. U, n. 13539 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 278870 – 04; in motivazione, la Corte ha
precisato che, in tale fase, al fine di compiere l’accertamento richiesto, il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen.).
Alle Sezioni Unite era stata richiesta dall’ordinanza di rimessione di valutare l’eventuale illegittimità della statuizione della confisca, per effetto della decision della Corte EDU 26/06/2018, RAGIONE_SOCIALE, posto che lo stesso ricorrente, con l’unico motivo riguardante la confisca, aveva dedotto una questione, ovvero quella della buona fede di soggetti terzi proprietari dell’area e di beni lottizzati, d tutto estranea alla propria posizione.
Dopo avere verificato la correttezza della individuazione dell’oggetto della confisca, le Sezioni Unite hanno chiarito che «nulla potrebbe condurre a far ritenere che la confisca sia stata adottata in contrasto con i principi affermati dalla Corte EDU e, segnatamente, con il principio di proporzionalità della misura finendo per riguardare aree ed immobili estranei alla condotta lottizzatoria. Sicché, anche sotto tale profilo, l’annullamento con rinvio effettuato in assenza di elementi fattuali deponenti per il mancato rispetto dei principi anche sovranazionali, si risolverebbe nella specie in un annullamento ad explorandum, evidentemente del tutto estraneo al ruolo e ai compiti del giudice di legittimità tenuto conto che i presupposto del corretto esercizio dei poteri della Corte è rappresentato dalla necessaria emersione, nelle sentenze del merito, dei relativi elementi di fatto che lo giustifichino (nel senso che “un annullamento con rinvio in funzione meramente esplorativa non può ritenersi consentito”, v. Sez. U, n. 25887 del 26/03/2003, COGNOME, Rv. 224606). E tale presupposto non può che restare fermo anche con riguardo a quanto previsto dall’art. 609, comma 2, cod. proc. pen. in relazione alla possibilità per la Corte di decidere le questioni che non sarebbe stato possibile dedurre in grado di appello (si veda, infatti, sia pure con riferimento all’applicabilit dell’art. 129 cod. proc. pen., Sez. 3, n. 394 del 25/09/2018, COGNOME, Rv. 274567). Ciò, peraltro, non significa che la relativa questione sia definitivament preclusa: è proprio l’ampio impiego, da parte dei giudici di merito, della formula di legge relativa alla confisca urbanistica a consentire all’interessato di proporre ogni doglianza sul punto in sede esecutiva (anche, ove ne ricorrano i presupposti, nella prospettiva, segnalata dalla sentenza G.I.E.M. S.r.l. c. RAGIONE_SOCIALE, e di cui v valutata la compatibilità con l’attuale assetto normativo, del mancato utilizzo di misure diverse, e di invasività inferiore, rispetto a quella della confisca) e d chiedere, conseguentemente, anche la revoca della confisca limitatamente alle aree o agli immobili che dovessero essere ritenuti estranei alla condotta illecita, secondo una modalità di impiego dello strumento dell’incidente di esecuzione, nel quale il giudice gode di ampi poteri istruttori ai sensi dell’art. 666, comma 5, cod. proc. pen., del tutto consueta anche nell’applicazione giurisprudenziale (nel senso che in sede esecutiva può farsi questione anche sulla estensione e sulle modalità Corte di Cassazione – copia non ufficiale
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esecutive della confisca stessa, cfr. Sez. 1, n, 30713 del 03/07/2002, COGNOME, Rv. 222157 e Sez. 4, n. 2552 del 20/04/2000, COGNOME, Rv. 216491)».
Non v’è motivo, con il che trova risposta anche l’argomentazione della Procura AVV_NOTAIO, per ritenere che in questa sede debba trovare ingresso il tema sollecitato dal ricorrente, sia perché la RAGIONE_SOCIALE viene indicata come intranea al reato, quindi non in buona fede, sia anche perché il ricorrente non risulta legittimato a far valere la posizione della società, sia, infine, perché ogni ulteriore doglianza da parte del terzo, se fosse comprovata la estraneità, potrebbe trovare ingresso in sede di incidente di esecuzione.
Ne consegue il complessivo rigetto dei ricorsi, con condanna alle spese processuali dei ricorrenti.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 02/04/2024
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Il Consigliere estensore
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