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Infedeltà patrimoniale: confisca e prescrizione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 26415/2024, ha confermato la confisca di un immobile oggetto del reato di infedeltà patrimoniale, nonostante l’intervenuta prescrizione. La Corte ha stabilito che, quando l’atto dispositivo dannoso costituisce di per sé il reato (‘reato contratto’), il profitto confiscabile è l’intero bene e non un guadagno netto. Viene inoltre ribadito che la confisca diretta, a differenza di quella per equivalente, è una misura con finalità ripristinatoria e può essere disposta anche in caso di estinzione del reato, a patto che la responsabilità sia stata accertata in un precedente grado di giudizio.

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Infedeltà patrimoniale: la Cassazione su confisca, prescrizione e danno ai soci

Con la recente sentenza n. 26415 del 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su temi cruciali in materia di reati societari, offrendo chiarimenti fondamentali sul rapporto tra infedeltà patrimoniale, prescrizione del reato e confisca dei beni. La decisione analizza in dettaglio la natura del profitto illecito e la legittimazione dei singoli soci a chiedere il risarcimento del danno.

Il caso esaminato riguarda un’operazione di compravendita immobiliare orchestrata dall’amministratore di fatto di una società, in concorso con un finanziatore esterno. L’operazione, palesemente svantaggiosa per la società venditrice, era finalizzata a sottrarre l’unico bene immobile di valore dal suo patrimonio, trasferendolo a una società ‘schermo’ riconducibile agli stessi imputati.

I Fatti di Causa

L’amministratore di fatto di una S.r.l., agendo in palese conflitto di interessi, deliberava la vendita dell’unico immobile della società. L’acquirente era un’altra S.r.l., costituita solo cinque giorni prima dell’atto e priva di capacità patrimoniale, di fatto controllata dallo stesso amministratore e da un suo socio finanziatore.

L’operazione era strutturata in modo da danneggiare la società venditrice: il prezzo era inferiore al valore di mercato, il pagamento era quasi interamente dilazionato senza garanzie e una parte del corrispettivo era costituita dall’accollo di debiti che, in parte, non erano neppure giustificabili. Il risultato fu la perdita dell’asset principale per la società venditrice, senza un reale e immediato ritorno economico, a fronte di un ingiusto profitto per gli imputati che, attraverso la società acquirente, si appropriavano del bene.

La Corte d’Appello, pur dichiarando prescritto il reato di infedeltà patrimoniale, confermava le statuizioni civili (condanna generica al risarcimento) e la confisca dell’immobile.

L’analisi della Cassazione sul reato di infedeltà patrimoniale

Gli imputati ricorrevano in Cassazione lamentando diversi vizi della sentenza di secondo grado. La Suprema Corte ha rigettato tutti i ricorsi, fornendo una motivazione articolata su tre punti principali.

1. Confisca e Prescrizione: un binomio possibile

Il punto centrale del ricorso era l’illegittimità della confisca a fronte della prescrizione del reato. La Cassazione ha ribadito un principio consolidato, distinguendo tra:
* Confisca per equivalente: ha natura sanzionatoria e non può essere disposta se il reato è prescritto senza una precedente sentenza di condanna.
* Confisca diretta: come quella del prodotto o profitto del reato (in questo caso, l’immobile), ha natura ripristinatoria. Il suo scopo è ristabilire l’ordine economico violato, sottraendo al reo il vantaggio patrimoniale direttamente derivato dall’illecito.

La Corte ha specificato che la confisca diretta è ammissibile anche in caso di prescrizione, a condizione che un giudice di merito (in questo caso, il Tribunale di primo grado) abbia accertato la sussistenza del reato e la responsabilità dell’imputato con una motivazione solida, che resista ai successivi gradi di giudizio. La declaratoria di prescrizione, in questo scenario, non cancella l’accertamento del fatto storico e della sua illiceità penale ai fini della misura di sicurezza.

2. La nozione di profitto nel ‘reato contratto’

Altro tema cruciale era la determinazione del profitto. I ricorrenti sostenevano che si trattasse di un ‘reato in contratto’ (cioè un contratto lecito ma viziato in fase esecutiva) e che il profitto andasse calcolato al netto della controprestazione. La Cassazione ha respinto questa tesi, qualificando la fattispecie come ‘reato contratto’. L’intera operazione di compravendita era, fin dall’origine, illecita e finalizzata a spogliare la società del suo bene. Non c’era una volontà contrattuale genuina, ma un negozio giuridico che coincideva integralmente con il disegno criminoso.

Di conseguenza, il profitto del reato non è un utile netto, ma l’intero vantaggio patrimoniale conseguito, ovvero l’immobile stesso. L’atto è ‘integralmente contaminato da illiceità’, e pertanto il bene è interamente confiscabile come prodotto diretto del reato di infedeltà patrimoniale.

3. La posizione dei soci e del concorrente ‘extraneus’

La Corte ha confermato la legittimità della costituzione di parte civile dei singoli soci. Nel reato di infedeltà patrimoniale, infatti, persona offesa non è solo la società (che subisce il danno al suo patrimonio), ma anche il singolo socio, il cui patrimonio personale viene indirettamente depauperato dalla condotta infedele dell’amministratore. I soci sono quindi legittimati a chiedere il risarcimento del danno, anche non patrimoniale, derivante dal reato.

Infine, è stata confermata la responsabilità del finanziatore quale concorrente extraneus, ovvero soggetto esterno che, pur non avendo la qualifica di amministratore, ha consapevolmente partecipato al disegno criminoso, agendo in accordo con l’amministratore di fatto e traendo vantaggio dall’operazione illecita.

Le motivazioni

La Corte Suprema fonda la sua decisione su un’interpretazione rigorosa della normativa e della giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite. La distinzione tra confisca diretta e per equivalente è il cardine che permette di superare l’ostacolo della prescrizione, valorizzando la funzione ripristinatoria della prima. Quando il bene è il frutto diretto e immediato del crimine, lo Stato ha il dovere di rimuoverlo dalla disponibilità del reo per ripristinare l’ordine violato, indipendentemente dalla possibilità di irrogare una pena. La qualificazione del fatto come ‘reato contratto’ è altrettanto decisiva: essa impedisce di ‘ripulire’ parte dell’operazione, riconoscendo che l’intero negozio giuridico è lo strumento e il fine dell’illecito. L’illiceità non è un vizio, ma la causa stessa del contratto, rendendo il bene trasferito il profitto integrale e diretto del reato.

Le conclusioni

Questa sentenza rafforza gli strumenti di contrasto ai reati societari, in particolare all’infedeltà patrimoniale. Si conferma che la prescrizione non equivale a un’assoluzione nel merito e non impedisce l’applicazione di misure patrimoniali con finalità ripristinatorie come la confisca diretta. Per gli amministratori, soci e professionisti, il messaggio è chiaro: le operazioni dannose per il patrimonio sociale, mascherate da atti di gestione, non solo espongono a responsabilità penale e civile, ma possono portare alla perdita totale dei beni illecitamente acquisiti, anche a distanza di anni. La decisione sottolinea inoltre la duplice tutela offerta dall’ordinamento: quella della società come entità giuridica e quella dei singoli soci, quali vittime dirette delle condotte gestorie infedeli.

È possibile confiscare il profitto del reato di infedeltà patrimoniale se il reato è stato dichiarato prescritto?
Sì, è possibile. La Corte di Cassazione chiarisce che la confisca diretta del profitto del reato (in questo caso, l’immobile) ha una natura ripristinatoria e non sanzionatoria. Pertanto, può essere disposta anche in caso di estinzione del reato per prescrizione, a condizione che la responsabilità penale dell’imputato sia stata accertata in una precedente sentenza di merito e che tale accertamento non sia stato riformato.

In un caso di infedeltà patrimoniale, il profitto da confiscare corrisponde all’intero bene venduto o solo al guadagno netto?
Corrisponde all’intero bene. La sentenza qualifica l’operazione come ‘reato contratto’, ossia un negozio giuridico la cui stipula stessa costituisce il reato. In questi casi, l’intero contratto è contaminato dall’illiceità e il profitto non è un utile netto, ma l’intero vantaggio patrimoniale ottenuto, che coincide con il bene stesso oggetto della compravendita fraudolenta.

I singoli soci possono costituirsi parte civile per il reato di infedeltà patrimoniale commesso dagli amministratori?
Sì. La Corte ribadisce che persona offesa dal reato di infedeltà patrimoniale non è solo la società, che subisce un danno patrimoniale diretto, ma anche il singolo socio. La condotta dell’amministratore infedele compromette le ragioni della società e, di conseguenza, depaupera il patrimonio dei soci, i quali sono quindi legittimati a costituirsi parte civile per chiedere il risarcimento del danno, anche morale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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