Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 22517 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 22517 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOMENOME COGNOME
Data Udienza: 08/04/2025
ORDINANZA
sui ricorsi proposti da: NOMECOGNOME nato a VICO EQUENSE il 16/11/2002 NOME nato a VICO EQUENSE il 14/01/2000
avverso la sentenza del 05/12/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza del 5 dicembre 2024 la Corte di appello di Napoli ha confermato la pronuncia del Tribunale di Torre Annunziata del 23 maggio 2024 con cui: NOME era stato condannato alla pena di anni uno, mesi dieci di reclusione ed euro 6.000 di multa in ordine ai reati di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e 61 n. 2, 337 cod. pen.; mentre NOME NOME era stato condannato alla pena di anni uno, mesi due di reclusione ed euro 3.600,00 di multa per il reato di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 D.P.R. n. 309 del 1990.
Avverso tale sentenza gli imputati hanno proposto, a mezzo del loro difensore, due distinti atti di ricorso per cassazione.
Entrambi i ricorrenti hanno lamentato, con motivazioni sostanzialmente coincidenti: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al disposto riconoscimento della loro responsabilità penale per il delitto in materia di stupefacenti; violazione di legge e vizio di motivazione per omessa riqualificazione dei fatti ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990; violazione degli artt. 132 e 133 cod. pen. per eccessiva entità del trattamento sanzionatorio loro inflitto.
Il solo NOME ha eccepito anche violazione di legge e vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta integrazione del delitto di resistenza a un pubblico ufficiale contestatogli.
I ricorsi devono essere dichiarati inammissibili, in quanto proposti con motivi non deducibili in questa sede di legittimità.
2.1. Ed infatti, con riguardo alle censure dedotte al fine di escludere la loro responsabilità penale – entrambi per il delitto di cui agli artt. 110 cod. pen., 73 D.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 e il solo NOME COGNOME anche per quello ex artt. 61 n. 2, 337 cod. pen. – deve essere ribadito come esuli dai poteri della Corte di Cassazione quello di una «rilettura» degli elementi di fatto, posti a sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207945-01).
La Corte regolatrice ha rilevato che, anche dopo la modifica dell’art. 606, lett. e), cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006, n. 46, resta immutata la natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasta preclusa, per il giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della
decisione o l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, n. 17905 del 23/03/2006, COGNOME, Rv. 234109-01). In sede di legittimità, pertanto, non sono consentite censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (cfr., ex multis, Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, Candita, Rv. 244181-01).
Delineato nei superiori termini l’orizzonte del presente scrutinio di legittimità, deve essere osservato, allora, come i ricorrenti in realtà invochino, con le indicate doglianze, un’inammissibile considerazione alternativa del compendio probatorio in atti, e, quindi, una rivisitazione del potere discrezionale riservato al giudice di merito in punto di valutazione della prova, senza confrontarsi, con la dovuta specificità, con l’iter logico-giuridico seguito dall Corte territoriale in sentenza per affermare la loro responsabilità penale (cfr. pp. 2 e s.).
2.2. Manifestamente infondata è, poi, la doglianza con cui i ricorrenti hanno invocato la riqualificazione del fatto nell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, D.P.R n. 309 del 1990, tenuto conto dell’orientamento giurisprudenziale per cui il riconoscimento dell’ipotesi della lieve entità richiede un’adeguata valutazione complessiva del fatto, in relazione a mezzi, modalità e circostanze dell’azione, qualità e quantità della sostanza con riferimento al grado di purezza, in modo da pervenire all’affermazione di lieve entità in conformità ai principi costituzionali d offensività e proporzionalità della pena (cfr. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271959-01), per cui il giudice è tenuto a valutare complessivamente tutti gli elementi normativamente indicati, e, quindi, sia quelli concernenti l’azione (mezzi, modalità e circostanze della stessa), sia quelli che attengono all’oggetto materiale del reato (quantità e qualità delle sostanze stupefacenti oggetto della condotta criminosa), dovendo conseguentemente escludere il riconoscimento dell’attenuante quando anche uno solo di questi elementi porti ad escludere che la lesione del bene giuridico protetto sia di lieve entità (così, tra le tante, Sez. 6, n. 39977 del 19/09/2013, Tayb, Rv. 25661001).
E’ necessario, cioè, che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, D.P.R. n. 309 del 1990 costituisca l’approdo della valutazione complessiva di tutte le circostanze del fatto rilevanti per stabilire la sua entit alla luce dei criteri normativizzati e che tale percorso valutativo, così ricostruito si rifletta nella motivazione della decisione, dovendo il giudice dimostrare di avere vagliato tutti gli aspetti normativamente rilevanti e spiegare le ragioni della ritenuta prevalenza eventualmente riservata solo ad alcuni di essi.
Risulta allora che, nel caso di specie, la Corte territoriale, correttamente valutando i dati probatori disponibili, ha offerto una motivazione pienamente
adeguata in ordine al disposto diniego del riconoscimento della fattispecie della lieve entità (cfr. p. 3 della sentenza impugnata), essendo stati posti in rilievo
alcuni aspetti rivelatori della professionalità, e non estemporaneità, con cui l’attività di spaccio veniva svolta da parte degli imputati, perciò negando la
ricorrenza della più lieve ipotesi sulla base di elementi cui ha ritenuto di attribuire una rilevanza maggiormente significativa rispetto ad altri ai fin
dell’esclusione della minima offensività.
2.3. Con riguardo, infine, al trattamento sanzionatorio, il Collegio rileva come la decisione impugnata risulti sorretta da conferente apparato
argomentativo (cfr. p. 4), di pieno rispetto della previsione normativa quanto all’effettuata determinazione del trattamento sanzionatorio.
Una specifica e dettagliata motivazione in merito ai criteri seguiti dal giudice nella determinazione della pena, infatti, si richiede solo nel caso in cui la
sanzione sia quantificata in misura prossima al massimo edittale o comunque superiore alla media, risultando insindacabile, in quanto riservata al giudice di merito, la scelta implicitamente basata sui criteri di cui all’art. 133 cod. pen. irrogare – come disposto nel caso di specie – una pena in misura media o prossima al minimo edittale (così, tra le altre: Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, COGNOME, Rv. 271243-01; Sez. 4, n. 27959 del 18/06/2013, COGNOME, Rv. 25835601; Sez. 2, n. 28852 del 08/05/2013, COGNOME, Rv. 256464-01; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197-01).
All’inammissibilità dei ricorsi segue, per legge, la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali ed alla somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende, non ravvisandosi ragioni di esonero (Corte Cost., sent. n. 186/2000).
P. Q. M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma 1’8 aprile 2025
Il Consigliere estensore