Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 26576 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 26576 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 15/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LUCCA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/01/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per nuovo giudizio.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 25 gennaio 2024 la Corte di appello di Firenze, quale giudice del rinvio disposto dalla Corte di cassazione con la sentenza Sez. 5, n. 10672 emessa in data 02 febbraio 2023 nei confronti di NOME COGNOME, di annullamento della sentenza impugnata limitatamente al trattamento sanzionatorio, ha ridotto ad anni uno e mesi sei la durata delle sanzioni accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, legge fall., ritenendola congrua stanti le modalità della condotta e l’intensità dell’elemento soggettivo.
Il COGNOME era stato condannato, in primo e in secondo grado, alla pena complessiva di anni tre di reclusione per i reati di bancarotta fraudolenta e di bancarotta semplice, con applicazione delle sanzioni accessorie previste dall’art. 216, ultimo comma, legge fall., per la durata di cinque anni. La Corte di cassazione, rigettati tutti i motivi di ricorso, ha però rilevato l’omessa decisione su uno dei motivi di appello e l’intervenuta prescrizione del reato di bancarotta semplice, ed ha annullato la sentenza di secondo grado senza rinvio quanto alla sussistenza del reato sopra indicato, che ha dichiarato estinto, e con rinvio quanto al trattamento sanzionatorio da rideterminare alla luce di tale estinzione.
Il giudice di rinvio ha interpretato la sentenza di annullamento come richiedente la rideteminazione delle sole sanzioni accessorie, statuizione su cui ha provveduto nei termini indicati.
Avverso la sentenza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando due motivi.
2.1. Con il primo motivo denuncia l’inosservanza della disposizione di cui all’art. 627, comma 3, cod.proc.pen.
Egli aveva impugnato la prima sentenza di appello lamentando, tra i vari motivi, l’omessa decisione sulla richiesta di applicare l’istituto della continuazione tra quella condanna e i reati giudicati con una diversa sentenza, emessa dal Tribunale di Lucca con il rito del patteggiannento e divenuta definitiva. La Corte di cassazione, nella parte motiva, ha ritenuto «non manifestamente infondato» tale motivo.
Il giudice di rinvio, però, ha omesso ogni decisione sia su tale punto, sia sul trattamento sanzionatorio, limitandosi a decidere in merito alla durata delle sanzioni accessorie, questione mai stata oggetto né di appello né di ricorso davanti alla corte di cassazione. Invece quest’ultima, nel pronunciare l’annullamento con rinvio, ha disposto una nuova determinazione del trattamento sanzionatorio da applicare «in relazione al residuo delitto di cui al capo C)».
Il giudice di rinvio, essendo obbligato ad uniformarsi a tale disposizione e ai principi di diritto esposti nella parte motiva della sentenza di annullamento, avrebbe dovuto effettuare una nuova valutazione in merito all’entità della pena da infliggere per il solo delitto di bancarotta fraudolenta, e decidere anche sulla richiesta di unirlo in continuazione con i reati di cui alla diversa sentenza sopra citata, richiesta erroneamente preternnessa dalla prima sentenza della corte di appello.
In ogni caso, avrebbe dovuto ridurre la pena irrogata da quest’ultima, stante il venir meno del delitto di bancarotta semplice, unito al primo ai sensi dell’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall. Nel calcolare la pena per il reato residuo, inoltre, il giudice di rinvio avrebbe dovuto tenere conto delle attenuanti generiche concesse dal giudice di primo grado: questi le aveva bilanciate con l’aggravante di cui all’art. 219, comma 2, n. 1, legge fall., ritenendole di fatto equivalenti, per cui il venir meno di tale aggravante, a seguito della dichiarata prescrizione dell’altro episodio di bancarotta, imponeva l’applicazione piena della riduzione prevista per le attenuanti.
2.2. Con il secondo motivo denuncia la manifesta illogicità, contraddittorietà e mancanza della motivazione.
La motivazione della sentenza impugnata evidenzia un grave errore di percezione e di valutazione, che dimostra la irragionevolezza del percorso logico argomentativo seguito dai giudici. In primo luogo il giudice di rinvio erra quando afferma di essere chiamato a rideterminare le sanzioni accessorie sul presupposto che la corte di cassazione abbia accolto un motivo di ricorso relativo ad esse, mentre un simile motivo non è stato neppure prospettato, e di conseguenza non esaminato dal giudice di legittimità. In secondo luogo erra quando, nel determinare la durata di tali sanzioni accessorie, afferma di doverle parametrare all’unico reato residuo, che indica però in quello di bancarotta semplice documentale, mai contestato essendo stato contestato il reato di cui all’art. 217 legge fall. per essersi il ricorrente astenuto dal chiedere tempestivamente il fallimento, reato che, inoltre, è stato dichiarato estinto. In terzo luogo, il giudice erra quando, invece di rideterminare il trattamento sanzionatorio per il residuo reato di bancarotta fraudolenta, ridetermina le sole sanzioni accessorie e nulla decide in merito alla pena principale.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto l’annullamento del provvedimento impugnato, con rinvio per un nuovo giudizio,
Il ricorrente ha depositato conclusioni scritte, aderendo alle conclusioni del procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato in entrambi i suoi motivi, e deve essere accolto.
Risulta palese l’errore percettivo commesso dal giudice di rinvio, che ha determinato la violazione dell’art. 627, comma 3, cod.proc.pen., in quanto, nonostante la corretta ricostruzione dell’iter processuale e della decisione della sentenza rescindente, il giudice ha poi affermato che questa avrebbe «accolto il motivo concernente le pene accessorie», mentre un tale motivo non è stato mai proposto, né il punto relativo all’applicazione delle sanzioni accessorie e alla loro durata è stato oggetto della sentenza n. 10672/2023 della Corte di cassazione.
Tale errore ha determinato l’emissione di un provvedimento del tutto disarmonico rispetto all’annullamento pronunciato dalla Suprema Corte, e in contrasto con i limiti decisori del giudice del rinvio, che è obbligato ad uniformarsi alla sentenza rescindente in ordine ad ogni questione di diritto con essa decisa. Nel presente caso, il giudice del rinvio avrebbe dovuto prendere atto della declaratoria di estinzione del reato di cui al capo D), già pronunciata dalla Corte di cassazione, e della non manifesta infondatezza dichiarata, al punto 6 della sentenza, circa il motivo relativo all’omessa decisione sull’istanza di applicazione della continuazione con i reati giudicati con una diversa sentenza irrevocabile, e avrebbe dovuto, di conseguenza, procedere all’esame di tale motivo e alla rideterminazione del trattamento esplicitamente indicato nel dispositivo. sanzionatorio, come
La sentenza rescindente, infatti, ha ricorso che accolto il motivo di censurava la predetta omissione, dichiarando che la sentenza impugnata violava il principio dettato da Sez. U, n. 1 del 19/01/2000, Rv. 216238, secondo cui «Una volta che l’imputato abbia formulato uno specifico motivo di gravame sulla mancata applicazione della continuazione, il giudice dell’impugnazione ha l’obbligo di pronunciarsi sul tema di indagine devolutogli, per l’evidente ragione che al principio devolutivo è coessenziale il potere-dovere del giudice del gravame di esaminare e decidere sulle richieste dell’impugnante: sicché, stante la correlazione tra motivi di impugnazione e ambito della cognizione e della decisione, non è ammissibile che il giudice possa esimersi da tale compito, riservandone la soluzione al giudice dell’esecuzione e possa, così, sovrapporre all’iniziativa rimessa al potere dispositivo della parte la propria valutazione circa l’opportunità di esaminare, o non, l’istanza dell’impugnante». Essa ha così indicato la necessità, per il giudice di rinvio, di conformarsi a tale principio, e quindi di decidere sul punto.
La rideterminazione del trattamento sanzionatorio, esplicitamente disposta dalla sentenza di annullamento, comprende peraltro la pronuncia sull’istanza di continuazione, che deve perciò ritenersi devoluta al giudice del rinvio, perché l’eventuale accoglimento di tale istanza incide sull’entità della pena irrogata.
Deve infine ricordarsi che, in applicazione del divieto di reformatio in peíus, la riduzione della durata delle sanzioni accessorie decisa dalla sentenza oggetto di annullamento non può essere modificata in senso peggiorativo per l’imputato, nonostante sia conseguenza dell’errore percettivo del giudice del rinvio.
Costituisce, infatti, un consolidato principio di questa Corte l’affermazione secondo cui «Il divieto di reformatio in peius opera anche nel giudizio di rinvio e si estende a tutti gli eventuali, ulteriori, giudizi di rinvio, dovendo comparazione fra sentenze, necessaria all’individuazione del trattamento meno deteriore, essere eseguita tra quella di primo grado e quelle rese in detti giudizi, restando immodificabile in peius l’esito più favorevole tra quelli intervenuti a seguito di impugnazione dell’imputato» (Sez. 1, n. 5517 del 30/11/2023, dep. 2024, Rv. 285801).
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, accolto, e la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze per un nuovo giudizio, da svolgersi con piena libertà valutativa, ma nel rispetto dei principi sopra puntualizzati.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Firenze.
Così deciso il 15 maggio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente