Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 16974 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 16974 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 27/03/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
COGNOME NOME nato a BOLOGNA il 23/05/1989
COGNOME NOME nato a SASSUOLO il 14/05/1987
avverso la sentenza del 03/06/2024 della Corte d’appello di Bologna
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni depositate dal Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 cod.pen. in relazione al reato sub B) del capo d’imputazione.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 3/6/2024, nel nuovo giudizio disposto dalla Corte di cassazione Sez. 4, n. 48773 del 2023 per la nullità del decreto di citazione, la Corte di Appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME e NOME COGNOME in anni uno e mesi sei di reclusione ed euro 500 di multa e quella inflitta a NOME COGNOME ad anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 600 di multa, confermando nel resto l’affermazione di responsabilità operata dal Tribunale di Bologna -in composizione monocratica- con sentenza pronunziata il 23/6/2022, con cui erano stati condannati COGNOME e COGNOME alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione ed euro 600 di multa, per i reati di cui agli artt. 624 e 625 co. 1 n.2 (capo a) e per quello di cui agli artt. 56 e 624-bis cod. pen.(così riqualificato i reato di cui al capo b) e 56 e 624-bis cod.pen. (capo e), con la recidiva e la continuazione. In Massa Lombarda e in Molinella il 23/11/2021.
2. Il giudice di primo grado aveva condannato, altresì, il solo COGNOME alla pena di mesi dieci di reclusione per il reato di cui all’art. 337 c.p. (capo d), limitatamente alla resistenza avvenuta dopo i fatti contestati sub b) e c), assolvendolo limitatamente alla resistenza compiuta dopo il fatto di cui al capo a). Infine, aveva assolto il COGNOME e il COGNOME dai reati di resistenza loro ascritti sub d) All’esito del giudizio abbreviato, il Tribunale aveva ritenuto la piena responsabilità degli imputati in ordine ai restanti fatti loro ascritti in quanto erano stati arrest in flagranza e dagli atti, tutti utilizzabili in ragione del rito prescelto e confluit fascicolo del giudizio, emergeva che la Polizia Giudiziaria, autorizzata dalla Procura di Modena alli attività investigativa di geo-localizzazione satellitare, aveva avviato il servizio di OCP sull’autovettura Seat Ibiza DG 567 AN. In data 23 novembre 2021, gli agenti avevano fermato l’auto, identificando a bordo gli odierni imputati. I tre, nulla sospettando, avevano continuato a muoversi liberamente e gli agenti a controllarli. Poco dopo, gli imputati si erano avvicinati, in auto, a una Fiat Punto: COGNOME era sceso e, con un sasso, aveva infranto il finestrino della portiera anteriore sinistra dell’auto. Di seguito, aveva asportato una borsa da donna risultata essere di proprietà di NOME NOME – ed era risalito a bordo; l’auto si era poi dileguata a forte velocità e la borsa era stata gettata dal finestrino (capo a).
A quel punto gli agenti si erano posti immediatamente all’inseguimento della Seat, poi desistendo, considerata la possibilità di monitorare l’auto con il GPS ivi installato. Poco dopo, infatti, l’auto era nuovamente individuata mentre si approssimava ad un gruppo di case. Gli agenti avevano notato COGNOME e COGNOME scendere dall’auto e dirigersi, il primo, verso le pertinenze di un’abitazione senza recinzione, dove aveva asportato una sedia posta davanti all’entrata e una
giacca, entrambe di proprietà di COGNOME COGNOME (capo b); il secondo, all’interno di un’abitazione da cui era spinto fuori dal proprietario COGNOME NOME AntonioCOGNOME che aveva cercato di bloccarlo (capo c), gli agenti si erano precipitati sul posto ed erano riusciti a fermare COGNOME e COGNOME, mentre COGNOME, rimasto in auto al posto di guida, era riuscito a fuggire.
Dopo alcuni chilometri, la Seat, che aveva proceduto ad altissima velocità eseguendo sorpassi azzardati, era stata affiancata dalla Polizia, ma COGNOME aveva proseguito la fuga, anche andando nella corsia di senso opposto, fermando la corsa solo dopo aver impattato, a causa della velocità, col veicolo su uno spartitraffico.
A quel punto l’imputato era sceso dall’auto e dopo aver tentato di proseguire la fuga a piedi, era stato fermato dagli agenti, e aveva sferrato loro calci e pugni (capo d).
Per il primo giudice, era provata la responsabilità, quanto al capo a) dalla confessione degli imputati, quanto agli altri capi di imputazione, dall’attività degli agenti di polizia e dalle dichiarazioni delle p.o. COGNOME NOME, COGNOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME Poteva essere riconosciuto il vincolo di continuazione tra i reati sub a), b) ed e) dell’imputazione, perché tutti espressione del medesimo disegno criminoso. In relazione ai medesimi reati, poteva essere applicata la contestata recidiva reiterata e qualificata a tutti gli imputati. Quanto al delitto di cui al capo d), la contestata recidiva andava riconosciuta al solo COGNOME in quanto unico responsabile.
Avverso tale sentenza, hanno proposto ricorso per cassazione, a mezzo dei rispettivi difensori, deducendo, i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, co. 1, disp.att., cod. proc. pen., NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Con un primo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge, in relazione all’art. 601, co. 1 lett. b) cod. proc. pen., quanto agli artt. 56 e 624 cod. pen., con riferimento al primo capo di imputazione. Ci si duole del rigetto della richiesta di riqualificazione della fattispecie contestata al capo a) nell’ipotesi tentata. Il difensore evidenzia che dalla lettura del verbale di arresto del 23/11/2021 emerge chiaramente che il furto veniva compiuto durante il controllo dei Carabinieri di Sassuolo che avviavano il pedinamento dell’autovettura Seat Ibiza, sottoposta a monitoraggio tramite installazione di GPS per un’attività investigativa della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Modena. In base alla ricostruzione dell’evento, contenuta nel verbale, sarebbe stata evidente la possibilità per i carabinieri di intervenire durante la commissione del furto, interrompendo l’azione furtiva. Di conseguenza, in base ai principi stabiliti da questa Corte, con sentenza
Sez. 5 n. 4868 del 25/11/2021, avente ad oggetto un caso identico, e con Sez. Un. n. 52117 del 17/4/2014, avente ad oggetto l’ipotesi analoga di furto in supermercato, andava esclusa la fattispecie consumata, essendo stata la P.G. a decidere di non interrompere l’attività criminosa, scegliendo di attenderne l’evoluzione per esigenze investigative.
Con un secondo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge in relazione all’art. 624 bis cod. pen. con riferimento al capo C) dell’imputazione e travisamento probatorio. Ci si duole della mancata riqualificazione del fatto contestato al capo C) dell’imputazione nel reato di violazione di domicilio di cui all’art. 614 cod. pen.
La richiesta, invocata già nell’atto di appello, è incentrata sul contenuto di due atti processuali presenti nel fascicolo dibattimentale: la denuncia querela di COGNOME e il verbale di arresto del 23/11/2021.
Nel verbale di arresto, gli operanti avevano affermato che dopo aver seguito l’autovettura Seat Ibiza, vedevano scendere dalla stessa il COGNOME che si introduceva nell’appartamento di COGNOME NOME, desistendo poi dall’azione furtiva per la reazione del COGNOME.
In realtà, affermano i ricorrenti, dalla denuncia di quest’ultimo emerge che il COGNOME, introdottosi nell’abitazione, dichiarava di voler chiedere informazioni su cuccioli da acquistare, ma poi, vistosi inseguito dal COGNOME, era fuggito e veniva bloccato dai militari presenti all’esterno dell’abitazione.
Il COGNOME, in sede di interrogatorio di garanzia, aveva confermato di essersi introdotto nell’appartamento per chiedere informazioni e ciò era verosimile in quanto risultava confortato dalle dichiarazioni della persona offesa e dal fatto che il COGNOME non aveva prelevato nulla dall’appartamento; quando il COGNOME era intervenuto, il COGNOME non aveva nulla in mano, né lo aveva occultato sulla propria persona. Si ritiene che non possa desumersi, dalla circostanza che il coimputato avesse compiuto un reato poco prima, la volontà predatoria del COGNOME. Del resto, i coimputati si trovavano in zona distante da quella dove risiedevano e anche il coimputato COGNOME in sede di interrogatorio, aveva dichiarato che si erano persi e si erano fermati per chiedere la strada. Pertanto, la fattispecie di reato contestato non avrebbe potuto ritenersi integrata per la mera introduzione nell’altrui domicilio.
Con un terzo motivo, i ricorrenti lamentano violazione di legge in relazione all’art. 110 cod. pen., travisamento della prova, con riferimento ai capi b) e c) dell’imputazione per la posizione di NOME COGNOME Lo stesso rileva di aver dichiarato, con l’atto di appello, la propria estraneità ai reati contestati nei capi b)
e c) dell’imputazione, non avendo fornito alcun contributo causale alla loro realizzazione. La sentenza impugnata aveva rigettato il motivo di appello rilevandone l’infondatezza e il contrasto con le dichiarazioni confessorie rese dall’imputato, ma tale convincimento sarebbe frutto di un travisamento della prova. Il COGNOME, in sede di interrogatorio reso ai sensi dell’art. 294 cod. proc. pen., aveva dichiarato che si erano fermati per chiedere informazioni sulla strada da seguire per rientrare a Modena in quanto si erano persi. In quel momento, si trovavano in luogo, a loro sconosciuto, distante da Modena. Del resto, avendo ammesso il reato contestato al capo a), non avrebbe avuto alcun motivo di non ammettere anche quelli contestati ai capi b) e c). Si sostiene che il COGNOME nulla sapesse dell’intenzione di COGNOME e COGNOME di commettere gli altri reati e non vi era mai stata alcuna prospettazione dell’evento. La mera presenza nel locus commissi delicti non sarebbe sufficiente a ritenere il concorso, in assenza di un contributo alla loro realizzazione e vengono richiamate sul punto Sez. 2 n.28855 del 8/5/2013, Sez. 2 n. 51174 del 1/10/2019 e Sez. 2 n.44859 del 17/10/2019.
Si rileva, infine, che oltre a mancare qualsiasi condotta materiale o anche morale tesa ad esprimere l’adesione al proposito criminoso, è mancata completamente nel caso in esame l’indagine della presenza dell’elemento soggettivo.
Con un quarto motivo i ricorrenti lamentano violazione di legge in relazione all’art. 62 n. 4 cod. pen. con riferimento ai capi a) e b) dell’imputazione e omessa motivazione. Ci si duole della mancata concessione della diminuente prevista dall’art. 62 n. 4 cod. pen. sulla quale il Tribunale aveva omesso la pronuncia, mentre la Corte di appello l’aveva rigettata con motivazione inadeguata. I ricorrenti rilevano che il rigetto sarebbe fondato su presupposti giuridicamente errati, in quanto la ratio della attenuante invocata prevede una mitigazione del trattamento sanzionatorio per la minima entità del danno patrimoniale subito dalla persona offesa. Nel caso in esame, come emergeva dalle denunce querele, i danni riportati alle persone offese erano minimi. NOME NOME aveva dichiarato che la refurtiva era di 10 euro, COGNOME Fatua aveva avuto un danno temporaneo costituito dalla momentanea apprensione di una giacca del valore di 50 euro, subito recuperata e NOME NOME non aveva avuto alcun danno. Pertanto, si sostiene che fossero sussistenti tutti i presupposti per la diminuente invocata, richiamando sul punto l’insegnamento di Sez. 2 n. 3167 del 28/10/2013.
I ricorrenti chiedono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Bologna.
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La Procura Generale, nella persona della Sostituta Procuratrice NOME COGNOME ha depositato conclusioni scritte nel senso dell’annullamento con rinvio della sentenza impugnata, limitatamente all’attenuante di cui all’art. 62 n. 4 c.p. relativa al capo b, con eventuale rideterminazione del trattamento sanzionatorio; rigetto nel resto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è infondato. I ricorrenti sostengono che la condotta contestata al capo A) dell’imputazione, si sia svolta sempre sotto il costante controllo delle Forze dell’ordine che stavano seguendo già dall’inizio della mattinata la condotta delle persone a bordo della SEAT IBIZA. Ciò integrerebbe il costante controllo, cosicché la refurtiva non sarebbe mai entrata nella disponibilità assoluta degli imputati, dal che l’errata configurazione giuridica del delitto consumato da ricondurre all’ipotesi tentata.
Orbene, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, secondo la consolidata interpretazione di questa Corte, il discrimine tra tentativo di furto e furto consumato si coglie nel conseguimento o meno di una piena, autonoma ed effettiva disponibilità del bene sottratto (Sez. 5, Sentenza n. 48880 del 17/09/2018, Rv. 274016 – 01). Tale disponibilità si verifica anche quando l’azione delittuosa venga eseguita sotto l’osservazione delle Forze dell’ordine (Sez. 5, n. 26749 del 11/04/2016, Rv. 267266). Mentre quando il fatto venga commesso in un luogo chiuso, ove sia attivo un sistema di monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle Forze dell’ordine presenti nel locale e si determini l’intervento difensivo “in continenti”, si resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo (Sez. U, Sentenza n. 52117 del 17/07/2014, Rv. 261186 – 01). Le caratteristiche del luogo ove si svolge l’azione furtiva non rilevano di per sé stesse ma per la loro idoneità a consentire o ostacolare l’acquisizione da parte del reo di una assoluta disponibilità sulla refurtiva.
Dunque (Sez. 4 n. 4145 del 2022) ai fini della configurabilità del tentativo, occorre, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo
di definitiva dispersione del bene sottratto. Integra il reato di furto nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo l’impossessamento, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilità della refurtiva, giacché l’osservazione a distanza da parte degli agenti non assume rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata poiché tale “studio” non solo non avviene ad opera della persona offesa, ma neppure impedisce il conseguimento dell’autonomo possesso della res, prima dell’arresto in flagranza (Sez. 5, Rv. 267266, cit.).
Nel caso in esame, correttamente i Giudici di merito hanno ritenuto configurata la concreta fattispecie nella forma consumata. Nonostante il monitoraggio dell’azione antigiuridica, realizzato dalla RG. attraverso un servizio di osservazione e controllo, i ricorrenti hanno potuto completare l’impossessamento della borsa prelevata dall’auto della parte offesa, disfacendosene durante la fuga.
Si deve dunque dissentire dalla tesi invocata in ricorso, mediante il richiamo a Sez. 5 n. 4868 del 2022, posto che non è condivisibile la tesi secondo cui la predisposizione di un servizio di osservazione delle Forze di Polizia osti alla configurabilità del reato in forma consumata in quanto, in simile evenienza, all’agente sarebbe impedito il definitivo impossessamento della res furtiva, con conseguente configurabilità della sola fattispecie tentata.
k tuust”, La circostanza che l’impossessamento della refurtiva in danno della tzten sia avvenuto sotto il controllo delle Forze dell’ordine non esclude la consumazione del reato nei casi in cui le stesse siano intervenute soltanto dopo il conseguimento – anche se soltanto per un breve lasso di tempo – del possesso della refurtiva da parte dell’agente. Il reato si consuma, infatti, nel momento e nel luogo in cui si verificano l’ingiusto profitto e l’altrui danno patrimoniale, senza che assuma rilievo il consolidamento di tali eventi nel tempo, concretizzandosi la lesione del bene giuridico protetto con l’autonoma disponibilità della refurtiva da parte dell’agente, e il correlativo spossessamento del legittimo detentore, prescindendo da qualsiasi criterio spazio- temporale (Sez. 5, n. 48880 del 17/09/2018, Rv. 274016 – 01).
2.Alla luce di tali premesse, correttamente la Corte di appello ha ritenuto che per le concrete modalità della condotta, non è possibile ritenere che la persona offesa o gli altri astanti avessero il pieno controllo del bene sottratto. Il motivo è pertanto infondato. La Corte territoriale ha chiarito come « non vi era alcuna concreta possibilità di interruzione della condotta da parte dei Carabinieri attesa
la modalità fulminea di esecuzione della sottrazione laddove COGNOME, dopo che la Seat Ibiza tg.ta CODICE_FISCALE su cui viaggiavano i tre appellanti si era parcheggiata a fianco della vettura di NOME NOME, e sceso velocemente dal mezzo, ha rotto a mezzo di un sasso ivi presente il finestrino della vettura della predetta e ha asportato con modalità fulminea la borsa della donna ivi collocata, e quindi è risalito sulla SEAT IBIZA che è immediatamente ripartita a grande velocità effettuando sorpassi azzardati», pertanto i Carabinieri non poterono far altro che tentare l’inseguimento, peraltro fallito per le manovre azzardate e pericolose poste in essere dal conducente in fuga.
2. Il secondo motivo dei ricorsi non supera il vaglio di ammissibilità. Si censura il capo della sentenza di appello che ha rigettato l’analogo motivo proposto in quella sede e che aveva ad oggetto la qualificazione quale tentativo di furto in abitazione (p. dall’art. 624 bis cod.pen.) e non quale ipotesi di violazione di domicilio (p. dall’art. 614 cod.pen.) la condotta contestata al capo C) dell’imputazione.
La Corte d’appello (alla pag. 5 della sentenza) ha rigettato il motivo, pure improntato a sostenere che l’introduzione nell’abitazione fosse stata finalizzata a chiedere informazioni a seguito dello smarrimento della strada da parte degli imputati, procedendo ad un accertamento essenzialmente in fatto, con il quale ha appurato che la condotta era inequivocabilmente orientata a continuare le attività di sottrazioni di beni altrui che avevano ispirato, sin dall’inizio, le condotte degli imputati, come dimostrato dal furto, consumato con la materiale apprensione di una giacca posta su una sedia davanti ad una abitazione, confinante con quella del COGNOME, da parte dell’imputato COGNOME. Inoltre, la Corte territoriale ha evidenziato che il tentativo di furto all’interno dell’abitazione del COGNOME, compiuto da COGNOME, non si perfezionò solo per l’intervento della parte offesa, che mise in fuga l’imputato e non perché la ragione della introduzione fosse diversa da quella che aveva ispirato il COGNOME.
A fronte di tale motivazione e del relativo accertamento, i ricorrenti ribadiscono le medesime considerazioni già disattese validamente dalla Corte d’appello e, con deduzioni palesemente versate in fatto, rivendicano una diversa lettura delle dichiarazioni rese dal COGNOME e confluite nell’atto di denuncia, relative alla richiesta del COGNOME, sorpreso dal proprietario, di avere informazioni per l’acquisto di cuccioli di cane.
Vale, dunque, l’affermazione del consolidato principio ribadito anche dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823), per cui i motivi di ricorso per cassazione sono inammissibili non solo quando
risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì quando difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato. In vero nel caso in esame il motivo si limita a riprodurre le censure dedotte in appello, solo con il riferimento in premessa alla richiesta di annullamento della sentenza impugnata, difettando del tutto di critica argomentata avverso il provvedimento ‘attaccato’ e dell’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013 – dep. 21/02/2013, NOME e altri, Rv. 254584).
Il terzo motivo, riferito al solo imputato COGNOME e riguardante l’asserita illegittimità della attribuzione allo stesso, a titolo di concorso, dei reati sub b) e c della rubrica, non si sottrae al rilievo di inammissibilità.
Anche in questo caso, infatti, la Corte territoriale ha ben evidenziato che l’apporto concorsuale fornito dal COGNOME fu di primaria importanza nella commissione dei reati sub b) e c), materialmente realizzati dai coimputati, giacché, secondo la ripartizione dei ruoli concertata tra i correi, aveva il compito di fungere da autista del gruppo e da palo nel corso della esecuzione delle condotte per assicurare loro l’impunità. Il ricorrente, lungi dal contestare le circostanze oggettivamente emerse, indica presunti vizi della sentenza ravvisandoli nel fatto che non era stata ritenuta veritiera la propria tesi, relativa alla inconsapevolezza delle intenzioni delittuose dei due correi. Si tratta, come è evidente di motivi del tutto inidonei a scalfire la struttura motivazionale della sentenza impugnata che, sulla base degli accertamenti in fatto del tutto evidenti, ha correttamente ravvisato nella condotta (di palo e di autista) realizzata dal COGNOME l’apporto causale necessario a configurare il concorso di persone nel reato, ai sensi dell’art. 110 cod.pen., come più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità. In particolare, si è affermato che (Sez. 5, n. 21082 del 13/04/2004) ai fini della configurabilità della fattispecie del concorso di persone nel reato (art. 110 cod. pen.), il contributo concorsuale assume rilevanza non solo quando abbia efficacia causale, ponendosi come condizione dell’evento lesivo, ma anche quando assuma la forma di un contributo agevolatore, e cioè quando il reato, senza la condotta di agevolazione, sarebbe ugualmente commesso ma con maggiori incertezze di riuscita o difficoltà. Ne deriva che, a tal fine, è sufficiente che la condotta di partecipazione si manifesti in un comportamento esteriore che arrechi un contributo apprezzabile alla commissione del reato, mediante il rafforzamento del proposito criminoso o l’agevolazione dell’opera degli altri concorrenti e che il partecipe, per effetto della sua condotta, idonea a facilitarne l’esecuzione, abbia aumentato la possibilità della produzione del reato, perché in forza del rapporto associativo diventano sue anche le condotte degli altri concorrenti. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
4. Da ultimo, anche il quarto motivo va dichiarato inammissibile. La Corte d’appello, motivando in ordine al mancato riconoscimento dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 4) cod.pen., ha rilevato che la configurabilità della stessa postula non solo che sia derivato dalla condotta un danno di speciale tenuità, ma anche che l’evento connesso al reato rivesta la medesima caratterizzazione di speciale tenuità. Ciò non si era verificato, nel caso di specie, giacché nell’esecuzione della condotta era stato causato, quanto al furto subito da NOME COGNOME, anche il danneggiamento del cristallo del finestrino. Inoltre, quanto al tentativo di furto di cui al capo b), ai danni di RAGIONE_SOCIALE, la sentenza impugnata ha considerato, oltre ad aspetti soggettivi della condotta in effetti non rilevanti ai fini dell’attenuante in esame, che la giacca temporaneamente asportata, aveva un valore di euro 50,00, e dunque non particolarmente tenue.
5. Si tratta di motivazione, logica e lineare, perfettamente coerente con la giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, ai fini dell’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 4, cod.pen., nel reato di furto tentato, ai fini della configurabilità del danno di speciale tenuità, deve aversi riguardo al danno ipotetico che il reato avrebbe cagionato qualora fosse stato consumato.
Si tratta di un principio che espresso da diverse decisioni di questa Corte (tra le altre, Sez. 5, n. 44153 del 30/09/2008, COGNOME, Rv. 241688; Sez. 5, n. 35827 del 04/06/2010, COGNOME, Rv. 248500) era stato criticato da un diverso filone interpretativo, per il quale in tema di reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità non si applica al delitto tentato, in quanto il danno patrimoniale non è elemento costitutivo dell’ipotesi delittuosa (Sez. 5, n. 11923 del 27/01/2010, COGNOME, Rv. 246556). L’intervento delle Sezioni Unite ha però da tempo e definitivamente risolto il contrasto, nel senso che «Nei reati contro il patrimonio, la circostanza attenuante comune del danno di speciale tenuità é applicabile anche al delitto tentato quando sia possibile desumere con certezza, dalle modalità del fatto e in base ad un preciso giudizio ipotetico che, se il reato fosse stato riportato al compimento, il danno patrimoniale per la persona offesa sarebbe stato di rilevanza minima» (Sez. U, n. 28243 del 28/03/2013, COGNOME, Rv. 255528).
L’assunto dei ricorrenti, che si concreta in realtà nell’indicazione di una ipotetica violazione di legge, è quindi manifestamente infondato. Inoltre, si intende ribadire l’interpretazione già resa da questa Sezione, secondo la quale la concessione della circostanza attenuante del danno di speciale tenuità presuppone necessariamente che il pregiudizio cagionato sia lievissimo, ossia di valore economico pressoché irrilevante, ed è, inoltre, necessario considerare, oltre al valore in sé della cosa sottratta, anche il valore complessivo del pregiudizio
arrecato con l’azione criminosa, valutando i danni ulteriori che la persona offesa abbia subìto in conseguenza della sottrazione della “resa (Sez. 4, n. 8530 del
13/02/2015, COGNOME, Rv. 262450).
6. Al rigetto dei ricorsi consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così deciso, il 27/03/2025