Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 806 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 806 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il 30/06/1975
avverso l’ordinanza del 09/04/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette/sentite le conclusioni del PG
Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del dott. NOME COGNOME Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con atto rivolto alla Corte di appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, veniva richiesta l’applicazione dell’istituto della fungibilità, ai sen dell’art. 657 cod. proc. pen., nell’interesse del condannato NOME COGNOME nei cui confronti è in esecuzione la condanna risultante per effetto della sentenza divenuta irrevocabile emessa dalla Corte di appello di Napoli il 20 luglio 2022.
In particolare, l’istante chiedeva l’applicazione della fungibilità in relazione all pena di anni 4 e mesi 10 di reclusione che aveva espiato e che risultava inflittagli in forza della sentenza irrevocabile emessa dalla Corte di appello di Napoli il 19 luglio 2002.
La richiesta era basata sul rilievo che la pena già espiata era da considerare “assorbita” in quella che risultava inflitta in forza della predetta sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 20 luglio 2022, con quale era stata riconosciuta la continuazione tra i reati giudicati con le due sentenze citate.
Con ordinanza del 9 aprile 2024, il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza.
La difesa del condannato ha proposto ricorso per cassazione, con atto volto ad ottenere l’annullamento della suddetta ordinanza. Il ricorrente sostiene che essa è affetta da violazione di legge e vizi di motivazione, e che il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto ritenere la fungibilità della pena espiata. L’epoca del reato associativo cui è riferibile la pena che risulta inflitta con la sentenza de 20 luglio 2022 non sarebbe indicata in modo preciso nel capo di imputazione e, quindi, sarebbe ricavabile dal contenuto della sentenza di condanna. Quest’ultima sarebbe basata su dichiarazioni di collaboratori di giustizia riferite a condotte commesse da NOME COGNOME alla fine degli anni ’90, quindi in epoca anteriore alla detenzione subita per la citata sentenza del 19 luglio 2002. Il giudice dell’esecuzione non avrebbe rispettato i principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità sul potere del giudice dell’esecuzione di interpretare il giudicato. Inoltr il giudice dell’esecuzione sarebbe rimasto silente sull’argomentazione difensiva diretta a far rilevare che la Corte di appello di Napoli, nell’emettere in fase d cognizione la sentenza del 20 luglio 2022, aveva riconosciuto la continuazione fra
i reati ivi giudicati e quelli giudicati con la sentenza emessa il 19 luglio 2002 e aveva ritenuto «assorbita» la pena di cui a tale anteriore sentenza.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso non è fondato.
1.1. L’art. 657 cod. proc. pen. regola l’istituto della fungibilità della pen stabilendo che il pubblico ministero, nel determinare la pena detentiva da eseguire, deve sottrarre la custodia cautelare o le pene espiate senza titolo.
1.2. La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, con riguardo ai poteri del giudice dell’esecuzione, che, in tema di reato permanente cóntestato nella forma cosiddetta «aperta», qualora in sede esecutiva debba farsi dipendere un qualsiasi effetto giuridico dalla data di cessazione della condotta e questa non sia stata precisata nella sentenza di condanna, spetta al giudice dell’esecuzione l’accertamento mediante l’analisi accurata degli elementi a sua disposizione (Sez. 1, n. 21928 del 17/03/2022, Rv. 283121 – 01).
Con riferimento all’istituto della fungibilità, è stato chiarito che esso non è applicabile ai reati permanenti quando la permanenza sia cessata dopo l’espiazione senza titolo (Sez. 1, n. 6072 del 24/05/2017, dep. 2018, Rv. 272102 – 01).
1.3. Nel caso ora in esame, il giudice dell’esecuzione ha rispettato i suddetti principi di diritto, pienamente condivisibili, e ha reso motivazione adeguata.
Nell’ordinanza impugnata, infatti, è stato affermato congruamente che la richiesta di riconoscimento della fungibilità non può essere accolta, perché vi osta il disposto di cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., in quanto la pena in discussione, che il condannato vorrebbe si considerasse fungibile, è stata espiata prima dell’epoca (individuata con argomentazione basata su dichiarazioni di collaboratori di giustizia sentiti nel giudizio di cognizione) del compimento della permanenza del reato al quale è riferita la pena da espiare.
Il giudice dell’esecuzione afferma plausibilmente che la rideterminazione del trattamento sanzionatorio, con «assorbimento» della pena irrogata con un precedente giudicato, è questione diversa da quella del computo della pena già espiata da COGNOME in relazione al medesimo titolo, dovendosi stabilire, a quest’ultimo fine, se la carcerazione sofferta dal condannato, di anni 4 e mesi 10 di reclusione, sia o meno fungibile.
In proposito, occorre ricordare che, in base alla giurisprudenza di legittimità, il riconoscimento del vincolo della continuazione tra reati in sede esecutiva, con la conseguente determinazione di una pena complessiva inferiore a quella risultante dal cumulo materiale, non comporta che la differenza residua possa essere automaticamente imputata alla pena da eseguire, a ciò ostando la disposizione di
cui all’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., per cui vanno computate a tale fine la custodia cautelare o le pene espiate sine titulo dopo la commissione del reato e dovendosi conseguentemente scindere il reato continuato nelle singole violazio che lo compongono (Sez. 1, n. 17531 del 22/02/2023, Rv. 284435 – 01).
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Ai sensi dell’art. 6 proc. pen., il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle sp processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle sp processuali. Così deciso in Roma, 11 settembre 2024.