Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 11742 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 11742 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata a Foggia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del Tribunale di Bari dell’08/08/2023;
letti gli atti, il ricorso e l’ordinanza impugnata;
udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME;
lette le conclusioni scritte del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO Procuratore generale NOME COGNOME, che ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale del riesame di Bari, con ordinanza dell’8 agosto 2023 (motivazione depositata il successivo 21 settembre), ha rigettato l’istanza di riesame proposta da NOME avverso l’ordinanza del Gip che ha applicato alla predetta la misura cautelare della custodia in carcere.
1.1. Gli addebiti provvisori hanno ad oggetto: a) la violazione dell’art. 74 TU Stup., aggravato ex art. 416-bis.1 cod. pen., per avere l’indagata partecipato ad associazione finalizzata al traffico di stupefacente, aggravata dal “metodo mafioso” e dalla finalità di agevolare il sodalizio mafioso denominato “RAGIONE_SOCIALE“, con lo specifico ruolo di “addetta alla commercializzazione al dettaglio dello stupefacente assegnatole dal sodalizio con quantitativi predeterminati (capo 1); b) la violazione degli artt. 81, comma 2, cod. pen. e 73 TU cit., per aver ricevuto da NOME COGNOME – a partire da epoca precedente al 7 ottobre 2017 e fine al marzo del 2018, dietro corrispettivo di 50/55 euro al grammo – 100 grammi al mese di sostanza stupefacente del tipo cocaina, quantitativi illecitamente detenuti e venduti nelle piazze di spaccio della città di Foggia, con l’aggravante della mafiosità, per aver agito al fine di agevolare il sodalizio mafioso sopra indicato (capo 48).
Avverso l’ordinanza del riesame l’indagata ha presentato, per mezzo del proprio difensore, ricorso nel quale deduce quattro motivi, declinati come violazione di legge e vizio di motivazione.
2.1. Con primi tre motivi – tra loro correlati – si contesta la ritenut sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per la fattispecie associativa, eccependosi in particolare la mancanza dei presupposti rappresentati dalla stabile adesione al sodalizio, tanto da un punto di vista oggettivo, quanto sotto il profilo dell’affectio societatis, nonché la violazione dell’art. 192 cod. proc. pen. per la valutazione della “chiamata di correo”, nonché per la circostanza aggravante della “mafiosità” (affermata, si sostiene, in modo apodittico dai giudici cautelari).
2.2. Il quarto motivo è riferito alle esigenze cautelari e alla adeguatezza della misura carceraria, rilevandosi l’insussistenza delle predette esigenze in considerazione del tempo trascorso dai fatti contestati, esigenze che potrebbero comunque essere soddisfatte con misura meno afflittiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è parzialmente fondato.
Manifestamente infondati, e dunque inammissibili, sono i primi tre motivi.
L’ordinanza del Tribunale riesame motiva in modo adeguato la gravità indiziaria a carico della COGNOME in ordine alle fattispecie provvisoriamente addebitate (peraltro, la difesa non contesta la sussistenza dell’associazione, ma la partecipazione alla medesima dell’indagata). Gravità indiziaria fondata, oltre che sulle dichiarazioni, niente affatto tra loro contrastanti (come dedotto dalla ricorrente) di due collaboratori di giustizia (tali COGNOME, che ha riferito che l’indagata “spacciava cocaina ed eroina pure”, e COGNOME che ha dichiarato che la predetta “vende la droga per il “Sistema” ·.. la cocaina”), dalle intercettazioni di conversazioni, nonché dalla presenza dell’indagata in una “lista”, sequestrata all’associato COGNOME NOME, riportata su un foglio di carta in cui era indicata come facente parte del gruppo coordinato da NOME COGNOME.
2.1. Da tali elementi l’ordinanza impugnata, in modo certamente non illogico, conclude nel senso che NOME spacciasse in modo sistematico per conto dell’organizzazione criminale (in particolare ricevendo la cocaina da NOME NOME, membro “intermedio” del sodalizio che, a propria volta, si riforniva dello stupefacente dai vertici della sua “batteria”; pag. 29 ss.). I Tribunale del riesame esamina anche la deduzione difensiva (che aveva evidenziato che in realtà la donna era “costretta” a spacciare, e dunque non poteva ritenersi intranea all’associazione) evidenziando che, al contrario, ella era pienamente partecipe delle dinamiche associative (pag. 36 s.) che prevedevano, per tutti gli associati, regole vincolanti circa l’approvvigionamento e la successiva vendita al dettaglio della cocaina.
2.2. D’altro canto, è corretta la conclusione del Tribunale barese secondo cui, a livello indiziario, emergono a carico dell’indagata gli elementi costitutivi della fattispecie associativa. Invero, «In tema di associazione a delinquere finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, ai fini della verifica degli element costitutivi della partecipazione al sodalizio, ed in particolare dell’ “affectio” di ciascun aderente ad esso, non rileva la durata del periodo di osservazione delle condotte criminose, che può essere anche breve, purché dagli elementi acquisiti possa inferirsi l’esistenza di un sistema collaudato al quale gli agenti abbiano fatto riferimento anche implicito, benché per un periodo di tempo limitato» (Sez. 6, n. 42937 del 23/09/2021, COGNOME, Rv. 282122 – 01).
In relazione allo specifico ruolo dell’indagata l’ordinanza del riesame è coerente con i principi affermati da questa Corte, in base ai quali «integra la condotta di partecipazione ad un’associazione finalizzata al traffico illecito di
sostanze stupefacenti la costante disponibilità all’acquisto delle sostanze stupefacenti di cui il sodalizio illecito fa traffico, ove sussista la consapevolezza che la stabilità del rapporto instaurato garantisce l’operatività dell’associazione, rivelando in tal modo la presenza del cd. affectio societatis tra l’acquirente ed i fornitori. (Nella specie, la RAGIONE_SOCIALE ha ritenuto che la partecipazione all’associazione non sia esclusa dal fatto che l’indagato, pur di continuare a spacciare, fosse stato costretto a rifornirsi costantemente di droga dal sodalizio criminale)» (Sez. 1, n. 30233 del 15/01/2016, NOME e altro, Rv. 267991 – 01).
Ancora, «in tema di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, il vincolo associativo può essere ravvisato anche tra soggetti che si pongono in posizioni contrattuali contrapposte nella catena del traffico di stupefacenti (come i fornitori all’ingrosso e i compratori dediti alla distribuzione), ed anche tra soggetti che agiscono in gruppi separati, eventualmente in concorrenza tra loro, a condizione che i fatti costituiscano espressione di un progetto indeterminato volto al fine comune del conseguimento del lucro da essi derivante, e che gli interessati siano consapevoli del ruolo svolto nell’economia del fenomeno associativo» (Sez. 6, n. 20069 del 11/02/2008, Oidih, Rv. 239643 – 01).
2.3. Per quanto concerne la contestazione del capo 48) – ossia le specifiche condotte di spaccio – l’ordinanza impugnata valorizza anzitutto le intercettazioni delle conversazioni, chiaramente indicative dell’attività svolta dalla NOME. Inoltre, a conferma di detti indizi, sono stati indicati anche ulteriori elementi (quali l’inserimento nella “lista” e, appunto, le dichiarazioni dei collaboratori).
In tal modo è stato fatto buon governo del principio secondo il quale «in tema di stupefacenti, la sussistenza del reato di cessione di sostanze stupefacenti può essere desunta anche dal contenuto delle conversazioni intercettate qualora il loro tenore sia sintomatico dell’organizzazione di una attività illecita e, nel caso in cui ai dialoghi captati non abbia fatto seguito alcu sequestro, l’identificazione degli acquirenti finali, l’accertamento di trasferimenti in denaro o altra indagine di riscontro e controllo, il giudice di merito, al fine d affermare la responsabilità degli imputati, è gravato da un onere di rigorosa motivazione, in particolare con riferimento alle modalità con le quali è risalito alle diverse qualità e tipologie della droga movimentata» (Sez. 4 , n. 20129 del 25/06/2020, COGNOME Simone, Rv. 279251 – 01).
Per quanto concerne la doglianza relativa alla circostanza aggravante della “mafiosità”, contestata all’indagata in merito ad entrambi gli addebiti, va in primo luogo rilevato che essa è configurabile anche in riferimento alla fattispecie ex art. 73 TU Stup. (così, Sez. 6, n. 9956 del 17/06/2016 – dep. 2017, Accurso, Rv. 269715 – 01). L’ordinanza impugnata ne argomenta in modo adeguato la
gravità indiziaria, alla luce del principio affermato da Sez. U, n. 8545 del 19/12/2019 – dep. 2020, Chioccini, Rv. 278734 – 01, secondo cui «la circostanza aggravante dell’aver agito al fine di agevolare l’attività delle associazioni di tipo mafioso ha natura soggettiva inerendo ai motivi a delinquere, e si comunica al concorrente nel reato che, pur non animato da tale scopo, sia consapevole della finalità agevolatrice perseguita dal compartecipe».
Peraltro, nella specie difetta anche l’interesse a ricorrere sotto tale specifico profilo, atteso che questa Sezione (sent. n. 5213 del 11/12/2018 – dep. 2019, Fucito, Rv. 275028 – 01) ha avuto modo di precisare che «sussiste l’interesse dell’indagato a ricorrere per cassazione avverso l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia ritenuto sussistente una circostanza aggravante a effetto speciale, sempre che da questa conseguano immediati riflessi sull'”an” o sul “quomodo” della misura. (Fattispecie in cui la Corte ha ritenuto inammissibile per carenza d’interesse il ricorso con cui era stata contestata la sussistenza dell’aggravante dell’agevolazione mafiosa senza che fossero impugnate le valutazioni in punto di pericolo di reiterazione non fondate su tale presunzione)»; aspetto questo assolutamente non indicato nel motivo di ricorso.
Fondato è, invece, il quarto motivo relativo alle esigenze cautelari.
4.1. Preliminarmente, va rilevato che risulta che in data 12 gennaio 2024 e dunque dopo la presentazione del ricorso per cassazione – l’originaria custodia carceraria è stata sostituita con la misura degli arresti domiciliari. Nondimeno, permane l’interesse all’esame del motivo relativo alle esigenze cautelari dal momento che questa Corte (Sez. 6, n. 18302 del 09/03/2004, Ferro, Rv. 229677 – 01) ha precisato che «la sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari, in pendenza di riesame contro la più grave misura, non fa venire meno l’interesse all’impugnazione pendente quando la sussistenza delle esigenze cautelari sia contestata in radice»; situazione, questa, rinvenibile nel ricorso presentato dalla COGNOME che, al quarto motivo, contesta in primo luogo la attuale esistenza di concrete esigenze cautelari chiedendo, in via logicamente subordinata, l’applicazione di misura meno afflittiva.
4.2. L’ordinanza impugnata richiama una serie di elementi che si assumono dimostrativi – al di là della doppia presunzione relativa ex art. 275 comma, comma 3, cod. proc. pen. – della perdurante sussistenza delle stesse e della inidoneità di misure meno afflittive (pag. 42 s.). In particolare, si fa riferimento ai seguenti elementi: la contestazione di cui al capo 1) è “alla attualità” e vi sono concreti elementi (dedotti da accertamenti compiuti dalla PG relativi a fatti accertati nel marzo del 2023) per ritenere che, nonostante gli intervenuti arresti, l’associazione è ancora operativa con specifico riferimento all’attività posta in INDIRIZZO 5
essere da “soggetto di vertice della batteria di appartenenza dell’indagata”; l’associazione ha manifestato rilevanti capacità sia di “resilienza” a fronte delle attività di contrasto degli organi inquirenti, sia di complessiva organizzazione, in larga scala, del traffico di droga; NOME “vanta numerosissimi precedenti per narcotraffico, anche in forma associata ex art. 74 TU Stup., risultando spacciare almeno dal 2005” e, “tornata in libertà nel febbraio del 2017 dopo avere espiato una condanna di quasi otto anni, è immediatamente tornata a delinquere … mostrandosi, dunque, soggetto, estremamente pericoloso”; i rapporti della medesima con NOME COGNOME e con COGNOME “dimostrano la stretta contiguità con i soggetti maggiormente di spessore nel contesto associativo”.
4.3. La ricorrente deduce che il suo coinvolgimento nell’associazione è stato di breve durata e che i reati fine gli sono contestati limitatamente a periodo compreso tra ottobre 2017 e marzo 2018, ossia oltre cinque anni prima dell’emissione della misura cautelare, in assenza di elementi che dimostrino la concreta attualità della partecipazione al contesto associativo.
La doglianza è fondata. L’ordinanza impugnata, pur dando conto che l’associazione è tuttora operativa, ha mancato di indicare concreti elementi dai quali logicamente inferire che la NOME, dopo più di cinque anni dalle ultime condotte poste in essere in esecuzione del pactum sceleris, sia tuttora intranea alle dinamiche associative, presupposto, sulla base del ragionamento del Tribunale del riesame, per ritenere sussistente il rischio di reiterazione delle condotte criminose. Indicazione ancora più necessaria dal momento che all’indagata non si contesta un ruolo di vertice o di carattere organizzativo, ma quello di “partecipe, con ruolo di addetta alla commercializzazione al dettaglio dello stupefacente mensilmente assegnatole dal sodalizio con quantitativi predeterminati” (capo 1, n. 55).
4.4. Questa Sezione ha affermato il principio – che va in questa sede ribadito – secondo cui «in tema di misure coercitive disposte per il reato associativo di cui all’art. 74 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, la sussistenza delle esigenze cautelari, rispetto a condotte esecutive risalenti nel tempo, deve essere desunta da specifici elementi di fatto idonei a dimostrarne l’attualità, in quanto tale fattispecie associativa è qualificata unicamente dai reati fine e non postula necessariamente l’esistenza dei requisiti strutturali e delle peculiari connotazioni del vincolo associativo previste per il reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., d talché risulta ad essa inapplicabile la regola di esperienza, elaborata per quest’ultimo, della tendenziale stabilità del sodalizio in difetto di elementi contrari attestanti il recesso individuale o lo scioglimento del gruppo» (Sez. 6, n. 3096 del 28/12/2017 – dep. 2018, Busillo, Rv. 272153 – 01).
In riferimento, poi, all’intervenuta sostituzione della misura, deve tenersi conto che «in tema di misure cautelari applicate per uno dei reati di cui al
comma 3 dell’art. 275 cod. proc. pen., il giudice procedente chiamato a valutare un’istanza di revoca o sostituzione della misura degli arresti domiciliari, che deduca l’insussistenza di concrete ed attuali esigenze cautelari, non può prescindere dall’apprezzamento del “fattore tempo” trascorso dai fatti e dalla sottoposizione al regime domiciliare, in totale assenza di fattori sopravvenuti indicativi della pericolosità del soggetto» (Sez. 2, n. 23801 del 27/04/2021, Cuomo, Rv. 281674 – 01 che, in motivazione, ha precisato che, nel caso in cui la misura applicata sia quella degli arresti domiciliari, la valutazione prognostica non può prescindere dalla considerazione della natura autocustodiale del regime in atto e dell’avvenuto superamento della presunzione assoluta di adeguatezza della sola custodia in carcere).
Per le suesposte ragioni si impone l’annullamento dell’ordinanza impugnata – limitatamente al solo profilo delle esigenze cautelari – con rinvio al Tribunale del riesame di Bari che, alla luce dei principi sopra indicati, valuterà la attuale permanenza delle stesse e la adeguatezza della misura in corso.
P. Q. M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e rinvia per nuovo giudizio al Tribunale di Bari, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso.
Così deciso il 13 febbraio 2024
Il Consig
Il Pràsid nte