Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 23374 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 23374 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 29/05/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME COGNOME nato a Reggio Calabria il 02/01/1958;
avverso la ordinanza della Corte di appello di Torino, in funzione di giudice dell’esecuzione, del 05/03/2025;
visti gli atti, il provvedimento impugnato, il ricorso ed i motivi aggiunti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
letti i motivi aggiunti e la memoria dell’avv. NOME COGNOME che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe la Corte di appello di Torino, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha – per quanto di interesse in questa sede – respinto la domanda di riconoscimento della continuazione in sede esecutiva, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., presentata nell’interesse di NOME COGNOME con riferimento ai reati per i quali è stato condannato con le sentenze irrevocabili indicate nella medesima istanza.
In particolare, la Corte territoriale ha ritenuto la richiesta infondata poiché pur tenuto conto dell’avvenuto riconoscimento della continuazione interna ed esterna in favore del condannato da parte di alcuni giudici della cognizione – i reati in questione (nonostante fossero sempre contro il patrimonio e svolti con le medesime modalità) erano espressione di un vero e proprio stile di vita e non già posti in esecuzione di un iniziale progetto criminoso, trattandosi di fatti commessi in un lungo arco temporale, contrassegnato da periodi di carcerazione intermedi.
Avverso la sopra indicata ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha presentato ricorso per cassazione affidato a due motivi, di seguito indicati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. pro pen., insistendo per il suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la inosservanza dell’art. 81 cod. pen. e la manifesta illogicità della motivazione poiché il giudice dell’esecuzione non avrebbe tenuto conto che la richiesta riguardava soltanto i reati commessi in un arco temporale di otto anni e avrebbe omesso di valutare la sussistenza dei tipici elementi rivelatori della unicità del disegno criminoso.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., la inosservanza dell’art. 81 cod. pen. e la contraddittorietà della motivazione; al riguardo osserva che in sede di cognizione era stata già riconosciuta la continuazione ‘interna’ ed ‘esterna’ in suo favore e che lo stesso era avvenuto, in sede esecutiva, con due distinte ordinanze e che il provvedimento impugnato non ha spiegato in modo adeguato la irrilevanza di tali precedenti statuizioni.
Il ricorrente ha poi presentato motivi aggiunti a supporto delle censure contenute nel ricorso; inoltre, ha depositato memoria con la quale ha confutato le conclusioni della Procura generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.11 ricorso (i cui motivi, compresi quelli aggiunti, possono essere trattati congiuntamente per la loro connessione) deve essere respinto per le ragioni di seguito illustrate.
Anzitutto, deve ricordarsi che la consolidata giurisprudenza di legittimità, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato dal ricorrente, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (Sez. 5, n. 1766 del 06/07/2015, Esposti, Rv. 266413; Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156-; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098).
3.1. L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulla serialità delle attività illecite del condannato, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950).
3.2. La verifica di tale preordinazione criminosa, inoltre, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta,
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dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dall’art. 671 cod. proc. pen., che può essere applicata, indifferentemente, sia per tutti i reati presupposti sia per una parte limitata di essi (Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596; Sez. 1, n. 35639 del 02/07/2013, COGNOME, Rv. 256307; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833).
Pertanto, il condannato pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione vorrebbe pervenire ad una non consentita (in questa sede) lettura alternativa degli elementi processuali, rispetto a quella coerentemente svolta dal giudice dell’esecuzione, ribadendo sostanzialmente che l’unicità del disegno criminoso si desumerebbe dalla circostanza che i reati da lui commessi sono tutti della stessa specie.
Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell’art. 616 del codice di rito.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 29 maggio 2025.