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Disegno criminoso: quando non si applica la continuazione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra più reati. La Corte ha stabilito che la mera ripetizione di reati, anche simili, commessi in un lungo arco temporale e intervallati da periodi di detenzione, non configura un unico disegno criminoso. Si tratta, invece, di uno “stile di vita criminale”, che non beneficia del trattamento sanzionatorio più favorevole previsto per la continuazione.

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Pubblicato il 24 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Disegno criminoso: quando la serialità non basta per la continuazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 23374 del 2025, offre un importante chiarimento sui confini applicativi dell’istituto della continuazione nel reato, delineando la netta distinzione tra un disegno criminoso unitario e un mero ‘stile di vita’ orientato al crimine. Questa pronuncia è fondamentale per comprendere quando una serie di reati può beneficiare di un trattamento sanzionatorio più favorevole e quando, invece, deve essere considerata come una sequenza di scelte criminali autonome.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo, condannato con diverse sentenze definitive per reati contro il patrimonio, che aveva richiesto alla Corte di Appello di Torino, in qualità di giudice dell’esecuzione, il riconoscimento della continuazione tra i vari illeciti. L’obiettivo era ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole, sostenendo che tutti i reati fossero espressione di un unico disegno criminoso. La Corte territoriale, tuttavia, aveva respinto la richiesta, ritenendo che la condotta del soggetto non fosse riconducibile a un programma unitario, ma piuttosto a uno stile di vita criminale, evidenziato dalla commissione dei reati in un lungo arco temporale, intervallato da periodi di detenzione.

La Decisione della Corte e l’analisi del disegno criminoso

La Suprema Corte di Cassazione ha confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, rigettando il ricorso del condannato. Gli Ermellini hanno ribadito i principi consolidati dalla giurisprudenza di legittimità in materia. Per poter applicare l’articolo 671 del codice di procedura penale, che disciplina la continuazione in fase esecutiva, è necessario dimostrare l’esistenza di un programma criminale unitario, deliberato in anticipo e finalizzato a un obiettivo preciso. Non è sufficiente la semplice ripetizione di reati della stessa specie.

Le Motivazioni

La Corte ha fondato la propria decisione su una distinzione concettuale cruciale. Un disegno criminoso unitario presuppone una progettazione originaria, almeno nelle sue linee fondamentali, di una serie ben individuata di reati. È un’ideazione che precede l’azione e lega le diverse condotte illecite in un nesso teleologico, cioè finalistico.

Al contrario, la reiterazione di reati, anche se simili per modalità, commessi a notevole distanza di tempo e intervallati da periodi di carcerazione, non può essere assimilata a tale programma. Questa condotta, secondo la Corte, è piuttosto l’espressione di una ‘concezione esistenziale’ basata sulla serialità delle attività illecite, un vero e proprio ‘programma di vita’ improntato al crimine. In questo scenario, il crimine diventa una scelta abituale per trarre sostentamento, una condizione che viene sanzionata da altri istituti del diritto penale, come la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, che hanno una finalità opposta al favor rei sotteso alla continuazione.

La Cassazione ha inoltre sottolineato che, in presenza di reati commessi a distanza temporale l’uno dall’altro, vige una presunzione (salvo prova contraria) che i fatti successivi non fossero stati specificamente progettati al momento della commissione del primo. Il ricorso, lamentando una violazione di legge, tentava in realtà di ottenere una rilettura alternativa degli elementi processuali, basandosi unicamente sulla medesima tipologia dei reati commessi, un argomento ritenuto insufficiente a dimostrare l’unicità del disegno criminoso.

Le Conclusioni

La sentenza in commento rafforza un principio fondamentale: l’istituto della continuazione è uno strumento di favore destinato a chi delinque sulla base di un piano specifico e circoscritto, non a chi fa del crimine una scelta di vita costante. La distinzione operata dalla Corte ha importanti implicazioni pratiche, poiché impedisce un’applicazione estensiva della continuazione a casi di delinquenza seriale e abituale, preservando la coerenza del sistema sanzionatorio. Per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione, non basta quindi allegare la somiglianza dei reati, ma è necessario fornire prova di un’originaria e unitaria programmazione criminale che li abbia tutti contemplati.

Quando più reati possono essere considerati parte di un unico disegno criminoso?
Risposta: Solo quando costituiscono parte integrante di un unico programma criminoso, deliberato in anticipo per conseguire un fine determinato e già concepito nelle sue caratteristiche essenziali.

La ripetizione di reati simili nel tempo è sufficiente a dimostrare un unico disegno criminoso?
Risposta: No, la Cassazione chiarisce che la reiterazione di condotte criminose, specialmente se commesse a grande distanza temporale e intervallate da periodi di detenzione, è espressione di un programma di vita improntato al crimine e non di un unico disegno criminoso.

Qual è la differenza tra un “disegno criminoso” e uno “stile di vita criminale”?
Risposta: Il “disegno criminoso” è una progettazione originaria e unitaria di una serie di reati. Lo “stile di vita criminale” è una serialità di attività illecite da cui il soggetto trae sostentamento, penalizzata da istituti come la recidiva e non dal trattamento di favore della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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