Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38855 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38855 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 27/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ASTI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/05/2024 del TRIBUNALE di MILANO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto procuratore generale NOME COGNOME, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa in data 21 maggio 2024 il Tribunale di Milano, quale giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza presentata da NOME COGNOME per il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati giudicati con cinque diverse sentenze, per reati di diversa natura commessi in Asti e in Milano tra il 2009 e il 2017.
Il Tribunale ha ritenuto non sussistente un unico disegno criminoso, formulato sin dalla commissione del primo reato, stante la rilevante distanza temporale tra i vari delitti, la loro natura del tutto diversa, trattandosi di re fiscali, reati contro il patrimonio e reati contro l’amministrazione della giustizia le diverse modalità di consumazione, e ha ritenuto sussistenti, piuttosto, una abitualità criminosa ed una scelta di vita delinquenziale.
Avverso l’ordinanza ha proposto ricorso NOME COGNOME, per mezzo del suo difensore AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo, con il quale denuncia il vizio di motivazione.
Il Tribunale non ha adeguatamente valutato le motivazioni delle sentenze di condanna, dalle quali emerge l’unicità del disegno criminoso. Tutti i reati sono stati commessi nell’ambito dell’attività lavorativa del ricorrente, quale titolare d alcune agenzie di viaggi, e in un arco temporale ristretto, compreso per lo più negli anni 2016 e 2017. Egli, quindi, ha usato costantemente lo strumento aziendale per porre in essere le sue azioni criminose, agendo sulla base di un disegno criminoso unitario, elaborato sin dalla commissione del primo delitto; le aziende hanno costituito il mezzo per commettere i reati, perché senza di esse egli non avrebbe potuto agire. Ciò dimostra che le sue condotte non sono state occasionali e sporadiche, bensì elementi di un unico disegno criminoso. Questi elementi emergono dalle motivazioni delle singole sentenze, e il Tribunale avrebbe dovuto acquisire i documenti necessari alla formazione del proprio convincimento, se avesse ritenuto necessario un approfondimento.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso.
Il difensore ha depositato una nota di udienza, con la quale ribadisce i motivi del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è generico e manifestamente infondato, e deve essere dichiarato inammissibile.
Il giudice dell’esecuzione si è conformato al principio di questa Corte, secondo cui «il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e dei bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea» (Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074).
2.1. GLYPH Esaminando la sussistenza di tali indici, l’ordinanza evidenzia, in termini negativi, la rilevante distanza temporale tra i vari delitti e la lo eterogeneità, elementi che rendono impossibile ipotizzare che nel 2009, epoca di commissione del primo delitto, consistente in una calunnia, il ricorrente avesse programmato, quanto meno nelle loro linee essenziali, la commissione di reati di natura diversa, consumati a distanza di molti anni, tra il 2013 e il 2017. La valutazione del giudice dell’esecuzione, che tali reati dimostrino una generica scelta di vita, quella di rispondere alle difficoltà economiche delle proprie aziende con azioni, anche delittuose, dettate dalle contingenze del momento, e non la esecuzione di un unico disegno criminoso ideato sin dall’inizio, è pertanto logica e fondata su elementi concreti.
2.2. GLYPH Il ricorso non si confronta con questa motivazione, e individua l’asserito disegno criminoso unitario solo nella volontà di «procurarsi denaro dagli ignari clienti dell’agenzia per indirizzarlo al proprio profitto e ciò con i mez che nell’occasione specifica fossero concretamente disponibili alla società», fornendo quindi una spiegazione che conferma la valutazione del giudice dell’esecuzione, secondo cui i vari delitti sono frutto di uno stile di vit delinquenziale, che ha comportato l’esecuzione di reati deliberati occasionalmente e in presenza di circostanze estemporanee favorevoli, dettati da esigenze contingenti ma privi di una programmazione unitaria, e derivanti solo da un generico movente economico. Questa Corte, infatti, ha sempre affermato che «ai fini dell’accertamento della sussistenza della continuazione, non bisogna avere riguardo agli intenti perseguiti dall’autore delle diverse azioni delittuose,
ma è invece necessario che le singole violazioni di legge siano tutte rapportabili ad un unico atto volitivo, ossia che tali violazioni siano state tutte previste e deliberate come momenti di attuazione di un programma preventivamente ideato ed elaborato nelle sue linee essenziali. L’identità del movente è insufficiente a configurare la medesimezza del disegno criminoso, che non va confuso con il generico proposito di commettere reati o con la scelta di una condotta di vita fondata sul delitto» (Sez. 1, n.785 del 06/02/1996, Rv. 203987).
2.3. Del tutto generica è, poi, l’affermazione della omessa acquisizione, da parte del giudice dell’esecuzione, degli atti necessari per formare il proprio convincimento: per quanto riportato nella motivazione, il Tribunale risulta avere letto le motivazioni delle sentenze in esame, e il ricorrente non precisa quali altri atti o documenti, acquisibili dal giudicante, avrebbero potuto dimostrare la sussistenza di un unico disegno criminoso o comunque orientare diversamente il suo convincimento, e tanto meno li allega.
Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Alla dichiarazione di inammissibilità segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende nella misura che si stima equo determinare in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 27 settembre 2024
Il Consigliere estensore