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Discrezionalità del giudice nella pena: quando è ok

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile un ricorso contro una condanna a sei mesi di reclusione. La decisione riafferma che la discrezionalità del giudice nella determinazione della pena, se correttamente motivata da elementi come precedenti penali e gravità del fatto, non è sindacabile in sede di legittimità. Il ricorso non può mirare a una nuova valutazione della congruità della pena.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Discrezionalità del Giudice: i Limiti del Controllo sulla Pena

Quando un giudice emette una condanna, come stabilisce l’esatta entità della pena? Questa ordinanza della Corte di Cassazione offre un chiaro esempio di come funziona la discrezionalità del giudice e perché non sia facile contestare una pena in ultima istanza. Il caso riguarda un imputato che, dopo una condanna in appello a sei mesi di reclusione, ha tentato di ottenere uno ‘sconto’ in Cassazione, lamentando una motivazione insufficiente da parte dei giudici di merito. Vediamo come è andata a finire e quali principi sono stati ribaditi.

I Fatti del Processo

Un soggetto, condannato dalla Corte d’Appello a una pena di sei mesi, ha presentato ricorso per cassazione. Il suo difensore ha sostenuto che i giudici d’appello avessero violato gli articoli 132 e 133 del codice penale, che regolano appunto i criteri per la determinazione della pena. In sostanza, la difesa lamentava un vizio di motivazione: la sentenza non avrebbe spiegato adeguatamente perché fosse stata inflitta una pena di quell’entità, seppur di poco superiore al minimo previsto dalla legge.

La Decisione della Corte e la Discrezionalità del Giudice

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile. La decisione si fonda su un principio cardine del nostro sistema processuale: la graduazione della pena rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. La Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di primo e secondo grado, a meno che la loro decisione non sia palesemente illogica o priva di motivazione.

Nel caso specifico, la Corte ha osservato che la sentenza d’appello aveva una motivazione solida. La pena, di poco superiore al minimo, era stata giustificata sulla base di elementi concreti e pertinenti, quali:

* La personalità negativa dell’imputato, desunta dai suoi numerosi precedenti penali, anche specifici.
* L’entità del fatto di reato.
* La condotta minacciosa tenuta non solo verso gli agenti, ma anche verso i passanti.

Il ricorso, secondo la Suprema Corte, non si confrontava con queste specifiche ragioni, ma si limitava a chiedere una nuova e più favorevole valutazione, cosa non permessa nel giudizio di legittimità.

I Parametri per la Graduazione della Pena e la Discrezionalità del Giudice

Gli articoli 132 e 133 del codice penale forniscono al giudice una ‘cassetta degli attrezzi’ per esercitare la sua discrezionalità. L’articolo 133, in particolare, elenca una serie di indici (la gravità del danno, l’intensità del dolo, i motivi a delinquere, il carattere del reo) che devono guidare il giudice nella sua scelta. La Corte di Cassazione ha ribadito che, quando il giudice di merito dimostra di aver tenuto conto di questi parametri e fornisce una giustificazione coerente, la sua decisione sulla misura della pena diventa insindacabile.

Le motivazioni

La Corte Suprema ha ritenuto il motivo del ricorso inammissibile in quanto non si confrontava con la specifica motivazione della sentenza impugnata. I giudici di merito avevano chiaramente indicato le ragioni per cui la pena era stata fissata in sei mesi di reclusione, un valore di poco superiore al minimo edittale. Tali ragioni risiedevano nella personalità negativa dell’imputato, come evidenziato dai suoi numerosi precedenti penali (anche per reati della stessa natura), dalla gravità del reato commesso e dalla condotta minacciosa estesa anche a semplici passanti. La Corte ha inoltre richiamato il suo orientamento consolidato, secondo cui la determinazione della pena è un esercizio di discrezionalità del giudice di merito, fondato sui principi degli artt. 132 e 133 c.p. Pertanto, una censura che miri semplicemente a una nuova valutazione della congruità della pena, senza individuare un vizio logico o giuridico nella motivazione, è inammissibile nel giudizio di cassazione.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un principio fondamentale: non basta ritenere una pena ‘troppo alta’ per ottenere una sua riduzione in Cassazione. È necessario dimostrare che il giudice di merito ha commesso un errore nell’applicare la legge o che la sua motivazione è manifestamente illogica o contraddittoria. La discrezionalità del giudice, se esercitata correttamente e supportata da una giustificazione adeguata basata su elementi concreti, è sovrana nella determinazione della pena. Di conseguenza, il ricorrente è stato condannato non solo a pagare le spese processuali, ma anche una somma in favore della Cassa delle ammende, a sottolineare l’infondatezza del suo ricorso.

È possibile contestare in Cassazione una pena ritenuta semplicemente ‘troppo alta’?
No, non è possibile se la contestazione si limita a una valutazione di merito. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di primo o secondo grado sulla congruità della pena. Il ricorso è ammissibile solo se si dimostra un vizio di legge o un difetto logico-giuridico nella motivazione della sentenza.

Quali elementi ha considerato il giudice d’appello per giustificare la pena?
Il giudice ha giustificato la pena, di poco superiore al minimo, basandosi su tre elementi principali: la personalità negativa dell’imputato, desunta dai suoi numerosi e specifici precedenti penali; la gravità del fatto di reato accertato; la condotta minacciosa tenuta non solo contro gli agenti ma anche verso i passanti.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché non si confrontava con le specifiche argomentazioni della sentenza impugnata. Invece di contestare la logicità delle motivazioni fornite dalla Corte d’Appello, si limitava a chiedere una nuova valutazione sulla misura della pena, un’attività che esula dalle competenze della Corte di Cassazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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