Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36180 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36180 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sui ricorsi proposti nell’interesse di
COGNOME NOME, nata a Taranto il DATA_NASCITA,
COGNOME NOME, nato a Napoli il DATA_NASCITA,
NOME NOME, nato a Venezia il DATA_NASCITA,
NOME, nato ad Ancona il DATA_NASCITA,
contro
la sentenza della Corte d’appello di Ancona del 12.1.2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed i ricorsi; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale
NOME COGNOME, che ha concluso per l’inammissibilità dei ricorsi.
La Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza con cui, in data 15.9.2021, il Tribunale del capoluogo marchigiano aveva riconosciuto NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME responsabili del delitto di estorsione aggravata loro in concorso ascritto e, operato l’aumento per la continuazione tra i diversi episodi delittuosi, aveva condannato NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni 6 e mesi 6 di reclusione ed euro 5.500 di multa, NOME COGNOME e NOME COGNOME alla pena di anni 7 di reclusione ed euro 6.000 di multa, oltre al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e di quelle di mantenimento in carcere; il primo giudice aveva inoltre applicato agli imputati le pene accessorie conseguenti alla entità di quella principale e li aveva infine condannati al risarcimento dei danni patiti dalle costituite parti civili che aveva liquidato in equitativa;
ricorrono per cassazione NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME a mezzo dei rispettivi difensori di fiducia che deducono:
2.1 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME:
2.1.1 error in judicando: rileva che tutte le difese avevano osservato che la fattispecie criminosa addebitata non avrebbe dovuto essere quella della estorsione ma quella dell’esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni; aggiunge che la ricorrente era stata coinvolta nella vicenda solo quale prestanome della RAGIONE_SOCIALE, società dichiarata fallita, non avendo mai concorso in atti di violenza nei confronti di terzi;
2.1.2 dosimetria della pena: sottolinea l’eccessiva gravosità della pena alla luce del fatto che la ricorrente era stata coinvolta in una società poi dichiarata fallita sicché avrebbe dovuto esserle riconosciuta la attenuante di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen. o, quantomeno, le circostanze attenuanti generiche;
2.2 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME:
2.2.1 mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione: rileva che la Corte d’appello ha escluso la praticabilità della diversa qualificazione giuridica del fatto ritenendo non azionabile in giudizio la pretesa fatta valere dalla COGNOME a sua volta fondata su una errata ricostruzione della vicenda; osserva, infatti, che la COGNOME era divenuta titolare dell’80% RAGIONE_SOCIALE quote della società RAGIONE_SOCIALE, di cui aveva assunto la amministrazione, senza alcuna finalità elusiva sul piano civile o tributario; richiama la deposizione di NOME COGNOME conforto dell’erroneo giudizio reso dalla Corte d’appello circa lo stato della società che non era affatto in decozione, con la COGNOME che ne avrebbe assunto la formale titolarità in termini fraudolenti e che aveva titolo per reclamare un risarcimento a
causa del subitaneo fallimento della società; ribadisce la linea discretiva tra il delitto di estorsione e quello di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni;
2.2.2 inosservanza o erronea applicazione della legge penale e, in particolare, dell’art. 629 cod. pen.: ribadisce il buon diritto della COGNOME ad agire giudizio nei confronti di coloro che le avevano ceduto le quote della società con conseguente esclusione del delitto di estorsione non soltanto nei confronti di costei ma, anche, del suo compagno NOME COGNOME, richiamando sul punto la giurisprudenza di questa Corte;
2.3 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME: 2.3.1 mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato in relazione alla ritenuta attendibilità RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni rese dalle parti civili: rileva che apparentemente le due sentenze di merito integrano una “doppia conforme” poiché quella di secondo grado ha operato una diversa valutazione della narrazione RAGIONE_SOCIALE persone offese che avrebbe imposto un rinnovato esame della loro attendibilità; rileva, infatti, che la valutazione RAGIONE_SOCIALE dichiarazioni di NOME COGNOME avrebbe dovuto coinvolgere anche la circostanza, da costui riferita, secondo cui egli avrebbe ceduto la società (che aveva crediti per 160.000 euro) per stanchezza, tanto da assumersi l’onere di pagare egli stesso un corrispettivo alla COGNOME perché gli subentrasse; ricorda che già nei motivi d’appello era stata evidenziata la singolarità di una tale pattuizione che consentiva di ritenere che la COGNOME avesse accettato di assumere il ruolo di “testa di legno” esponendosi a tutte le conseguenze civili e penali che sarebbero scaturite dal fallimento, poi puntualmente verificatosi; di qui, assume, il carattere certamente non pretestuoso RAGIONE_SOCIALE richieste di costei e degli altri imputati di ridiscutere i termini dell’accordo una volta intervenuta la dichiarazione di fallimento; segnala che la Corte d’appello ha in parte accolto i rilievi difensivi convenendo sulla ricostruzione dell’effetti causale della cessione della società ma ha tuttavia mancato di rivalutare la attendibilità dei COGNOME; sottolinea l’illogicità della sentenza di primo grado che, avendo interpretato in termini diversi l’antefatto storico della vicenda, ha comunque attribuito piena attendibilità alle persone offese in relazione alle richieste violente e minacciose asseritamente subite; aggiunge che ulteriore profilo di illogicità era ravvisabile nella ricostruzione del tenore degli incontri tra persone offese e gli imputati; Corte di RAGIONE_SOCIALEzione – copia non ufficiale
2.3.2 erronea interpretazione ed applicazione degli artt. 110, 629 cod. pen. e mancanza di motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato quanto al concorso dell’imputato nel delitto di estorsione: segnala che il concorso dell’imputato era stato affermato sul rilievo della sua partecipazione materiale alla
condotta senza indagare sull’elemento soggettivo e, pertanto, sulla sua consapevolezza della natura illecita della pretesa fatta valere nell’interesse della COGNOME; evidenzia che con l’atto di appello la difesa aveva fatto presente come il COGNOME vantasse un credito nei confronti della COGNOME e che per tale ragione era stato invitato a presenziare all’incontro onde constatare le ragioni della sua creditrice e non certo per intimidire le persone offese; sottolinea a tal proposito, il caratter elusivo della motivazione resa dalla Corte d’appello sul rilievo difensivo; aggiunge, ancora, che, avendo le due sentenze di merito aderito alla ricostruzione del PM che aveva contestato plurimi fatti di estorsione, la Corte avrebbe dovuto specificamente motivare sulla partecipazione del COGNOME all’episodio di cui al capo E) cui egli era rimasto pacificamente estraneo;
2.3.3 erronea applicazione degli artt. 62-bis, 114 cod. pen., mancanza di motivazione in ordine all’omesso riconoscimento RAGIONE_SOCIALE predette circostanze attenuanti: evidenzia l’omessa valutazione sull’effettiva efficienza causale della condotta del ricorrente, peraltro assente nell’episodio di cui al capo E); per la medesima ragione, censura la sentenza impugnata per non aver considerato questo fattore positivo ai fini del riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche;
2.4 l’AVV_NOTAIO, in difesa di NOME COGNOME,
2.4.1 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale in relazione al reato di estorsione quanto alla consapevolezza e volontà di agire e per l’omessa riqualificazione del fatto nel delitto di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE propr ragioni: richiama la motivazione con cui la Corte d’appello ha respinto il comune motivo di doglianza sull’inquadramento giuridico della vicenda eludendo, tuttavia, il punto relativo alla assenza di qualsivoglia condotta violenta o minacciosa da parte del NOME che in nulla aveva contribuito o agevolato l’attività degli altri imputati, come risulta dalle stesse deposizioni RAGIONE_SOCIALE persone offese;
2.4.2 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale in relazione al concorso di persone; difetto di motivazione: richiamati i presupposti del concorso di persone sia sul piano oggettivo che sul piano soggettivo, ribadisce la loro insussistenza nel caso di specie;
2.4.3 inosservanza ovvero erronea applicazione della legge penale in relazione al concorso di persone e, in particolare, dell’extraneus; difetto o omessa motivazione: richiama le caratteristiche del delitto di cui all’art. 393 cod. pen. reato proprio ma non esclusivo o di mano propria, che si distingue dal delitto di estorsione sul piano soggettivo ovvero della intenzione dell’agente di esercitare un diritto nella ragionevole convinzione della fondatezza della pretesa pur
arbitrariamente fatta valere; richiama altresì la giurisprudenza in tema di concorso del terzo nella condotta del titolare del diritto;
2.4.4 ulteriore difetto e mancanza di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio ed all’omesso riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche; difetto o omessa motivazione in relazione al risarcimento del danno per la parte civile costituita: segnala la stringatezza della motivazione con cui la Corte d’appello ed il giudice di primo grado hanno negato le attenuanti generiche tradendo in tal modo l’obbligo di fornire, anche su tale aspetto, una motivazione congrua e completa; osserva, peraltro, che il comma terzo dell’art. 62-bis cod. pen., introdotto nel 2014, non può comunque trovare applicazione ai fatti commessi in precedenza; di qui, l’ingiustizia della condanna come anche del risarcimento disposto in favore RAGIONE_SOCIALE costituite parti civili;
la Procura Generale, nonostante la richiesta di trattazione orale, ha trasmesso le proprie conclusioni insistendo per l’inammissibilità dei ricorsi.
la difesa della costituita parte civile ha trasmesso, infine, le proprie conclusioni insistendo per l’inammissibilità dei ricorsi e per la condanna dei ricorrenti alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese del grado, di cui ha chiesto la liquidazione con nota spese;
in data 5.9.2024 la difesa di NOME COGNOME ha trasmesso una memoria in replica alle considerazioni svolte dalla Procura Generale e ribadendo, nell’occasione, le difese già articolate con il ricorso.
in data 9.9.2024 NOME COGNOME ha chiesto a questa Corte di essere ammessa al Patrocinio a spese dello Stato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Sull’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
In via preliminare va rilevata la inammissibilità della richiesta, avanzata dalla COGNOME in questa sede, di essere ammessa al Patrocinio a spese dello Stato; si è infatti puntualmente osservato che gli artt. 93 e 96 del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 riservano ai giudici di merito la competenza a provvedere sicché, quando procede la Corte di cassazione, l’istanza deve essere presentata all’ufficio del magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato, al quale spetta disporre l’ammissione al beneficio qualora ne ricorrano le condizioni (cfr., Sez. 5 – , n. 3538 del 17/12/2018, dep. 24/01/2019, Liban, Rv. 275413 – 01; Sez. 3, n. 27581 del 15/06/2010, M., Rv. 248106 – 01).
2. Sulla qualificazione giuridica della condotta
2.1 Con il primo motivo del ricorso della COGNOME, il primo motivo ed il secondo motivo del ricorso del COGNOME ed il primo motivo ed il terzo motivo del ricorso del COGNOME, le rispettive difese avevano reiterato, in questa sede, la questione relativa all’inquadramento giuridico della vicenda che, a loro avviso, erroneamente i giudici di merito avrebbero ricondotto nel paradigma del delitto di estorsione e che, invece, avrebbe dovuto essere più correttamente sussunta nella fattispecie incriminatrice delineata dall’art. 393 cod. pen..
La censura è manifestamente infondata.
L’imputazione elevata a carico degli odierni ricorrenti è quella di estorsione continuata in concorso perché, secondo l’imputazione, “… con più azioni esecutive … mediante violenza e minaccia, costringevano COGNOME NOME e COGNOME NOME a consegnare somme di denaro ed autovetture, così procurandosi un ingiusto profitto, con un corrispondente danno per le persone offese” in quanto “… affermando in modo pretestuoso che, in conseguenza del fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, precedentemente gestita da COGNOME NOME e ceduta dallo stesso a nuovi soci, COGNOME NOME, che liberamente aveva assunto il ruolo di amministratrice di fatto della predetta società, aveva subito un danno ammontante alla somma di euro trentamila, e facendo forza sul coinvolgimento di COGNOME NOME nelle operazioni poco trasparenti che avevano condotto al fallimento, mediante ripetute intimidazioni e violenze, costringevano quest’ultimo e suo figlio ai seguenti atti dispositivi …”.
La questione dell’inquadramento giuridico della condotta ascritta agli imputati aveva formato oggetto di discussione già nel corso del giudizio di primo grado che, invero, l’aveva affrontata e risolta in termini non coerenti alle coordinate dettate dalla giurisprudenza di questa Corte e, in particolare, dalla sentenza RAGIONE_SOCIALE SS.UU. “Filardo” del 2020; il primo giudice aveva infatti valorizzato le modalità della condotta tenuta dagli imputati “… tale da assoggettare completamente i COGNOME, piegandoli al volere degli imputati che hanno conseguito beni di valore considerevole” (cfr., così, a pag. 9 della sentenza del Tribunale di Ancona).
Più correttamente, ed in linea con i principi dettati dalle SS.UU. “Filardo”, la Corte d’appello ha invece fondato la qualificazione giuridica della condotta da ricondurre nel paradigma della estorsione sul rilievo secondo cui la COGNOME non era titolare di una pretesa giuridicamente azionabile in quanto “… vantava un credito in corrispondenza RAGIONE_SOCIALE conseguenze sfavorevoli che temeva di patire per il fatto di avere assunto la carica di testa di legno di una società in procinto di fallire” per
cui “… la pretesa … si fondava su una causa illecita, ossia traeva origin all’accettazione, a pagamento, dell’incarico di testa di legno … utilizzata dall’effettivo titolare per eludere le conseguenze civili, tributarie e penali, in fro all’Ordinamento giuridico …” (cfr., pagg. 7-8 della sentenza d’appello).
Le SS.UU. “Filardo”, infatti, hanno chiarito che, ai fini della distinzione tra reati di cui agli artt. 393 e 629 cod. pen. assume … decisivo rilievo l’esistenza meno di una pretesa in astratto ragionevolmente suscettibile di essere giudizialmente tutelata: nel primo, il soggetto agisce con la coscienza e la volontà di attuare un proprio diritto, a nulla rilevando che il diritto stesso sussista o n sussista, purché l’agente, in buona fede e ragionevolmente, ritenga di poterlo legittimamente realizzare; nell’estorsione, invece, l’agente non si rappresenta, quale impulso del suo operare, alcuna facoltà di agire in astratto legittima, ma tende all’ottenimento dell’evento di profitto mosso dal solo fine di compiere un atto che sa essere contra ius, perché privo di giuridica legittimazione, per conseguire un profitto che sa non spettargli”.
Le SS.UU. hanno chiarito che, per aversi il delitto di cui all’art. 393 cod. pen. “… la pretesa arbitrariamente coltivata dall’agente deve … corrispondere esattamente all’oggetto della tutela apprestata in concreto dall’ordinamento giuridico, e non risultare in qualsiasi modo più ampia, atteso che ciò che caratterizza il reato in questione è la sostituzione, operata dall’agente, dello strumento di tutela pubblico con quello privato, e l’agente deve, quindi, essere animato dal fine di esercitare un diritto con la coscienza che l’oggetto della pretesa gli possa competere giuridicamente …” e che “… pur non richiedendosi che si tratti di pretesa fondata, ovvero che il diritto oggetto dell’illegittima tutela privata s realmente esistente, deve, peraltro, trattarsi di una pretesa non del tutto arbitraria, ovvero del tutto sfornita di una possibile base legale … poiché il soggett attivo deve agire nella ragionevole opinione della legittimità della sua pretesa, ovvero ad autotutela di un suo diritto in ipotesi suscettibile di costituire oggetto d una contestazione giudiziale avente, in astratto, apprezzabili possibilità di successo”.
Hanno sottolineato, anzi, che “… detta verifica … è preliminare … ” poich “… i delitti di esercizio arbitrario RAGIONE_SOCIALE proprie ragioni con violenza o minaccia a persone e di estorsione si distinguono in relazione al profilo della tutelabilità dinanzi all’autorità giudiziaria del preteso diritto cui l’azione del reo era diret giacché tale requisito – che il giudice è preliminarmente chiamato a verificare deve ricorrere per la configurabilità del primo, mentre, se manca, determina la qualificazione del fatto alla stregua del secondo”.
2.2 Le SS.UU. “Filardo”, inoltre, vagliando l’ulteriore questione della configurabilità del concorso del terzo nella condotta del titolare del diritto, hanno in effetti escluso che il delitto di cui ail’art. 393 cod. pen. sia costruito c “proprio e di mano propria” ammettendo, pertanto, che il terzo possa concorrere nel delitto proprio laddove non sia mosso da un interesse proprio ed ulteriore rispetto a quello dell’agente.
Ed è proprio in quest’ottica che, del tutto correttamente, la Corte d’appello di Ancona ha vagliato la specifica posizione del COGNOME che, secondo la difesa, vantava un proprio credito nei confronti della COGNOME per questa sola ragione essendo “interessato” a presenziare all’incontro con i COGNOME; i giudici anconetani hanno infatti congruamente spiegato che, ferma la insussistenza di una pretesa giuridicamente azionabile da parte della COGNOME, “… l’interesse del COGNOME era un mero interesse di fatto trasformatosi in movente per concorrere nel delitto di estorsione nell’auspicio che la COGNOME ottenesse i soldi e, con gli stessi, potesse sdebitarsi con lui” (cfr., ivi, pag. 8).
In definitiva, l’assenza di qualsivoglia “titolo” giuridicamente fondato (e, anzi, una pretesa collegata ad una condotta in frode alla legge) in capo alla COGNOME, escludeva ogni possibilità di ricondurre quelle dei correi all’interno di un paradigma diverso da quello delineato dall’art. 629 cod. pen..
2.3 II secondo motivo del ricorso del COGNOME come, più diffusamente, il primo motivo del ricorso del COGNOME, propongono, invero, questioni che, in definitiva, attengono alla ricostruzione del fatto: sottolineano, infatti, che la cessione della società alla RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata dettata non già dallo stato di decozione e dall’imminente ed ineluttabile declaratoria di fallimento (alle cui conseguenze i COGNOME, con il concorso della COGNOME, avrebbero in tal modo inteso sottrarsi) ma ad una decisione dettata da motivi diversi (la “stanchezza” del COGNOME nella gestione dell’attività) e del tutto leciti.
Sotto questo profilo, peraltro, la difesa del COGNOME denunzia vizio di motivazione sulla attendibilità RAGIONE_SOCIALE persone offese che, per l’appunto, avrebbero ascritto le ragioni dell’operazione a motivi diversi da quelli legati alle condizion economiche e patrimoniali della società.
La Corte d’appello, invero, all’esito di un completo e puntuale riscontro RAGIONE_SOCIALE emergenze istruttorie, ha potuto rilevare che “… l’antefatto appare abbastanza chiaro” aggiungendo che la circostanza che l’azienda – contrariamente a quanto assunto dalle difese – non fosse florida e che era stato proprio la preoccupante situazione dei conti societari ad indurre i COGNOME a cedere le quote, era reso evidente dal fatto che costoro avessero essi stessi retribuito la COGNOME per
subentrare nella titolarità della società; in altri termini, sulla scorta di apprezzamento tipicamente “di merito” operato alla luce del complesso degli elementi acquisiti, i giudici di secondo grado hanno potuto affermare, in termini non manifestamente illogici, che proprio la stessa circostanza che il COGNOME avesse “pagato” la COGNOME per assumersi la titolarità della società era un elemento che finiva per “superare” le stesse considerazioni della persona offesa sul reale stato della società medesima.
3. Gli altri motivi del ricorso della COGNOME.
L’unico ulteriore motivo di ricorso proposto nell’interesse della COGNOME è articolato – senza alcun riferimento a taluno dei vizi tassativamente delineati nell’art. 606 cod. proc. pen. – sulla dosimetria della pena che si assume eccessiva aggiungendosi che proprio la peculiarità della vicenda (caratterizzata dall’acquisizione di una società immediatamente fallita) avrebbe giustificato il riconoscimento, in favore della ricorrente, RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche come dell’attenuante di cui all’art. 62 n. 2 cod. pen.
Il motivo è comunque manifestamente infondato atteso che il lamentato difetto di motivazione sul punto non può essere motivo di ricorso per cassazione non avendo la difesa, né con l’atto di appello né in sede di discussione, formulato una specifica richiesta in tal senso, con preciso riferimento a dati di fatto astrattamente idonei al suo accoglimento, e soltanto rispetto alla quale il giudice avrebbe avuto il dovere di confrontarsi con la redazione di una puntuale motivazione (cfr., sul punto, tra le altre, Sez. 3 – , n. 10085 del 21/11/2019, dep. 16/03/2020, G., Rv. 279063 – 02).
4. Gli altri motivi del ricorso del NOME
Il secondo motivo del ricorso del COGNOME è fondato limitatamente all’omessa motivazione circa la partecipazione dell’imputato all’episodio di cui al punto E) dell’imputazione.
Con l’atto d’appello, la difesa del COGNOME aveva evidenziato che l’imputato non si era reso partecipe dei fatti del 26.11.2015 che avevano portato all’arresto dei correi.
Come puntualizzato dal primo giudice (cfr., pagg. 9-10 della sentenza di primo grado), il capo di imputazione, evocando l’art. 81 cod. pen., è stato costruito, e correttamente inteso, come descrittivo di una pluralità di episodi estorsivi legati dal vincolo della continuazione sicché, in sede di quantificazione della pena, era stata individuata, per ciascuno degli imputati, quella “base” e, poi, quantificati gli aumenti per ciascun ulteriore episodio.
Per quanto concerne in particolare il COGNOME, la pena-base era stata individuata in anni 6 di reclusione ed euro 5.000 di multa (considerando, perciò, il minimo edittale della pena detentiva prevista per la fattispecie aggravata) aumentata, per ciascun episodio ulteriore, nella misura di mesi 1 e giorni 15 di reclusione ed euro 150,00 di multa.
È perciò in questa misura – con l’eliminazione dell’aumento stabilito per il punto E) – che, con l’accoglimento del motivo di censura ed il conseguente annullamento senza rinvio (per non aver commesso il fatto), che la pena finale, di anni 6 e mesi 6 di reclusione ed euro 5.500 di multa va ridotta nella misura finale di anni 6, mesi 4 e giorni 15 di reclusione ed euro 5.350 di multa.
Per il resto, il secondo come il terzo motivo del ricorso sono inammissibili avendo la Corte d’appello congruamente motivato, in fatto, eba sul concorso materiale del NOME negli altri episodi i in quanto autore di atti di violenza nei confronti di NOME COGNOME che tentava di reagire all’aggressione in danno del padre NOME e giudicando nel merito impercorribile, alla luce del contesto della vicenda come complessivamente ricostruita, la tesi difensiva secondo cui la vettura Ferrari gli fosse stata prestata a titolo di “amicizia” (cfr., pag. 13 della senten d’appello).
I giudici di secondo grado hanno inoltre congruamente ed insindacabilmente (in questa sede) motivato sulle ragioni ostative al riconoscimento RAGIONE_SOCIALE circostanze dando rilievo, a tal fine, ai precedenti penali a carico dell’imputato (cfr., ivi, pag. 14); ed è appena il caso di ribadire che il giudi di merito, nel motivare il diniego della concessione RAGIONE_SOCIALE attenuanti generiche, non deve necessariamente prendere in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, essendo sufficiente che e faccia riferimento a quelli da lui ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo in COGNOME tal COGNOME modo COGNOME disattesi COGNOME o COGNOME superati COGNOME tutti COGNOME gli COGNOME altri COGNOME da COGNOME tale COGNOME valutazione (cfr., Sez. 2 – , n. 23903 del 15/07/2020, COGNOME, Rv. 279549 2; Sez. 3 – , COGNOME n. 1913 del 20/12/2018, COGNOME, Rv. 275509 3; Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269 01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826 – 01).
Altrettanto esaustiva è, nella sua sinteticità, la motivazione con cui la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’attenuante di cui all’art. 114 cod. pe pur invocata dalla difesa per cui, come è noto, non è sufficiente una minore efficacia causale dell’attività prestata da un correo rispetto a quella realizzata dagl altri, in quanto è necessario che il contributo si sia concretizzato nell’assunzione di un ruolo del tutto marginale, ossia di efficacia causale così lieve, rispett all’evento, da risultare sostanzialmente trascurabile nell’economia generale del
crimine commesso (cfr., tra le tante, Sez. 4 – , n. 26525 del 07/06/2023, Malfarà, Rv. 284771 – 01).
5. Gli altri motivi del ricorso del NOME
Richiamate le considerazioni svolte al superiore punto 2. in ordine alla qualificazione giuridica della condotta, rileva il collegio che le ulteriori doglian articolate nel primo motivo attengono a profili fattuali su cui la Corte d’appello ha motivato con puntuale riferimento alle emergenze istruttorie osservando come non potesse rilevare, ai fini della esclusione della responsabilità del ricorrente, che nella prima occasione di incontro con i COGNOME, egli avesse assunto un ruolo apparentemente meno violento nei confronti RAGIONE_SOCIALE vittime “… in quanto la sua condotta, alternata ai modi più bruschi di altri, si presentava funzionale a convincere le vittime della necessità di acconsentire alle pretese, in alternativa al subire condotte più offensive” aggiungendo che “… la piena compartecipazione del NOME trova conferma in occasione del relativo arresto …” (cfr., pag. 11 della sentenza di appello).
In merito al concorso del ricorrente, poi, la Corte d’appello ha congruamente valorizzato la condotta tenuta dal NOME nelle altre occasioni e, in particolare, la sua presenza all’episodio che ha condotto all’arresto conseguente alla consegna programmata del denaro oltre che all’avvenuta presa in consegna della vettura Jaguar (cfr., ivi).
D’altra parte va ribadito che la struttura unitaria del reato concorsuale implica la combinazione di diverse volontà finalizzate alla produzione dello stesso evento, sicché ciascun compartecipe è chiamato a rispondere sia degli atti compiuti personalmente, sia di quelli compiuti dai correi nei limiti della concordata impresa criminosa per cui, quando l’attività del compartecipe si sia estrinsecata e inserita con efficienza causale nel determinismo produttivo dell’evento, fondendosi indissolubilmente con quella degli altri, l’evento verificatosi è da considerare come l’effetto dell’azione combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che non hanno posto in essere l’azione tipica del reatoi detto reato, deve essere considerato l’effetto della condotta combinata di tutti i concorrenti, anche di quelli che ne hanno posto in essere una parte priva dei requisiti di tipicità (cfr., Sez. 2 Sentenza n. 51174 del 01/10/2019, Rv. 278012, COGNOME; Sez. 5, Sentenza n. 40449 del 10/07/2009, Rv. 244916, COGNOME).
Manifestamente infondato è, ancora, il quarto motivo del ricorso.
In merito al diniego RAGIONE_SOCIALE circostanze attenuanti generiche, infatti, la Corte d’appello ha evocato “… i numerosissimi precedenti penali dell’imputato … non
reputandosi sufficiente la valutazione del comportamento processuale …” (cfr., ivi, pag. 12).
Aspecifico è, infine, il rilievo concernente la ritenuta eccessività del risarcimento del danno liquidato in via equitativa dal primo giudice ed in termini condivisi dalla Corte d’appello: è sufficiente, infatti, rilevare che la censur formulata in questa sede risulta persino graficamente identica al rilievo articolato con l’atto d’appello (cfr., ivi, pag. 9) e non tiene conto in alcun modo della risposta che, sul punto, è stata fornita dai giudici di secondo grado (cfr., pag. 12 della sentenza qui in verifica).
L’inammissibilità del ricorso di NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME importa la condanna di costoro al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e, ciascuno, alla somma – che si stima equa – di euro 3.000 in favore della RAGIONE_SOCIALE, non ravvisandosi ragione alcuna d’esonero.
Gli stessi COGNOME, COGNOME e COGNOME, in solido tra loro e con il COGNOME, vanno inoltre condannati alla rifusione RAGIONE_SOCIALE spese sostenute nel grado dalle parti civili NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME, limitatamente all’episodio sub E), per aver commesso il fatto. Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Riduce la pena di un mese e giorni quindici di reclusione ed euro 150 di multa, così rideterminando la pena da eseguirsi nei confronti del COGNOME in anni sei, mesi quattro e giorni quindici di reclusione ed euro 5.350 di multa.
Dichiara inammissibili gli ulteriori ricorsi e condanna i ricorrenti COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME al pagamento RAGIONE_SOCIALE spese processuali e della somma di euro 3.000 ciascuno in favore della RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Condanna, inoltre, tutti gli imputati, in solido tra loro, alla rifusione del spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalle parti civili COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, che liquida in complessivi euro 5.000 oltre accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 11.9.2024