Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 30197 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 30197 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 04/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME nato a Barcellona Pozzo Di Gotto il 19/07/1964
avverso l’ordinanza emessa il 3 febbraio 2025 dal Tribunale di Messina
Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; uditi i difensori, Avv. NOME COGNOME e Avv. NOME COGNOME che hanno insistito per l’accoglimento del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale di Messina, accogliendo parzialmente l’istanza di riesanne presentata da NOME COGNOME ha annullat l’ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere limitatamente al cap dell’imputazione provvisoria, confermando detta misura per i capi 1) e 2), g riqualificati dal provvedimento genetico ai sensi degli 629 e 416-bis.1 cod. pen 5 (art. 416-bis cod. pen.).
2.NOME COGNOME ricorre per cassazione deducendo tre motivi, di seguito riassunti nei termini strettamente necessari per la motivazione.
2.1. Vizi di violazione di legge e di motivazione in ordine al giudizio di gravità indiziaria relativo al capo 5). Sostiene il ricorrente che l’unica qualificazione giuridica prospettabile in base agli atti esaminati dal Tribunale è la sussistenza di un’associazione a base familiare, diversa dalla famiglia mafiosa dei barcellonesi, che, in talune occasioni, ha sfruttato la caratura criminale di uno dei suoi membri. Si osserva, a tale riguardo ) che: 1) l’ordinanza menziona le dichiarazioni del collaboratore di giustizia NOME COGNOME il quale ha riferito del recesso dal sodalizio del ricorrente, recesso avvenuto decenni orsono, ma di cui non si fa menzione nelle dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME; 2) la conversazione tra NOME COGNOME e NOME COGNOME, valorizzata dal Tribunale, non ha un significato univoco in quanto i due si sono limitati ad uno scambio di opinioni quando l’uno definisce il ricorrente “uomo d’onore” e l’altro quale “persona d’ingegno”; 3) l’ulteriore conversazione intercorsa tra NOME COGNOME e NOME COGNOME attiene, invece, al sodalizio familiare che ha proseguito nella gestione dell’impresa di famiglia, benché sottoposta a confisca e gestita dall’amministratore giudiziario; 4) le presunte vicende estorsive di cui ai capi 1) e 2) sono state già ricondotte a questioni concernenti la medesima impresa confiscata nel provvedimento che ha accolto la richiesta di archiviazione nel proc. 111/2022, relativo al reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., in quanto non reputate sintomatiche della partecipazione al sodalizio mafioso.
Si aggiunge, inoltre, che, a fronte delle modificazioni soggettive che hanno interessato la famiglia dei barcellonesi, il Tribunale ha omesso di verificare se sia configurabile nella fattispecie il numero minimo di tre persone, avendo considerato le sole posizioni del ricorrente e del fratello NOME.
(I) Infine, quanto al mantenimento degli associati, la stessa ordinanza impugnata riferisce che si trattava di piccoltt,regali a parenti e della dazione mensile di denaro a Santa Ofria per il pagamento della badante della madre degli Ofria.
2.2. Vizi di violazione di legge e di motivazione in relazione al giudizio di gravità indiziaria relativo al reato di cui al capo 1), mancando nella fattispecie concreta il requisito del profitto in capo a COGNOME e il dolo del reato di estorsione atteso che il ricorrente e il coindagato hanno agito al solo scopo dì evitare il perpetrarsi di condotte appropriative da parte di COGNOME.
2.3. Illogicità della motivazione relativa alla sussistenza della minaccia nella vicenda di cui al capo 2), risulta d. agli atti le sole circostanze dell’assunzione di COGNOME da parte di Papa e e costui non aveva inteso stipulare un nuovo
contratto perché COGNOME parlava troppo tegazto aveva saputo delle sue ruberie presso l’autodemolizione degli Ofria.
ADI
3. Il Procuratore Generale ha depositato una memoria in cui, nel concludere per l’inammissibilità del ricorso, ha posto l’accento, quanto al secondo motivo, sia sul penetrante e diretto controllo esercitato dal ricorrente sulla ditta confiscata successivamente alla sua scarcerazione, avvenuta nel 2016, e fino al 2022, quando veniva raggiunto da altro provvedimento di carcerazione, sia sul costante impiego del sistema della doppia contabilità, congegnato dal ricorrente e portato avanti dai suoi familiari, in funzione della sottrazione allo Stato di ingenti risors destinate al mantenimento del ricorrente e di altri appartenenti al sodalizio mafioso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile in quanto si limita a formulare delle censure di merito, prospettando una non consentita diversa valutazione del compendio indiziario relativo alla partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, nonché una diversa interpretazione del significato delle conversazioni intercettate, sebbene l’ordinanza impugnata non presenti sul punto alcun profilo di illogicità (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715).
Va, inoltre, aggiunto che la questione relativa alla sussistenza nel caso in esame degli elementi costitutivi del sodalizio mafioso non risulta posta in sede di riesame.
L’ordinanza impugnata, infatti, con motivazione persuasiva ed immune da vizi logici o giuridici /ha posto a fondamento del giudizio di gravità indiziaria relativo alla perdurante appartenenza del ricorrente al sodalizio mafioso sia il contenuto delle conversazioni censurate in cui gli interlocutori definivano Ofria quale «uomo d’onore», sia le ulteriori risultanze investigative (video riprese e intercettazioni dalle quali è emerso che il ricorrente, sia da libero che successivamente alla sua detenzione, a decorrere dal 19/7/2022, ha continuato a gestire l’impresa Bellinvia, confiscatagli sia in sede di prevenzione che ai sensi dell’art. 12-sexies legge n. 356 del 1992, avvalendosi della moglie, del figlio NOME e del fratello NOME, i quali, in concorso con l’amministratore giudiziario, si sono appropriati delle entrate derivanti dalla vendita in nero dei pezzi di ricambio, destinandole, in parte, al mantenimento dei sodali in carcere (cfr. pagina 25).
Inequivocabile, in tal senso, è la vicenda riportata alle pagine 21 e ss. dell’ordinanza impugnata, in merito al mancato acquisto da parte dell’amministratore giudiziario COGNOME di un fondo attiguo ai locali dell’impresa
benché autorizzato dal Giudice, in esecuzione di una precisa disposizione del ricorrente.
Tale persistente dominio sull’impresa confiscata è stato letto, con argomentazioni non manifestamente illogiche, quale sintomo inequivoco della persistente capacità intimidatrice del sodalizio e del suo potere di controllo del territorio, a dispetto dei provvedimentg,ablatori emessi dall’Autorità giudiziaria.
Contrariamente a quanto assume il ricorrente, il Tribunale ha tenuto conto dell’obiezione difensiva relativa alla pretesa rilevanza delle dichiarazioni rese dal collaboratore COGNOME, secondo il quale COGNOME avrebbe abbandonato il sodalizio nel 1992, e, con argomentazioni non manifestamente illogiche, ne ha escluso l’attendibilità perché in contrasto sia con il giudicato cautelare, che aveva riconosciuto l’appartenenza di COGNOME al sodalizio mafioso dal 1986 al 2011, sia con il contenuto delle conversazioni, intercettate nel 2020, in cui, come già detto, si faceva riferimento a NOME quale «uomo d’onore».
A fronte degli elementi sopra descritti, dai quali è stata desunta la perdurante partecipazione del ricorrente al sodalizio mafioso, risulta, infine, priva di pregio la censura relativa alla omessa valutazione del decreto di archiviazione che, come afferma lo stesso ricorrente, riguardava la sola valenza sintomatica delle condotte estorsive di cui ai capi 1) e 2).
2. Il secondo motivo è inammissibile in quanto generico e manifestamente infondato. Il Tribunale, infatti, con motivazione persuasiva ed immune da vizi logici o giuridici, completamente ignorata dal ricorrente, ha adeguatamente argomentato in merito al giudizio di gravità indiziaria, ponendo l’accento sia sulle velate minacce veicolate a COGNOME al fine di costringerlo alle dimissioni che, in particolare, sul profitto conseguito dal ricorrente, consistito nella GLYPH rinuncia da parte di COGNOME, costretto a licenziarsi, allo stipendio e alla liquidazione (cfr. l pagine da 9 a 12).
3. Il terzo motivo è fondato.
Sulla base della ricostruzione degli elementi indiziari a carico del ricorrente, non specificamente censurata dal motivo in esame, risulta che costui ha fatto contattare da un terzo l’imprenditore COGNOME che aveva assunto COGNOME, facendogli capire, con linguaggio allusivo, che doveva porre fine a tale rapporto di lavoro. Risulta, inoltre, che, dopo qualche resistenza, COGNOME aderiva alla richiesta e, sentito a sommarie informazioni, pur non chiarendo le ragioni per cui non aveva rinnovato il contratto a COGNOME ammetteva di essere stato contattato e di essere a conoscenza che NOME non vedeva “di buon occhio” tale rapporto di lavoro e che la sua prosecuzione poteva essere fonte di problemi.
Ebbene, rileva il Collegio che da tale ricostruzione non emergono con certezza gli elementi costitutivi del reato di estorsione, così come provvisoriamente contestato al capo 2), e, particolare, gli elementi della minaccia e del danno ingiusto.
In particolare, quanto a tale ultimo elemento, il Tribunale, con una motivazione particolarmente sintetica, si è limitato a fare riferimento al danno ingiusto patrimoniale futuro correlato al fatto che COGNOME è stato privato della chance di rinnovo del contratto.
Tale affermazione, tuttavia, risulta meramente apodittica e distonica rispetto al principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 30016 del 28/03/2024, COGNOME, Rv. 286656, in cui il Supremo Consesso ha chiarito che, in tema di estorsione, nella nozione di danno patrimoniale rilevante ai fini della configurabilità del delitto rientra anche la perdita di una seria consistente possibilità di conseguire un bene o un risultato economicamente valutabile, la cui sussistenza deve essere provata sulla base della nozione di causalità propria del diritto penale.
In particolare, le Sezioni Unite hanno chiarito che, nel rispetto dei principi di tassatività e prevedibilità della norma incriminatrice, la nozione di chance, sulla scia di quanto già affermato dalla giurisprudenza civile, va circoscritta alle sole ipotesi in cui sussista una “seria e consistente possibilità di ottenere il risultat sperato”. Da tale nozione deve essere, dunque, esclusa ogni situazione che appaia in astratto, o solo genericamente, idonea ad incidere in termini negativi sulla sfera degli interessi economici di una persona (quali, ad esempio, la frustrazione di mere aspettative di fatto, o la perdita di scarse, se non addirittura nulle, possibilità arricchimento o consolidamento dell’assetto economico-patrimoniale dell’interessato). Si è, pertanto, affermato che, ai fini della configurazione della fattispecie penale, occorre dimostrare in termini di certezza l’esistenza di un nesso causale tra la condotta colpevole e l’evento di danno, inteso quale possibilità perduta di ottenere un risultato migliore o più favorevole, distinguendo i profili della seria ed apprezzabile possibilità dalla mera speranza o dalla generica aspettativa del conseguimento di un risultato positivo.
Alla luce di quanto sopra esposto, l’ordinanza impugnata va annullata, limitatamente al reato di cui al capo 2), con rinvio per nuovo giudizio sulla gravità indiziaria al Tribunale di Messina, competente ai sensi dell’art. 309, comma 7, cod. proc. pen.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente all’imputazione di cui al capo 2)
rinvia per nuovo giudizio su tale capo al Tribunale di Messina competente ai sens dell’art. 309, co. 7, c.p.p. Manda alla ncelleria per gli adempimenti di cui a
1-ter,
94, comma disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 4 luglio 2025
Il Consigliere estenser-a
Il Presidente