Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 14028 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 14028 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto dalla parte civile COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
nel procedimento a carico di COGNOME NOME, nato a Palermo il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/9/2022 emessa dalla Corte di appello di Palermo visti gli atti, la sentenza e il ricorso; udita la relazione del consigliere NOME COGNOME; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento con rinvio ai soli effetti civili; udito l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, difensore della parte civile ricorrente, il quale conclude per l’accoglimento del ricorso; udito l’AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, sostituto processuale dell’AVV_NOTAIO NOME COGNOME, difensore di COGNOME NOME, il quale chiede che il ricorso sia dichiarato
inammissibile o, comunque, rigettato.
RITENUTO IN FATTO
Il Tribunale di Palermo condannava NOME COGNOME in ordine al reato di cui agli artt. 110 e 388, comma quinto, cod. pen. disponendo anche la condanna al risarcimento dei danni arrecati alla parte civile RAGIONE_SOCIALE da liquidarsi in separata sede, mentre rigettava la richiesta risarcitoria avanzata in proprio da NOME COGNOME, all’epoca dei fatti socio unico della RAGIONE_SOCIALE
La condanna di NOME COGNOME veniva disposta nonostante fosse stata esclusa la qualità di amministratore di fatto in capo all’imputato dell’omonima società, nel cui ambito era maturato il reato di cui all’art. 388, cod. pen. Il giudice di primo grado, infatti, riteneva la responsabilità penale dell’imputato quale concorrente ex art. 110 cod. pen., facendone discendere anche la responsabilità risarcitoria.
Nel corso del giudizio, interveniva il fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, cui seguiva la costituzione quale parte civile del curatore fallimentare.
La Corte di appello dichiarava la prescrizione del reato, confermando le statuizioni civili, sia in relazione al riconoscimento del danno in favore della NOME COGNOME, sia con riguardo al diniego del risarcimento richiesto in proprio da NOME COGNOME, inoltre veniva negata la richiesta provvisionale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso, in proprio e quale legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE, NOME COGNOME, nel cui interesse sono stati formulati tre motivi di ricorso.
2.1. Con il primo motivo, deduce violazione degli artt. 388 cod. pen., 2639 e 2394 cod.civ., nonché vizio di motivazione in ordine alla esclusione della qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE nei confronti dell’imputato.
Sostiene il ricorrente che i giudici di merito avevano erroneamente valutato il compendio probatorio, avendo immotivatamente ritenuto non attendibili le fonti testimoniali addotte dalla parte civile, omettendo anche di considerare che la moglie dell’imputato – formalmente legale rappresentante della società gestita da quest’ultimo – nella sua deposizione aveva manifestato palesemente di non essere a conoscenza delle vicende societarie. Una corretta valutazione avrebbe dovuto condurre la Corte di appello a qualificare l’imputato quale amministratore di fatto e riconoscerne la responsabilità civile ex art. 2394 cod.civ.
2.2. Con il secondo motivo, deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’esclusione del diritto al risarcimento richiesto iure proprio. Il ricorrente ribadisce che, per effetto della sottrazione al pagamento di quanto
dovuto da parte dell’imputato alla RAGIONE_SOCIALE, si era visto costretto a ricorrere al credito bancario per far fronte alle esigenze societarie, prestando fideiussioni personali.
La condotta elusiva dell’imputato, pertanto, avrebbe comportato un danno morale e patrimoniale direttamente ricadente nella sfera personale della parte civile, distinto e ulteriore rispetto al danno patito dalla società creditrice.
2.3. Con il terzo motivo, contesta il mancato riconoscimento della condanna provvisionale, quanto meno in favore della RAGIONE_SOCIALE, evidenziando che il credito vantato dalla società, rimasto inadempiuto per effetto della condotta illecita, era agevolmente quantificabile in non meno di €73.000.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è fondato nei limiti di seguito specificati.
Il primo motivo di ricorso, con il quale si censura il mancato riconoscimento della qualifica di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE in capo all’imputato, è inammissibile per difetto di interesse.
La parte civile può proporre ricorso con esclusivo riferimento agli aspetti dell’accertamento che incidono direttamente sulla sua pretesa risarcitoria.
Nel caso di specie, è del tutto irrilevante che l’imputato non sia stato riconosciuto quale amministratore di fatto della società sottrattasi all’adempimento nei confronti della parte civile, posto che i giudici di merito hanno ugualmente individuato l’imputato quale concorrente nel reato, imputandogli la condotta illecita, tant’è che ne è conseguita anche la condanna al risarcimento del danno.
A ben vedere, il presupposto per l’accoglimento della domanda risarcitoria non va individuato nella qualifica formale assunta dall’imputato all’interno della società, bensì nella commissione di un fatto illecito ai sensi dell’art. 2043 cod.civ., consistente in una condotta, omissiva o comissiva, che ha arrecato un illecito pregiudizio a terzi.
Gli estremi dell’illecito civile, pertanto, sono stati pienamente ritenuti sussistenti, sulla base della mera constatazione che l’imputato, a prescindere dalla qualifica di amministratore di fatto, ha materialmente commesso le azioni che hanno condotto all’elusione dell’adempimento dell’obbligazione gravante sulla RAGIONE_SOCIALE
A fronte della riconosciuta responsabilità civile dell’imputato, la parte civile non ha alcun interesse concreto a vederne riconosciuta la qualifica di
amministratore di fatto, posto che da questa non deriverebbero conseguenze risarcitorie ulteriori rispetto a quelle già accertate.
Il secondo motivo di ricorso, relativo al mancato riconoscimento di u danno patito iure proprio da NOME COGNOMECOGNOME è fondato.
Il ricorrente sostiene di aver subito un danno morale, diretta conseguen della commissione del reato, nonché un danno patrimoniale, derivante dal fatt che la condotta elusiva e la conseguente inadempienza imputabile alla RAGIONE_SOCIALE aveva determinato una carenza di liquidità da parte della s creditrice – RAGIONE_SOCIALE – di cui era socio unico e fid
Ne era conseguita la necessità di ricorrere al credito bancario, i cui e negativi si erano riverberati non solo nei confronti della società, ma anche a c del suo socio unico.
Invero, la motivazione resa dalla Corte di appello su tali questioni pres aspetti di manifesta contraddittorietà, nella misura in cui da un lato riconosc NOME COGNOME era socio unico e fideiussore della RAGIONE_SOCIALE, escludere che la sottrazione all’adempimento delle obbligazioni vantate dal predetta società non avrebbero direttamente causato un pregiudizio diverso e ulteriore rispetto a quello azionato dalla società in proprio.
La sentenza impugnata realizza una indebita sovrapposizione tra il profil dell’an debeatur con quello del quantum, posto che ritiene non adeguatamente dimostrata «l’incidenza esatta della condotta fraudolenta dell’odierno imput sulla situazione complessiva della società», per poi escludere che la condo illecita abbia causato un danno risarcibile nei confronti del socio.
Invero, la sussistenza di un danno risarcibile, quanto meno sotto il profilo danno non patrimoniale, è difficilmente contestabile, posto che l’elusi dell’adempimento da parte dell’imputato ha necessariamente cagionato ripercussioni negative sulla gestione della società creditrice, anc considerazione dell’ingente importo del credito vantato.
Né può affermarsi che l’unico soggetto ad aver subito un danno sia stata società creditrice, posto che la ristretta compagine sociale e la sosta identificazione con il socio unico hanno presumibilmente determinato effett deleteri anche a carico di quest’ultimo.
A tal riguardo, è opportuno sottolineare come la giurisprudenza civil riconosca, in astratto, la possibilità che qualora terzi arrechino danno a società di capitali, il socio è legittimato a domandare il ristoro del pregiud lui subito ove non risarcibile alla società perché riguardante la sfera personal esempio, diritto all’onore od alla reputazione) o la perdita di opportunità pers
economiche e lavorative dello stesso socio o la riduzione del cd. merito creditizio di quest’ultimo (Cass. civ., Sez.3, n. 16581 del 20/6/2019, Rv. 654559).
A maggior ragione è ipotizzabile la sussistenza di un danno non patrimoniale nel caso in cui l’elusione dell’adempimento dovuto nei confronti della società sia conseguito alla commissione di un reato, i cui effetti sono ricaduti anche sulla sfera personale del socio. A tal riguardo deve valorizzarsi il fatto che la RAGIONE_SOCIALE, data la ristretta base sociale, era una diretta promanazione del socio unico il quale, di conseguenza, è plausibile che possa aver subito un danno non patrimoniale iure proprio (quanto meno in termini di paterni e sofferenze legati alla inevitabile difficoltà economica indotta dall’inadempimento), ulteriore e distinto rispetto al danno patrimoniale subito dalla società.
Quanto detto trova conferma nel principio secondo cui anche l’inadempimento contrattuale può determinare un danno morale (Cass.civ., Sez.3, n. 21999 del 24/10/2011, Rv.619596), affermazione ancor più valida in presenza di una condotta che non si limiti al mero inadempimento, assumendo una valenza più ampia e tale da integrare reato.
3.1. Traendo le conclusioni da quanto detto, ne consegue che la Corte di appello non ha adeguatamente distinto tra il danno subito dalla società RAGIONE_SOCIALE e il danno dedotto iure proprio da NOME COGNOME, omettendo di considerare i profili differenziali sussistenti tra il danno della società e quello del socio unico. In particolare, con riguardo al danno morale, la Corte di appello ha fornito una motivazione apparente, escludendo la sussistenza di tale voce senza fornire alcuna reale spiegazione della ragione sottesa a tale decisione.
Con riguardo al danno patrimoniale iure proprio, la sentenza impugnata contiene una motivazione contraddittoria, che da un lato sovrappone i profili dell’an e del quantum debeatur, e dall’altro omette di valutare la possibilità stessa che il socio possa aver risentito un autonomo pregiudizio patrimoniale, diretta conseguenza della commissione del reato.
Tali carenze motivazionali determinano la necessità dell’annullamento con rinvio, dinanzi al giudice civile, il quale dovrà provvedere a riesaminare i soli aspetti concernenti il mancato riconoscimento dei danni richiesti da NOME COGNOME iure proprio.
Il terzo motivo di ricorso è manifestamente infondato per un duplice motivo. In primo luogo, si rileva che li mancato riconoscimento della provvisionale non è suscettibile di gravame, poiché trattasi di una facoltà discrezionale ed insindacabile del giudice e non esige dettagliata motivazione (Sez.2 n.9562/90 Rv 184783).
A ciò si aggiunge che la provvisionale è stata riconosciuta nei confronti d fallimento della società RAGIONE_SOCIALE, sicchè il socio – NOME COGNOME è legittimato a rappresentare la società fallita.
Alla luce ditali considerazioni, la sentenza impugnata deve essere annulla con rinvio al giudice civile, limitatamente all’esame della domanda risarcito presentata in proprio da NOME COGNOMECOGNOME
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente al risarcimento dei danni in favore di COGNOME NOME e rinvia per il relativo giudizio al giudice competente per valore in grado di appello.
Dichiara inammissibile nel resto il ricorso. Così deciso il 13 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Pre ide te