Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 30621 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 30621 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a CATANIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 28/03/2024 del TRIB. LIBERTA di CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del PG;
RITENUTO IN FATTO
Con l’ordinanza in epigrafe indicata, il Tribunale di Catania, in sede di appello cautelare proposto dal Pubblico ministero, ha applicato a NOME COGNOME la misura della custodia cautelare in carcere per il reato di cui all’art. d.P.R. 309/90 (capo 14 della imputazione provvisoria).
Ricorre per cassazione l’indagato, a mezzo del difensore, lamentando (in sintesi, giusta il disposto di cui all’art. 173, comma 1, disp. att. cod. proc. pen quanto segue.
Violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui non si è rilevato il requisito della desumibilità dagli atti del reato associativo oggetto del seconda ordinanza al tempo del rinvio a giudizio (decreto di giudizio immediato del 18.3.2022) per i fatti connessi di cui alla prima ordinanza custodiale (arresto del 10.2.2022).
Deduce che erroneamente il Tribunale ha motivato la desumibilità dagli atti dei fatti relativi al reato associativo, muovendo unicamente dal dato materiale del deposito (15.12.2022) della Comunicazione notizia di reato in epoca successiva all’arresto e al rinvio a giudizio del primo procedimento, nonostante dagli atti di indagine il PM avesse già avuto piena contezza dei fatti relativi a reato associativo, con riguardo alle intercettazioni richieste.
Rileva che illogicamente il Tribunale ha desunto come l’operato del COGNOME per la consorteria criminale fosse proseguito anche dopo l’arresto, per aver ricevuto assistenza materiale e consigli legali tramite il figlio, latore de direttive impartite da COGNOME NOMENOME
II) Violazione di legge e vizio di motivazione, nella parte in cui è stato ritenuto ammissibile l’appello del PM in carenza del devolutum sulle esigenze cautelari, con la conseguenza che l’appello del PM avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per carenza di interesse.
Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Con riferimento al primo motivo, deve qui ribadirsi il principio per cui, in tema di c.d. “contestazioni a catena”, la retrodatazione della decorrenza del termine di custodia cautelare prevista dall’art. 297, comma 3, cod. proc. pen. presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza coercitiva, e tale condizione non sussiste nell’ipotesi in cui l’ordinanza successiva abbia ad oggetto la contestazione del reato associativo con formula “aperta”, che indichi la permanenza del reato anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, a meno che gli elementi acquisiti non consentano di ritenere l’intervenuta cessazione della permanenza quanto meno alla data di emissione della prima ordinanza (Sez. 2, n. 16595 del 06/05/2020, Rv. 279222 – 01).
Nella specie, è pacifico che il reato associativo ex art. 74 cit. oggetto di indagine risulta contestato “fino al luglio 2022”, quindi in riferimento ad epoca successiva alla esecuzione della prima ordinanza di custodia cautelare nei confronti del COGNOME, arrestato il 10.2.2022 in relazione al delitto di cui all 73 d.P.R. 309/90.
In particolare, l’ordinanza impugnata ha congruamente motivato in ordine al profilo che attiene alla persistenza del reato associativo fino al luglio 2022 avendo insindacabilmente riscontrato come l’attività associativa del prevenuto fosse effettivamente proseguita anche dopo il suo arresto, avvenuto quando il medesimo era di ritorno dalla trasferta a Napoli, dove si era recato per pagare i trafficanti dopo avere recuperato il denaro anche da altri associati malavitosi come COGNOME NOME, del clan COGNOME–COGNOME, che aveva finanziato l’acquisto dello stupefacente; nella sua abitazione, infatti, erano stati trovati g 490 di marijuana, materiale per il taglio e il confezionamento, scatole provenienti dalla Spagna con all’interno buste con residui di sostanza stupefacente (analoghi a quelli sequestrati nel deposito del sodalizio a San Pietro Clarenza).
Il Tribunale ha evidenziato che subito dopo l’arresto i responsabili dell’associazione, avvisati dell’accaduto, si erano adoperati per fare sparire ulteriori tracce della loro attività criminale e per prestare assistenza al NOME tramite il di lui figlio, con una serie di iniziative che sono state logicamen desunte dalle conversazioni intercettate alle pagg. 2 e 3 dell’ordinanza impugnata e che hanno indotto i giudici di merito ad affermare, in maniera plausibile, che il legame solidaristico del NOME si era protratto dopo l’arresto.
In definitiva, rispetto alla censura articolata dal ricorrente in ordin all’asserita sussistenza del requisito della desumibilità dagli atti del reat associativo in epoca antecedente alla prima ordinanza cautelare, appare assorbente la considerazione che il Tribunale ha legittimamente accertato la sussistenza di gravi elementi indiziari in ordine al reato di cui all’art. 74 cit epoca successiva all’arresto del COGNOME in data 10.2.2022 (per il reato di cui all’art. 73 cit.), con conseguente inapplicabilità, nel caso, del meccanismo di cui all’art. 297, comma 3, cod. proc. pen., il quale presuppone che i fatti oggetto dell’ordinanza rispetto alla quale operare la retrodatazione siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima ordinanza cautelare.
Quanto al secondo motivo di ricorso, si osserva come nel caso si proceda per il delitto di cui all’art. 74 cit., sicché si deve ritenere che la decisione Tribunale sia in linea con l’insegnamento della Corte regolatrice secondo cui, in tema di misure cautelari personali, l’impugnazione del pubblico ministero avverso il provvedimento di diniego di emissione dell’ordinanza cautelare per l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza devolve al giudice di appello la verifica di tutte le condizioni richieste per l’adozione della misura prospettat nella originaria richiesta (Sez. 6, n. 5332 del 06/12/2023 – dep. 2024, Rv. 286061 – 01; in applicazione del principio, la Corte ha ritenuto ammissibile l’appello con cui il pubblico ministero si era limitato a contestare il mancato riconoscimento della gravità indiziaria, senza nulla dedurre in ordine alle esigenze cautelari rappresentate nella richiesta, ma non considerate dal giudice per le indagini preliminari).
Nella specie, peraltro, le ragioni di appello del PM a sostegno dell’attualità e concretezza delle esigenze cautelari possono ritenersi implicitamente sussistenti, trattandosi di misura richiesta con riguardo a delitto per il quale opera la presunzione di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. (cfr., sul punto, Sez. 6, n. 46129 del 25/11/2021, Rv. 282355 – 01).
Stante l’inammissibilità del ricorso, e non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte cost. sent. n. 186/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria, che si stima equo quantificare nella misura indicata in dispositivo.
Va, inoltre, disposto che la Cancelleria provveda agli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 28 reg. esec. cod. proc. pen.
Così deciso il 13 giugno 2024