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Custodia cautelare: no retrodatazione se reato continua

Un individuo, già detenuto per spaccio, si vede applicare una nuova misura per reato associativo. Fa ricorso chiedendo di far partire i termini della seconda misura dalla data della prima. La Cassazione dichiara il ricorso inammissibile: la retrodatazione della custodia cautelare non è possibile se l’attività del gruppo criminale è continuata anche dopo il primo arresto, interrompendo così il presupposto di anteriorità del fatto.

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Pubblicato il 8 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Custodia Cautelare: Quando Non Si Applica la Retrodatazione?

La corretta gestione dei termini della custodia cautelare è un pilastro del diritto processuale penale, a garanzia della libertà personale dell’indagato. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sul meccanismo delle cosiddette “contestazioni a catena”, specificando quando non è possibile retrodatare la decorrenza di una misura cautelare. Il caso riguarda un reato associativo la cui attività è proseguita anche dopo un primo arresto del soggetto per un reato connesso, interrompendo di fatto il presupposto per l’applicazione del beneficio.

I Fatti del Caso

Un soggetto veniva arrestato e sottoposto a custodia cautelare in carcere per il reato di traffico di stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90). Successivamente, emergeva il suo coinvolgimento in un’associazione a delinquere finalizzata allo stesso traffico illecito (art. 74 d.P.R. 309/90), e veniva emessa una seconda ordinanza di custodia cautelare per questo nuovo e più grave reato. La difesa dell’indagato proponeva ricorso per cassazione, lamentando principalmente due violazioni di legge. In primo luogo, sosteneva che i termini della seconda misura avrebbero dovuto essere retrodatati, facendoli decorrere dalla data del primo arresto, poiché gli elementi relativi al reato associativo erano, a suo dire, già desumibili dagli atti in quel momento. In secondo luogo, contestava l’ammissibilità stessa dell’appello del Pubblico Ministero che aveva portato all’applicazione della seconda misura, ritenendo che mancasse una specifica doglianza sulle esigenze cautelari.

La Questione Giuridica sulla Custodia Cautelare

Il cuore della questione sottoposta alla Suprema Corte riguardava l’interpretazione dell’art. 297, comma 3, del codice di procedura penale. Questa norma disciplina la retrodatazione dei termini di custodia cautelare nel caso di più ordinanze emesse per fatti diversi ma connessi. La domanda era: la retrodatazione si applica anche quando il reato oggetto della seconda ordinanza (in questo caso, il reato associativo) è un reato permanente la cui consumazione è proseguita anche dopo l’esecuzione della prima misura cautelare?

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, fornendo motivazioni chiare su entrambi i punti sollevati dalla difesa.

Sulla Retrodatazione dei Termini

Il Collegio ha ribadito un principio fondamentale: la retrodatazione presuppone che i fatti oggetto della seconda ordinanza siano stati commessi anteriormente all’emissione della prima. Nel caso di specie, il reato associativo era stato contestato come perdurante “fino a luglio 2022”, ovvero in un’epoca successiva al primo arresto avvenuto nel febbraio 2022. Il Tribunale aveva correttamente evidenziato come l’attività criminale dell’indagato fosse di fatto proseguita anche dopo la sua carcerazione, attraverso i contatti mantenuti con l’esterno (tramite il figlio) per dare direttive e ricevere assistenza dal sodalizio. Questa persistenza del vincolo associativo e dell’attività criminale anche dopo l’arresto è l’elemento chiave che impedisce l’applicazione della retrodatazione. La condizione di anteriorità del fatto, richiesta dalla norma, non era quindi soddisfatta.

Sull’Ammissibilità dell’Appello del PM

Quanto al secondo motivo, la Corte ha osservato che per il delitto di associazione finalizzata al traffico di stupefacenti opera la presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari prevista dall’art. 275, comma 3, c.p.p. Di conseguenza, quando il Pubblico Ministero impugna un provvedimento di diniego di una misura cautelare basato sulla presunta insussistenza dei gravi indizi, l’appello trasferisce al giudice superiore la cognizione su tutti i presupposti per l’applicazione della misura, comprese le esigenze cautelari (la cui sussistenza, in questo caso, è presunta dalla legge). L’appello del PM era, pertanto, pienamente ammissibile.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento restrittivo sull’applicazione della retrodatazione della custodia cautelare. Viene stabilito con nettezza che se un reato permanente, come quello associativo, prosegue nella sua consumazione anche dopo l’applicazione di una prima misura per un fatto connesso, non è possibile unificare i termini di durata. Questa decisione sottolinea l’importanza di accertare il momento esatto di cessazione della condotta criminosa e rafforza la logica del sistema cautelare, che mira a neutralizzare una pericolosità sociale dimostrata come attuale e persistente. La condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria ha suggellato l’inammissibilità del ricorso.

È possibile retrodatare la decorrenza della custodia cautelare per un reato associativo se l’attività criminale prosegue dopo un primo arresto per un reato connesso?
No. La sentenza chiarisce che la retrodatazione prevista dall’art. 297, comma 3, c.p.p. non si applica se il reato associativo, contestato con una seconda ordinanza, è proseguito anche dopo l’emissione del primo provvedimento cautelare, poiché viene a mancare il presupposto dell’anteriorità del fatto.

L’appello del Pubblico Ministero contro il diniego di una misura cautelare è ammissibile se contesta solo la gravità indiziaria e non le esigenze cautelari?
Sì, è ammissibile. La Corte afferma che l’impugnazione del PM devolve al giudice d’appello la verifica di tutte le condizioni per l’adozione della misura, comprese le esigenze cautelari, specialmente quando per il reato in questione, come l’associazione a delinquere, opera una presunzione legale di pericolosità.

Qual è la conseguenza della prosecuzione del reato associativo dopo l’arresto di un membro?
La prosecuzione dell’attività criminale anche dopo l’arresto dimostra la persistenza del reato e del vincolo solidaristico con il gruppo. Questo fatto impedisce di considerare il reato come commesso interamente prima della prima ordinanza cautelare, rendendo così inapplicabile il meccanismo di retrodatazione dei termini di custodia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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