Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 35818 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 35818 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/06/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a SALERNO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 20/02/2024 della CORTE APPELLO di SALERNO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOMECOGNOME lette/serrtite le conclusioni del PG
Il Procuratore generale, NOME COGNOME, chiede dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
NOME ricorre avverso l’ordinanza della Corte di appello di Salerno del 20 febbraio 2024 che, quale giudice dell’esecuzione, ha rigettato la richiesta di applicazione del criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen. tra le seguenti pene:
anni ventitré di reclusione, di cui alla sentenza n. 10 del certificato del casellario, in ordine al reato commesso il 4 maggio 1993;
anni sedici di reclusione, di cui alla sentenza n. 19 del casellario emessa della Corte di appello di Salerno in data 15 luglio 2022, in ordine al reato commesso da aprile 2017 a ottobre 2018, pena tuttora in corso di espiazione.
Il giudice dell’esecuzione ha evidenziato che l’istanza non poteva essere accolta, posto che la pena sub a era stata interamente espiata (dal 10 gennaio 1997 al 23 dicembre 2013) prima della commissione del reato sub b.
Il ricorrente denuncia inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli arti. 78 e 80 cod. pen., e vizio di motivazione della sentenza impugnata, perché il giudice dell’esecuzione avrebbe omesso di considerare che il legislatore ha stabilito che la pena detentiva non può comunque eccedere i trenta anni di reclusione, a prescindere dal fatto che l’interessato abbia o meno espiato la pena di cui alla prima condanna, posto che nel cumulo devono essere inserite non solo le pene che non risultano ancora espiate alla data di commissione dell’ultimo reato, ma anche quelle già espiate, che possono, in ogni caso, avere un riflesso sul criterio moderatore di cui all’art. 78 cod. pen.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Giova in diritto premettere che l’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. limita rigorosamente la possibilità di computare la custodia cautelare subita, o la pena espiata per reato diverso, al dato cronologico che la custodia e la espiazione anzidette siano successive alla commissione del reato per il quale deve essere determinata la pena da eseguire.
La giurisprudenza ha più volte rappresentato che la ratio di tale limitazione, costantemente riaffermata, è quella di non consentire ad alcuno di fruire di crediti di pena che possano agevolare la commissione di fatti criminosi nella consapevolezza dell’assenza di conseguenze sanzionatorie.
Lo sbarramento temporale, fissato dalla indicata norma, è stato anche ritenuto non in contrasto con gli artt. 3, 13, primo comma, e 27, terzo comma, Cost. dalla Corte costituzionale che, con sentenza n. 198 del 2014, ha dichiarato non fondata la sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen., rilevando che detto sbarramento «è imposto dall’esigenza di evitare che l’istituto della fungibilità si risolva in uno stimolo commettere reati, trasformando il pregresso periodo di carcerazione in una riserva di impunità’; esso risponde inoltre, prima ancora, alla fondamentale esigenza logico-giuridica che la pena segua, e non già preceda, il reato, essendo questa la condizione indispensabile affinché la pena possa esplicare le funzioni sue proprie, e particolarmente quelle di prevenzione speciale e rieducativa» (massima n. 38072).
In tema di esecuzione delle pene concorrenti inflitte con condanne diverse, quindi, il principio dell’unità del rapporto esecutivo, che mira ad evitare al condannato un possibile pregiudizio derivante dalla distinta esecuzione delle sanzioni penali irrogate per una pluralità di reati, è riferibile alle pene comminate per reati commessi prima dell’inizio della detenzione, mentre si deve procedere ad ulteriore cumulo, non più sottoposto alle limitazioni previste dall’art. 78 cod. pen., comprendente, oltre alla pena inflitta per il nuovo reato, la parte risultante dal cumulo precedente, non ancora espiata alla data del nuovo reato solo qualora durante l’espiazione di una determinata pena o dopo che l’esecuzione di quest’ultima sia stata interrotta, il condannato commetta un nuovo reato.
Pertanto, in tema di esecuzione delle pene concorrenti, nel caso di reati commessi in tempi diversi con periodi di carcerazione già sofferti, devono essere ordinati cronologicamente i reati e i periodi ininterrotti di carcerazione e detratto ogni periodo dal cumulo (parziale) delle pene per i reati commessi in precedenza, applicando il criterio di cui all’art. 78 cod. pen. nel singolo cumulo parziale, sicché non è consentita una cumulabilità globale che comporterebbe l’imputazione di periodi di carcerazione anteriori a pene inflitte per reati commessi successivamente, in violazione dell’art. 657, comma 4, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 47799 del 23/06/2023, Piccolo, Rv. 285537).
Si consideri, infatti, che la previsione dell’art. 78, comma primo, n. 1, cod. pen., secondo la quale la pena da applicare nel caso di concorso di reati che importano pene detentive temporanee non può superare il limite massimo di trent’anni di reclusione, funge da criterio moderatore, nel caso di reiterazione di reati, con riguardo alla somma tra il residuo della pena da espiare all’atto della commissione (in stato di libertà o in detenzione) di ogni nuovo reato e la pena per quest’ultimo inflitta, ma non impedisce che, nel corso della vita, un soggetto possa
essere detenuto per un tempo complessivamente eccedente tale limite (Sez. 1, n. 37635 del 02/07/2014, COGNOME, Rv. 260597).
Nel caso in esame, essendo stata già espiata nell’anno 2013 la pena per reato commesso il 4.5.1993, la stessa non avrebbe potuto far parte di un cumulo successivo comprensivo della pena – ancora in corso di espiazione – di anni 16 d reclusione inflitta nel 2022 per reati commessi negli anni 2017 e 2018.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., ne consegue la condanna d ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la par abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa d inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Così deciso il 12/06/2024