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Continuazione tra reati: quando è applicabile?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati. L’ordinanza chiarisce che il riconoscimento di un unico disegno criminoso tra un reato associativo e i singoli reati-fine è una valutazione di fatto riservata al giudice di merito e possibile solo in casi eccezionali, quando i singoli delitti sono stati programmati fin dalla costituzione del sodalizio.

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Pubblicato il 27 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: la Cassazione Chiarisce i Limiti tra Reato Associativo e Reati Fine

L’istituto della continuazione tra reati è un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica, specialmente in contesti complessi come quelli legati alla criminalità organizzata. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce i confini applicativi di questo istituto, in particolare nel rapporto tra il reato associativo e i singoli reati-fine.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato con tre distinte sentenze per reati legati agli stupefacenti, tra cui la partecipazione a un’associazione criminale (art. 74 D.P.R. 309/90) e specifici episodi di spaccio (art. 73 D.P.R. 309/90), presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione. La richiesta era volta a ottenere l’unificazione delle pene ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, sostenendo l’esistenza di un’unica matrice delittuosa, ovvero la continuazione tra reati.

La Corte d’Appello di Napoli, in funzione di Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza. Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione contraddittoria, anche in confronto a decisioni prese per un coimputato.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla Continuazione tra Reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile per manifesta infondatezza. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per riaffermare un principio consolidato in giurisprudenza: la configurabilità della continuazione tra reati associativi e i singoli reati-fine è un’ipotesi eccezionale e non la regola.

Il ricorso è stato considerato un tentativo di ottenere dalla Corte di Cassazione una rivalutazione del merito dei fatti, operazione preclusa in sede di legittimità. La Corte ha stabilito che la valutazione del giudice di merito era stata approfondita, logica e basata su un’analisi concreta degli episodi delittuosi, rendendo la sua decisione insindacabile.

Le Motivazioni della Decisione

Il cuore della pronuncia risiede nella distinzione concettuale tra il programma generico di un’associazione criminale e l’ideazione specifica dei singoli delitti.

Di norma, al momento della costituzione di un sodalizio criminoso, i reati-fine (come le singole cessioni di droga) sono previsti solo in via generica. Manca, in quella fase iniziale, un’identificazione, anche di massima, dei singoli fatti da commettere. Questa genericità contraddice il presupposto fondamentale della continuazione tra reati, che richiede un’unica e originaria ideazione comune che abbracci tutti gli episodi delittuosi.

La Corte, tuttavia, non esclude a priori questa possibilità, delineando un’ipotesi eccezionale. Il vincolo della continuazione può sussistere solo se si dimostra che, fin dalla costituzione dell’associazione o dall’adesione ad essa, un determinato soggetto aveva già individuato e programmato uno o più specifici fatti di reato, che poi ha effettivamente commesso. In altre parole, i reati-fine devono essere stati pianificati nel dettaglio sin dall’inizio, e non essere semplice attuazione del programma generico del gruppo.

La Cassazione ha chiarito che accertare se ricorra questa eccezionale ipotesi è una quaestio facti, ovvero una questione di fatto. La sua soluzione è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, il quale deve analizzare approfonditamente gli episodi, la loro genesi e le modalità esecutive. La Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, se questa è sorretta da una motivazione logica e coerente.

Le Conclusioni

L’ordinanza consolida un orientamento giurisprudenziale cruciale in materia di esecuzione penale e criminalità organizzata. La decisione implica che, per ottenere il beneficio della continuazione tra reati associativi e reati-fine, non è sufficiente dimostrare la propria appartenenza a un’associazione criminale. È necessario fornire la prova rigorosa che i singoli delitti non furono decisioni estemporanee o mere attuazioni del programma associativo, ma erano parte di un piano specifico e predeterminato fin dal principio.

Questa pronuncia riafferma la distinzione tra il giudizio di merito, incentrato sull’accertamento dei fatti, e quello di legittimità, limitato al controllo della corretta applicazione della legge e della logicità della motivazione. Per gli operatori del diritto, ciò significa che le istanze in sede esecutiva devono essere supportate da elementi fattuali concreti e non da mere allegazioni, poiché la valutazione del giudice di merito, se ben motivata, difficilmente potrà essere scalfita in Cassazione.

È possibile riconoscere la continuazione tra un reato associativo e i singoli reati commessi dal gruppo?
Di regola no. È possibile solo in via eccezionale, se viene provato che i singoli reati-fine erano già stati specificamente programmati e individuati al momento della costituzione dell’associazione o dell’adesione ad essa.

Chi ha il compito di decidere se sussiste la continuazione tra reati in un caso concreto?
La decisione spetta al giudice di merito (come la Corte d’Appello in funzione di giudice dell’esecuzione), poiché si tratta di una ‘quaestio facti’, ovvero una valutazione basata sull’analisi delle prove e dei fatti specifici del caso.

Per quale motivo la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, secondo la Corte, il ricorrente chiedeva una rivalutazione dei fatti già analizzati dal giudice di merito, operazione non consentita in sede di legittimità. Inoltre, il ricorso è stato ritenuto manifestamente infondato perché si poneva in contrasto con i principi consolidati in materia.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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