Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 15868 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 15868 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 29/01/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da COGNOME NOMECOGNOME nato a Gallarate il 02/04/1970 avverso la sentenza del 12/04/2024 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo che la sentenza sia annullata limitatamente al punto relativo alla confisca e che il ricorso sia rigettato nel resto; udito il difensore avv. NOME COGNOME.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 12 aprile 2024, la Corte di appello di Milano ha parzialmente confermato la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio del 22 maggio 2023, con la quale l’imputato era stato condannato alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, per reati tributari. La corte territoriale ha dichiarato estinto per prescrizione il reato di cui al capo B dell’imputazione e ha confermato la
condanna, ritenuta la continuazione, per i reati di cui ai capi A4, A2, A3 (tutti ex art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000) e D (art. 10 -ter del d.lgs. n. 74 del 2000), rideterminando la pena in anni tre e mesi uno di reclusione e riducendo la confisca per equivalente, disposta in primo grado nei confronti dell’imputato, nei limiti di euro 719.638,85, in conseguenza dell’esclusione del profitto del reato contestato al capo B.
Avverso la sentenza l’imputato, tramite il difensore, ha proposto ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si lamentano la violazione dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. e il vizio motivazionale, sul rilievo che la Corte di appello avrebbe rigettato l’eccezione di inutilizzabilità del processo verbale di contestazione redatto dall’Agenzia delle Entrate a seguito di ispezione fiscale effettuata presso la società dell’imputato, benché le emergenze processuali avessero dimostrato che il legale rappresentante non era stato informato della possibilità di farsi assistere da un difensore. La difesa lamenta che la Corte distrettuale ha ritenuto infondata la relativa contestazione, sul presupposto che l’avviso sarebbe stato eseguito in favore di una dipendente della società, tale COGNOME Non si sarebbe considerato che al momento dell’ispezione fiscale l’imputato non era presente e che l’avviso alla dipendente, priva di delega e di poteri di rappresentanza della società, non può sostituire quello al legale rappresentante. Si sostiene, inoltre, che l’avviso dato sarebbe stato quello dell’art. 12 dello Statuto del contribuente, non valido ai fini dell’art. 220 disp. att. cod. proc. pen. Inoltre, si sarebbe dovuto considerare che, già prima dell’ispezione del , 14 marzo 2017 presso la società, erano in corso indagini anche a livello internazionale nei confronti dell’imputato e delle società a lui riconducibili; tanto che gli stessi funzionari dell’Agenzia delle Entrate avevano fatto riferimento ad un’attività illecita complessa ad ampio raggio iniziata addirittura nel 2013 e ad indagini svolte in collaborazione con l’autorità francese per il contrasto alle frodi IVA. Secondo la difesa, le prove acquisite sarebbero dunque inutilizzabili, ai sensi dell’art. 191 cod. proc. pen. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
2.2. In secondo luogo, si lamenta la violazione dell’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, oltre al vizio motivazionale in relazione alla valutazione delle prove, pur in presenza di fatture interamente pagate, che avevano riguardato transazioni commerciali regolarmente acquisite. Vi sarebbe, sul punto, un travisamento delle dichiarazioni testimoniali.
2.2.1. In particolare, quanto al capo A2, ovvero alle fatture emesse dalla RAGIONE_SOCIALE e indicate dalla RAGIONE_SOCIALE nella dichiarazione IVA 2013, si sarebbe dovuto apprezzare l’avvenuto pagamento d ‘elle fatture stesse, non essendo mai stata
oggetto di contestazione la regolarità della documentazione contabile e fiscale della società. La difesa sostiene che il giudice di primo grado ha ritenuto che il regolare pagamento non dimostrasse la regolarità delle operazioni, per la possibilità di retrocessione del denaro; invece, la Corte di appello, avrebbe affermato che la documentazione contabile fornita non era idonea a dimostrare l’avvenuto pagamento delle fatture e che, in ogni caso, potrebbe essere falsa. A fronte di queste versioni dei fatti – contrastanti, secondo la difesa – avrebbe dovuto essere considerata la consulenza del dott. COGNOME avente ad oggetto le fatture in contestazione, delle quali riportava sia la data del pagamento sia l’istituto di credito presso il quale era stato effettuato l’addebito. Secondo la difesa, il Tribunale avrebbe dovuto disporre l’acquisizione della documentazione presso gli istituti bancari al fine di valutare la regolarità dei pagamenti; a ciò si aggiunge che tutte le operazioni sarebbero comprovate dai documenti di trasporto delle merci e che, in ogni caso, la RAGIONE_SOCIALE non avrebbe conseguito alcun vantaggio, in quanto l’imposta detratta risulterebbe totalmente pagata al fornitore, così come il corrispettivo.
Secondo il ricorso, devono essere svalutati anche gli ulteriori elementi considerati a sfavore dell’imputato: il fatto che NOME, legale rappresentante della RAGIONE_SOCIALE era risultato di reperibile nel corso delle indagini; il fatto che le merci erano state trasportate da un vettore bulgaro, con compagine sociale che era risultata irreperibile alle autorità locali. La difesa sostiene di avere confutato tali elementi evidenziando che: NOME era stato raggiunto da citazione testimoniale e si era avvalso della facoltà di non rispondere, essendo imputato in procedimento connesso; gli accertamenti all’estero che avevano portato a ritenere irreperibile il vettore bulgaro avevano riguardato non gli anni oggetto dell’imputazione, ma solamente il 2016, mentre nel 2014 la società bulgara era stata ceduta.
2.2.2. Secondo la prospettazione difensiva, le osservazioni appena svolte sono valide anche quanto ai capi A3 e A4 dell’imputazione, in quanto la Corte territoriale si sarebbe limitata a sostenere che il documento prodotto al fine di dimostrare i movimenti di carico era una mera fotocopia priva di valore probatorio, pur essendo stato estratto dallo stesso carteggio analizzato dall’Agenzia delle entrate e posto alla base della sentenza di condanna. Ciò sarebbe confermato dalla consulenza di parte quanto alle fatture di RAGIONE_SOCIALE oggetto della contestazione relativa all’anno 2015.
2.3. Con un terzo motivo di doglianza, si eccepisce la prescrizione del reato di cui al capo A2, essendo stata presentata la dichiarazione IVA il 26 febbraio 2014.
2.4. In quarto luogo, si lamentano l’inosservanza dell’art. 10-ter del d.lgs. n. 74 del 2000 e la manifesta illogicità della motivazione, quanto alla sussistenza
dell’elemento psicologico del reato. Si sostiene che il mancato versamento dell’Iva entro il termine prescritto era dipeso, non da una scelta del soggetto obbligato, ma da circostanze esterne, legate a una grave crisi di liquidità. Tale circostanza sarebbe comprovata dal fatto che, nel corso del 2019, si era cercato di raggiungere un accordo con l’Agenzia delle Entrate, quanto al debito IVA per il periodo di imposta 2016; richiesta successivamente, ripresentata, ma non accolta.
2.5. Con un quinto motivo di doglianza, si lamentano la violazione dell’art. 12bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e il vizio motivazionale, relativamente alla conferma della confisca diretta (rectius: “per «equivalente”) nei confronti dell’imputato, in mancanza di qualsiasi verifica circa la possibilità di procedere al sequestro diretto del profitto nei confronti della società. La difesa si duole del fatto che la Corte di merito aveva ritenuto fondato il relativo motivo di appello, ma nonostante ciò non aveva riformato la decisione di primo grado, reputando che l’eventuale contestazione potesse essere mossa in fase di esecuzione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è parzialmente fondato.
1.1. Il primo motivo di doglianza – con cui si lamenta che la Corte di appello avrebbe rigettato l’eccezione di inutilizzabilità del processo verbale di contestazione redatto dall’Agenzia delle Entrate, benché l’imputato, legale rappresentante, non fosse stato informato della possibilità di farsi assistere da un difensore – è inammissibile.
A prescindere da ogni considerazione circa la sua correttezza in punto di diritto, risulta dirimente l’osservazione che la censura del ricorrente è priva di un compiuto richiamo agli atti istruttori e alla loro valenza probatoria; così come sono del tutto generici i riferimenti temporali da cui si desumerebbe la qualità sostanziale di indagato in capo al COGNOME, antecedente all’ispezione. La doglianza rappresenta, del resto, la pedissequa riproduzione di analogo rilievo al quale la Corte territoriale ha fornito adeguata risposta, evidenziando in sentenza l’assoluta genericità della prospettazione difensiva.
1.2. Inammissibile è anche il secondo motivo di doglianza, relativo ai reati ex art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000 (capi A2, A3, A4) e basato sull’asserita mancata considerazione dell’esistenza di prova dell’effettività delle prestazioni e del regolare pagamento dei corrispettivi di cui alle fatture oggetto dell’imputazione.
La stessa difesa ammette di non avere prodotto la documentazione bancaria, pur facilmente reperibile dall’imputato in quanto riferita a sue attività, da cui emergerebbe il pagamento delle fatture. Quanto alla documentazione contabile, la stessa è evidentemente insufficiente a provare i pagamenti, perché proviene dalla
stessa società dell’imputato; inoltre, non si contesta il dato, dirimente, della mancanza di contratti a fondamento delle prestazioni portate dalle fatture.
1.2.1. In particolare, quanto al capo A2, risulta del tutto logica e coerente la motivazione della sentenza impugnata, nella parte in cui valorizza, in senso negativo, l’irreperibilità di NOME e del vettore bulgaro che avrebbe asseritamente effettuato i trasporti. La difesa non contesta, neanche in via di mera prospettazione, l’affermazione della sentenza secondo cui NOME – a prescindere dalla circostanza della sua irreperibilità, che è irrilevante – è un soggetto nullatenente e totale e evasore fiscale, rappresentante di una ditta, la RAGIONE_SOCIALE, priva di sedi operative ed avente sede legale di comodo presso altra società. Manca anche di contestare l’affermazione secondo cui NOME era poi diventato legale rappresentante della società dell’imputato; circostanza che conferma la natura di prestanome di tale soggetto, eterodiretto dall’imputato stesso. Quanto alle indagini circa l’operatività del vettore bulgaro, risulta dirimente il dato anch’esso non specificamente contestato dalla difesa – dell’inverosimiglianza dell’affidamento a un vettore straniero del trasporto di merci da caricare e scaricare in Italia, per di più da effettuarsi a partire da un luogo inesistente, quale la sede operativa della RAGIONE_SOCIALE, società fittizia.
1.2.2. Relativamente ·ai capi A3 e A4, a fronte di generiche asserzioni difensive, è sufficiente richiamare quanto correttamente evidenziato dai giudici di merito circa il fatto che la consulenza di parte contiene un allegato rappresentato da una pagina di incerta provenienza, privo del valore di prova documentale circa gli acquisti effettuati. Più in generale, emerge dagli atti come la pretesa consulenza di parte ·altro non sia che una , relazione che prende le mosse dalla semplice documentazione dell’imputato; documentazione la cui veridicità è smentita dalla sostanziale mancanza di prova di effettivi rapporti sottostanti alle fatture e dell’esecuzione delle prestazioni.
1.3. Quanto alla prescrizione del reato di cui al capo A2 – oggetto del terzo motivo di doglianza, basato sul fatto che la dichiarazione IVA era stata presentata il 26 febbraio 2014 – deve rilevarsi che la stessa si sarebbe verificata il 15 maggio 2024, ovvero dopo la pronuncia della sentenza impugnata, dovendosi calcolare complessivi 10 anni (artt. 157, comma 1, 161, comma 2, cod. pen., art. 17, comma 1 -bis, del d.lgs. n 74 del 2000), a cui devono essere sommati due periodi di sospensione del corso della prescrizione (dal 3 ottobre 2022 al 24 ottobre 2022 e dal 14 febbraio 2024 al 12 aprile 2024), per complessivi 79 giorni.
L’inammissibilità dei motivi di ricorso riferiti al capo penale della sentenza impugnata corrispondente alla condanna per il reato in questione impedisce, per l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione, l’instaurazione di un valido rapporto processuale; con la conseguenza
che per tale reato, nei cui confronti si è formato il giudicato, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello (ex plurimis, Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, dep. 14/02/2017, Rv. 268966).
Né può valere a far ritenere validamente costituito il rapporto processuale, ai fini della rilevabilità della prescrizione, l’annullamento della sentenza nel capo relativo alla confisca. Si è infatti già affermato che, in tema di ricorso per cassazione, l’ammissibilità dell’impugnazione riguardante l’azione civile non consente, in caso di ritenuta inammissibilità dei motivi attinenti alla responsabilità penale, di rilevare la prescrizione del reato maturata successivamente alla sentenza di secondo grado, ostandovi l’autonomia del rapporto processuale afferente ai capi della sentenza concernenti la responsabilità penale rispetto a quello riguardante l’azione civile (ex multis, Sez. 2, n. 29518 del 11/05/2023, Rv. 284800). E la confisca deve essere ritenuta assimilata, a tali fini, alle statuizioni civili. Infatti, l’art. 578-bis cod. proc. pen., introdotto dal d.lgs. 10 marzo 2018, n. 21, pur attenendo a ipotesi di estinzione del reato, segnala l’autonomia delle statuizioni sulla confisca rispetto a quelle attinenti al reato e all’esecutività della pena principale, analogamente a quanto si registra sul terreno delle statuizioni civili. Anche le questioni afferenti a queste ultime, infatti, restano estranee al tema dell’esecutività della pena principale: l’irrevocabilità alla quale si fa riferimento attiene alla responsabilità penale e alla relativa pena principale, mentre profilo distinto rispetto ad essa è «il capo della sentenza di condanna che riguarda l’azione civile e l’entità del danno risarcibile» (Sez. U, n. 3423 del 29/10/2020, dep. 27/01/2021, Rv. 280261). In particolare il richiamato art. 578-bis cod. proc. pen. prevede che il giudice di appello o la corte di cassazione, nel dichiarare il reato estinto per prescrizione o per amnistia, decidono sull’impugnazione ai soli effetti della confisca, previo accertamento della responsabilità dell’imputato. E tale previsione evidenzia come il motivo di ricorso sulla confisca sia del tutto autonomo, perché non ha effetto sui capi relativi alla responsabilità penale. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
In conclusione, l’annullamento della sentenza da parte della Corte di cassazione limitatamente al capo sulla confisca non incide sulla costituzione del rapporto processuale quanto ai capi riferiti ai singoli di reati; rapporto che non può ritenersi validamente costituito nel caso in cui i motivi di doglianza che riguardano questi ultimi capi siano inammissibili.
1.4. Il quarto motivo – con cui si lamenta l’omessa considerazione del fatto che il mancato versamento dell’Iva entro il termine prescritto era dipeso, non da una scelta del soggetto obbligato, ma da circostanze esterne, legate a una grave crisi di liquidità – è formulato in modo non specifico.
Appare del tutto congetturale la prospettazione difensiva secondo cui le richieste di rateazione rivolte all’Agenzia delle entrate nel 2019, in un momento
distinto e successivo rispetto alla commissione del reato, escluderebbero il dolo dello stesso. E ciò, a prescindere dal fatto che tali richieste sono genericamente richiamate, mentre lo steso ricorrente ammette che non sono state accolte dall’Agenzia delle entrate. Nulla, invece, viene prospettato quanto alla consistenza e alle ragioni della pretesa crisi di liquidità.
2.5. Il quinto motivo di doglianza – con cui si lamentano la violazione dell’art. 12-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e il vizio motivazionale, relativamente alla conferma della confisca per equivalente nei confronti dell’imputato, in mancanza di qualsiasi verifica circa la possibilità di procedere al sequestro diretto del profitto nei confronti della società – è fondato.
Nel caso di specie, dalla lettura della sentenza di primo grado emerge che la confisca era stata disposta solo nei confronti dell’imputato e non anche nei confronti della società, ma non vi era stata alcuna verifica circa l’esperibilità di una confisca diretta nei confronti di quest’ultima. Correttamente, dunque, la difesa si duole del fatto che la Corte di merito abbia riformato la decisione di primo grado, reputando che l’eventuale contestazione possa essere mossa in fase di esecuzione.
Deve infatti ricordarsi che, in tema di reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, sussiste un onere motivazionale del giudice che dispone la confisca di valore prevista dall’art. 12-bis, d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di beni dell’imputato, seppure limitato alla sussistenza dei presupposti legali della sua applicazione, consistenti nella impossibilità di disporre la confisca diretta del profitto o del prezzo del reato nel patrimonio della persona giuridica, nella disponibilità del bene oggetto di confisca per equivalente da parte dell’autore materiale del reato e nella corrispondenza del valore del bene al profitto o al prezzo del reato (ex multis, Sez. 3, n. 2039 del 02/02/2018, dep. 17/01/2019, Rv. 274816 – 06; Sez. 3, n. 3591 del 20/09/2018, dep. 24/01/2019, Rv. 275687 01).
Relativamente a tale profilo, si dovrà procedere a nuovo giudizio circa la praticabilità nel caso di specie della confisca diretta nei confronti della società o della confisca per equivalente nei confronti dell’imputato.
Da quanto precede consegue che la sentenza impugnata deve essere annullata, limitatamente alla statuizione sulla confisca, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della ‘Corte d’appello di Milano, la quale farà applicazione dei principi di diritto sopra enunciati. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile nel resto.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla statuizione sulla confisca, con rinvio, per nuovo giudizio, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.
Così deciso il 29/01/2025.