Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 16982 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6 Num. 16982 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 12/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOMECOGNOME nato il 14/05/1961 a Bianco
avverso la sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 23/01/2024
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’inammissibilità del ricorso; udito il difensore, avv. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 23 gennaio 2024 la Corte di appello di Reggio Calabria ha confermato quella del Tribunale di Locri in data 10 novembre 2022, con cui NOME COGNOME è stato riconosciuto colpevole del delitto di cui agli artt. 321, 322bis comma 2, n. 2 e 318 cod. pen., contestato ai capi 1) e 2), in relazione ad
attività corruttive nei confronti di pubblici ufficiali della Costa d’Avorio, sv nell’interesse di società colà costituite, al fine di ottenere l’autorizzazione al realizzazione di un impianto per attività estrattiva.
Ha presentato ricorso Salerno tramite il suo difensore.
2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla valorizzazione di elementi probatori inutilizzabili.
A seguito di decreto di sequestro del P.m. erano stati acquisiti supporti informatici, tra i quali alcuni telefoni cellulari.
Era stato conferito incarico ad un consulente con le forme di cui all’art. 360 cod. proc. pen. per l’estrazione di copia forense, avvenuta in data 6 ottobre 2021, dopo di che era stata esercitata l’azione penale con richiesta di giudizio immediato, poi disposto nel novembre 2021, prima del deposito della relazione del consulente, avvenuto nel gennaio 2022.
Nel corso del dibattimento era stato escusso il teste COGNOME che aveva redatto l’informativa di P.G. e che aveva parlato del contenuto di messaggi whatsapp.
Era emerso che il teste disponeva di un estratto del lavoro del consulente, una copia lavoro, che era stato acquisito dal Tribunale con riserva circa la piena utilizza bilità.
Peraltro, la difesa non aveva potuto esaminare la copia forense, non disponendo di chiavi di accesso e non risultava che la copia forense o la copia lavoro fossero state prodotte.
Tra i messaggi acquisiti non figurava comunque quello riportato dalla Corte di appello a pag. 12.
L’attività investigativa effettuata dopo l’esercizio dell’azione penale avrebbe dovuto ritenersi inutilizzabile per violazione dell’art. 407, comma 3, cod. proc. pen.
Peraltro, il teste COGNOME aveva preso visione della corrispondenza prima del P.m., in violazione dell’art. 254, comma 2, cod. proc. pen., dovendosi inoltre considerare inutilizzabile la stessa consulenza.
Non era stato acquisito il documento integrale e originale costituito dalla copia forense, mentre era possibile che non vi fosse piena corrispondenza tra la copia lavoro e la copia forense.
Non era chiaro come l’ufficiale di PCOGNOME potesse aver avuto conoscenza del contenuto dei messaggi prima del deposito dell’elaborato peritale.
L’inutilizzabilità dei messaggi whatsapp disarticolava la ricostruzione operata dai giudici di merito, in quanto gli stessi erano stati utilizzati a conferma e riscontro di quanto emergente da conversazioni intercettate.
Peraltro, il Tribunale e la Corte di appello avevano fatto decisivo riferimento a conversazioni diverse, ma in ogni caso si erano avvalsi del riscontro fornito dai
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messaggi whatsapp, in particolare quelli del 12 e del 18 giugno 2018, in assenza dei quali non vi sarebbe prova del pagamento di una tangente, ben potendosi attribuire alle conversazioni un significato di conferma alla tesi difensiva.
2.2. Con il secondo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al giudizio di penale responsabilità.
I Giudici di merito avevano fatto leva sull’attribuzione al ricorrente della qualità di socio occulto delle società costituite in Costa d’Avorio, ma Salerno era stato assolto nel settembre 2024 dalla imputazione di cui all’art. 512-bis cod. pen., al riguardo formulata e separatamente giudicata.
Era smentito l’assunto che il ricorrente si fosse prodigato con interventi in prima persona nel condurre gli accordi corruttivi e non era emerso alcun fattivo contributo del predetto, tale da rendere configurabile il suo concorso, eziologicamente valutabile, nelle condotte corruttive, ove, se del caso, attribuibili ai soci e agli intermediari a tal fine incaricati.
Peraltro, il ricorrente era solo soggetto operante come collaboratore e privo di contatti con i funzionari della Costa d’Avorio: egli veniva informato dagli altri protagonisti della vicenda, come emerso da conversazioni intervenute, tuttavia, due anni dopo l’eventuale erogazione delle somme a titolo di prezzo corruttivo, non potendosi desumere da quelle conversazioni il concorso del ricorrente in assenza del riferimento a sue condotte eziologicamente rilevanti.
Tale assunto viene ribadito alla luce dell’analisi di alcune conversazioni riportate nel motivo di ricorso, dalle quali dovrebbe desumersi l’estraneità del ricorrente agli accordi corruttivi e l’assenza di un suo coinvolgimento.
2.3. Con il terzo motivo deduce violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine alla pena e al diniego delle attenuanti generiche.
La Corte aveva confermato il trattamento sanzionatorio senza considerare che il reato di cui al capo 1) si sarebbe semmai perfezionato nel 2018, prima dell’entrata in vigore della legge n. 3 del 2019, che ha aumento la pena prevista dall’art. 318 cod. pen.
Inoltre, era mancata una congrua motivazione a sostegno del diniego delle attenuanti generiche, non essendo sufficiente il riferimento alla gravità del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il primo motivo è nel suo complesso infondato.
1.1. In primo luogo, la circostanza che la consulenza tecnica, avente ad oggetto l’estrazione di copia forense di quanto contenuto nei dispositivi informatici (cellulari, chiavette, computer) sottoposti a sequestro, sia stata depositata dopo la richiesta di giudizio immediato e dopo l’emissione da parte del G.i.p. del relativo
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decreto, non può essere valutata alla stregua dell’espletamento di un atto di indagine dopo la scadenza del termine di durata delle indagini preliminari.
Fermo restando che si sarebbe trattato di inutilizzabilità relativa, che deve essere tempestivamente eccepita in funzione dell’utilizzazione del dato probatorio e dunque in limine litis (Sez. 1, n. 11168 del 18/02/2019, COGNOME, Rv. 274996 03), ciò che nel caso di specie non è avvenuto, non essendo stato mai eccepito alcunché nel corso del giudizio di merito, deve rilevarsi che la consulenza si è svolta in forma garantita ex art. 360 cod. proc. pen. e che l’operazione essenziale è stata comunque compiuta nell’ottobre 2021, prima della richiesta di giudizio immediato, anche se la relazione del consulente è stata depositata nel gennaio 2022.
Deve aggiungersi che il deposito da parte del pubblico ministero di nuovi atti di indagine può essere effettuato anche dopo il decreto che dispone il giudizio (Sez. 6, n. 3266 del 05/07/2018, dep. 2019, COGNOME, Rv. 275043 – 01, che si riferisce proprio ad una consulenza) e che ciò può avvenire anche nel caso di giudizio immediato «custodiale» ai sensi dell’art. 453, comma 1-bis cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 10332 del 23/10/2020, dep. 2021, COGNOME, Rv. 281351 – 02), essendo peraltro necessario che sia salvaguardato il contraddittorio e l’esercizio delle prerogative difensive (Sez. 3, n. 39076 del 03/12/2021, dep. 2022, COGNOME, Rv. 283765 – 03).
1.2. Nel caso di specie è stato eccepito, con specifico riguardo all’utilizzabilità dei dati rivenienti dalla messaggistica whatsapp, che la difesa non era stata in grado di esaminare il materiale contenuto nella copia forense e che erano stati acquisiti i messaggi estratti dal teste COGNOME che si era avvalso di una «copia lavoro», non affidabile.
Deve tuttavia, innanzi tutto, rilevarsi che la difesa ha potuto partecipare con propri consulenti all’attività di estrazione del materiale contenuto nei dispositivi sequestrati, nell’ambito della menzionata procedura garantita, avendo inoltre ricevuto specifico avviso del deposito della relazione del consulente, essendo dunque certa la presenza di quel peculiare compendio di dati probatori, nell’ambito del presente processo.
Si rileva inoltre come il tema dell’effettiva disponibilità del materiale contenuto nella copia forense fosse stato dedotto e il Tribunale avesse a tal fine espressamente autorizzato la difesa ad accedere a quel materiale, senza che, per contro, nel prosieguo del giudizio fosse stato nuovamente prospettato che erano risultati vani ulteriori tentativi di accesso, fermo restando che il P.m. all’esi dell’audizione del teste COGNOME come emerge dal verbale allegato al ricorso, aveva espresso il proposito di mettere a disposizione tutto il corposo materiale all’udienza successiva.
In ogni caso il Tribunale aveva immediatamente acquisito per ragioni pratiche la documentazione di cui disponeva il teste COGNOME avente ad oggetto proprio il testo di alcuni messaggi whatsapp, indicati nel corso della deposizione e poi effettivamente utilizzati ai fini della decisione.
Le deduzioni difensive formulate per contestare l’utilizzabilità di tale documentazione non sono fondate: in primo luogo è stato fatto riferimento ad una «copia lavoro» in modo generico e impreciso, avendo il teste COGNOME secondo quanto emerge dall’atto allegato al ricorso, affermato di aver acquisito i messaggi dal materiale estratto dal consulente tecnico; inoltre lo stesso consulente nella relazione depositata e parimenti allegata al ricorso dà conto a pag. 35 dell’affidabilità della copia lavoro da lui ricavata, corrispondente alla copia forense, salvo il caso di difetti e alterazioni di quest’ultima; in ogni caso, va rimarcato come non sia stata concretamente dimostrata la mancata corrispondenza dei messaggi riportati in quella documentazione a quelli contenuti nella copia forense.
1.3. Quanto poi all’ulteriore tema riguardante la forma dell’acquisizione, alla luce dei principi espressi dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 170 del 2023, in cui si riconduce anche la messaggistica whatsapp alla nozione di corrispondenza, deve rilevarsi che le deduzioni difensive sono aspecifiche.
E’ infatti incontestato che i dispositivi informatici siano stati acquisiti sulla bas di un provvedimento di sequestro emesso dal P.m. e che di seguito, come già rilevato, si sia fatto luogo a procedura garantita, volta all’estrazione di copia forense, sotto il diretto controllo dello stesso P.m., secondo un modello operativo coerente con quanto desumibile dall’art. 254 cod. proc. pen.
Deve dunque escludersi che il materiale sia stato acquisito e direttamente valutato in modo improprio dalla polizia giudiziaria, senza il previo intervento del pubblico ministero, essendo stato inoltre già segnalato che il materiale di cui disponeva il teste COGNOME nel corso della sua deposizione, proveniva dal lavoro del consulente tecnico.
Deve aggiungersi che non è stata eccepita alcuna violazione dei canoni della pertinenza e della proporzionalità dell’attività di acquisizione dei dispositiv informatici e del loro contenuto, risultando che gli elementi in concreto estrapolati e utilizzati sono strettamente connessi al tema di indagine e non costituiscono ex sé ingiustificata ragione di pregiudizio di diritti fondamentali degli imputati connessi alla sfera di garanzia desumibile dall’art. 15 Cost. e da fonti sovranazionali.
1.4. Va peraltro segnalato come le deduzioni difensive risultino nel loro complesso prive del canone della decisività, a fronte del quadro probatorio nitidamente emergente da altre fonti, in primo luogo dalle conversazioni
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intercettate e dalla documentazione sequestrata, secondo quanto si avrà modo di ribadire.
Il secondo motivo è in larga misura volto a sollecitare una diversa lettura del compendio probatorio, in una prospettiva che esula dallo scrutinio di legittimità, ed è comunque infondato.
2.1. Secondo l’assunto difensivo il ricorrente sarebbe stato al più informato di attività illecita posta in essere da altri soggetti, senza che fosse ravvisabile un suo contributo di tipo concorsuale, tanto meno considerando la sentenza con cui il Tribunale di Locri lo ha assolto per insussistenza del fatto dal reato di cui all’art 512-bis cod. pen. in relazione alla pretesa intestazione fittizia delle società tramite le quali era stato gestito l’affare dell’impianto di estrazione in Costa d’Avorio.
Con riguardo a tale ultimo profilo deve tuttavia rimarcarsi come dalla sentenza di primo grado nitidamente si evinca che la valutazione della posizione di NOME COGNOME è stata effettuata prescindendo dalla configurabilità o meno del reato di cui all’art. 512-bis, cod. pen., separatamente giudicato.
Si è infatti dato non illogicamente rilievo alla specifica interessenza del ricorrente nell’affare, che, secondo quanto desunto da precisi dati probatori, lo coinvolgeva direttamente, in ragione degli accordi intercorsi, consacrati tra l’altro in una scrittura privata (convention de partage), tanto che non di rado il ricorrente si esprimeva con linguaggio tale da rappresentare la comunanza di interessi (ad esempio, allorché, riferendosi a COGNOME, lo qualificava come il «suo socio» o riferendosi alla concessione, l’indicava come la «nostra concessione»: pag. 32 della sentenza di primo grado).
In altre parole non si è dato rilievo al fatto che vi fosse stata o meno un’illecita intestazione fittizia, bensì alla circostanza che sia Salerno da un lato sia NOME COGNOME e NOME COGNOME dall’altro erano coinvolti -con l’ausilio di professionisti e intermediari operanti sul territorio- nella gestione dell’affare, relazione al quale anche Salerno aveva effettuato mirati viaggi in Costa d’Avorio e teneva contatti con soggetti in grado di esercitare pressioni, come l’avvocato COGNOME, cui il predetto aveva fatto riferimento in più occasioni, nel corso di conversazioni intercettate (pag. 26 della sentenza di primo grado e pag. 10 della sentenza di appello), fermo restando che proprio il ricorrente teneva i rapporti con i finanziatori canadesi che avrebbero dovuto intervenire, una volta perfezionati i profili burocratici per l’attivazione dell’impianto di estrazione.
2.2. Proprio alla luce di tale decisiva premessa è stata, dunque, valutata la posizione di NOME COGNOME che era costantemente in contatto con gli altri protagonisti, dai quali veniva aggiornato circa gli sviluppi operativi e i rapporti co
i funzionari ivoriani, chiamati ad esprimere i pareri necessari per lo svolgimento della programmata attività estrattiva.
Su tali basi, in particolare, è stato valorizzato il fatto che nel corso dei dialogh intercorsi si facesse riferimento alle somme versate al direttore regionale di NOME COGNOME COGNOME (in totale sette milioni in valuta ivoriana), alla fase di stall nondimeno registratasi, in quanto l’ulteriore funzionario NOME COGNOME non rilasciava il parere di sua competenza, alla circostanza che, per quanto emerso, il COGNOME, contrariamente a ciò che era previsto, avesse erogato al secondo funzionario solo una piccola somma, ragione per la quale la procedura non si sbloccava, fino a quando era stato stabilito e concordato il versamento di una più cospicua somma anche a Kouadio.
Tali dati, desunti da conversazioni intercettate di inequivoco tenore (fra l’altro conversazioni riportate a pagg. 15 segg. e a pagg. 26 segg. della sentenza di primo grado) e suffragati dalla documentazione sequestrata, nella quale erano fra l’altro annotate fedelmente, in una contabilità in possesso degli imputati, le illecite erogazioni di denaro, destinate in più tranches al direttore COGNOME, hanno consentito ai giudici di merito di ritenere provata la duplice attività corruttiv oggetto dei due distinti capi di imputazione.
2.3. Il tipo di interlocuzione intercorrente tra i protagonisti, coinvolgent anche Salerno, come gli altri interessato alla proficua e rapida conclusione dell’operazione, ha inoltre, tutt’altro che illogicamente, condotto la Corte, a conferma del giudizio del Tribunale, a ritenere provato il concorso del ricorrente, il quale, a prescindere dal fatto che avesse o meno avuto rapporti diretti con i funzionari ivoriani corrotti, mostrava, secondo tale ricostruzione, di essere parte di un progetto implicante l’utilizzo di ogni mezzo utile al raggiungimento dello scopo, nella condivisa consapevolezza della necessità di ricorrere all’erogazione di denaro.
In tale prospettiva, sono stati, in particolare, valorizzati i dialoghi in cui, u volta preso atto delle ragioni per cui tardava il secondo parere favorevole (conversazione a pag. 11 della sentenza impugnata), si faceva riferimento, nel quadro di intese condivise e suggellate da colloqui circolari, intercorsi in successione tra i protagonisti, proprio alla ineludibile necessità di far ricorso a quello strumento (si richiamano i colloqui del 4/7/2020, riportati a pagg. 27 segg. della sentenza di primo grado).
Tale ricostruzione è idonea a dar conto non di una mera connivenza del ricorrente, ma di una sua originaria partecipazione dall’interno ai propositi corruttivi, poi in concreto attuati dapprima nei confronti del direttore NOME COGNOME e poi nei confronti del responsabile della Zona Centro dell’O.I.P.R. NOME COGNOME senza che possa dirsi dirimente la circostanza che le conversazioni
intercettate risalissero a circa due anni dopo il perfezionamento della prima condotta corruttiva, in senso contrario deponendo invece la linea di continuità espressa dai protagonisti, rispetto ad un disegno volto a favorire in ogni modo il buon esito del progetto.
2.4. Assume rilievo aggiuntivo la valorizzazione di alcuni messaggi whatsapp, in particolare quelli del 12 e del 18 giugno 2018, con i quali COGNOME comunicava a Salerno in tempo reale il contatto con il direttore del dipartimento e il di denaro, corrispondentemente annotata da COGNOME nella menzionata contabilità, senza che peraltro possano nutrirsi dubbi in ordine all’illiceità della causale del versamento, non riconducibile, secondo quanto rilevato dal Tribunale, a taluno degli oneri previsti (cfr. pagg. 19 e 33 della sentenza di
versamento di una tranche primo grado).
2.5. Deve dunque ritenersi che i Giudici di merito abbiano idoneamente motivato in ordine alla configurabilità del concorso del ricorrente nelle condotte corruttive, essendosi dato conto della concertazione delle stesse e della loro coerente attuazione in funzione del raggiungimento dello scopo comune.
Per contro il motivo di ricorso si risolve nella riproposizione della tesi difensiva, sulla base della alternativa lettura del medesimo compendio probatorio e specificamente di alcune conversazioni intercettate, tesi in realtà esaminata e respinta dalla Corte sulla base di una motivazione che sottende anche il richiamo dell’analisi compiuta dal Tribunale, senza che possano dirsi posti in evidenza elementi idonei a vulnerare e disarticolare quella ricostruzione.
3. Il terzo motivo è inammissibile.
3.1. In primo luogo, è certo che la seconda corruzione, oggetto del capo 2), si è perfezionata in epoca prossima al luglio 2020, in concomitanza con l’erogazione della somma aggiuntiva a NOME COGNOME
Da ciò discende che tale reato è sicuramente successivo all’entrata in vigore dell’aumento dei limiti edittali della pena previsti dall’art. 318 cod. pen., operat dalla legge n. 3 del 2019: conseguentemente il motivo di ricorso sul punto è manifestamente infondato, dovendosi ritenere che sia stata correttamente calcolata la pena base, sulla quale sono stati poi operati gli aumenti per le aggravanti contestate e l’aumento per la continuazione con l’ulteriore reato, peraltro contenuto nel limite di mesi sei.
3.2. Quanto al diniego delle attenuanti generiche la deduzione è volta a sollecitare un diverso giudizio di merito, a fronte di una non arbitraria valutazione della Corte, che ha dato rilievo alla gravità della condotta, interferente con le prerogative di uno Stato estero, all’intensità del dolo e al ruolo non marginale del ricorrente: non sono dunque ravvisabili profili di genericità della motivazione,
essendosi valutata la condotta non in termini astratti, bensì in rapporto alla concreta dinamica della vicenda.
4. Su tali basi si impone il rigetto del ricorso con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 12/03/2025