Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 23527 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 23527 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/06/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 05/10/1974
avverso l’ordinanza del 10/02/2025 del TRIB. RAGIONE_SOCIALE‘ di NAPOLI
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME sentite le conclusioni del PG in persona del Sostituto Proc. gen. NOME COGNOME che ha concluso per il rigetto del ricorso
udito il difensore avvocato COGNOME del foro di TORRE ANNUNZIATA in difesa di COGNOME
che ha insistito per l’accoglimento del ricorso
RITENUTO IN FATTO
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del proprio difensore, per l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale del riesame di Napoli del 6 marzo 2025, con la quale è stato rigettato il ricorso proposto dal predetto ai sensi dell’art. 309 cod proc. pen. avverso l’ordinanza del G.I.P., con cui è stata applicata la misura cautelare degli arresti domiciliari in relazione ai reati di cui agli artt. 73, 80 d.P.R 309/1990.
Il ricorrente, con un primo motivo, lamenta violazione dell’art. 8 cod. proc. pen. laddove è stata rigettata l’eccezione difensiva di incompetenza per territorio.
Secondo la tesi proposta in ricorso nel caso in esame la competenza per territorio, in applicazione dell’art. 16 cod. proc. pen., andava determinata avendo riguardo al reato cui al capo 1), che risulta essere pacificamente quello più grave (detenzione di Kg 51,358, di cocaina): Ciò in quanto, secondo l’ipotesi accusatoria, la sostanza stupefacente caduta in sequestro, era stata prelevata in Spagna ed introdotta nel territorio italiano attraverso la frontiera di Ventimiglia e solo succes sivamente rinvenuta e sottoposta a sequestro nel Comune di Caivano (NA).
Secondo il tribunale del riesame partenopeo, invece, nel caso di trasporto di droga la competenza per territorio andrebbe individuata avendo riguardo al luogo di accertamento.
Tale argomentazione, però, ad avviso del ricorrente, non appare per nulla condivisibile, in quanto si pone in palese contrasto con l’art. 8, comma 1, cod. proc. pen., che individua la competenza territoriale in relazione al luogo di consumazione del reato. Ed invero, per costante giurisprudenza, qualora il reato venga consumato attraverso plurime condotte, alcune delle quali poste in essere all’estero, si deve avere riguardo – trattandosi di reato di carattere istantaneo – al momento della consumazione, che coincide con il luogo di primo ingresso nel territorio italiano, a nulla rilevando la successiva condotta di successivo trasporto e/o occultamento alla destinazione finale, trattandosi di operazioni ulteriori e successive che, a seconda delle modalità criminose prescelte, possono seguire o meno il momento consumativo (il richiamo è ai dicta di Sez. 6 n. 2732/2009, Sez 4 n. 25247/2016 e Sez. 5 n. 53198/2018)
Pertanto, la competenza non può che radicarsi nel luogo di ingresso della sostanza stupefacente nel territorio italiano, ovvero nel comune di Ventimiglia (come ben accertato attraverso il sistema di geolocalizzazione) che rientra nel circondano del Tribunale di Imperia
Con il secondo motivo si deducono violazione di legge e vizio di motivazione in punto di ritenuta gravità indiziaria.
Ad avviso del ricorrente andrebbe dichiarata la nullità dell’impugnata ordinanza in quanto la motivazione addotta a sostegno delle gravità indiziaria risulterebbe essere del tutto illogica, in quanto palesemente in contrasto con le risultanze dell’attività di indagine.
Secondo la tesi proposta in ricorso, la ricostruzione dei fatti contenuta nella impugnata ordinanza nonché in quella impositiva della misura, cui la prima fa rinvio, risulterebbe essere clamorosamente smentita dagli atti acquisiti al fascicolo.
Ed invero, secondo quanto riportato nel capo 1) dell’editto accusatorio, il COGNOME avrebbe svolto un ruolo attivo nel trasporto della sostanza stupefacente, in qualità di intermediario tra il COGNOME (trasportatore) ed il Veneziano (destinatario finale).
Gli indizi di colpevolezza sarebbero rinvenibili nelle conversazioni rinvenute nel telefono cellulare del Pinto, sottoposto a sequestro all’atto dell’arresto, nonché nei filmati recuperati dalle telecamere di sicurezza poste nei pressi del parcheggio.
Orbene, dalla attenta analisi di tale materiale probatorio secondo il ricorrente è possibile unicamente accertare la presenza del COGNOME unitamente al COGNOME nel parcheggio sito nel comune di S. Antonio Abate nei giorni precedenti il sequestro.
Quanto ai messaggi vocali, poi, nessuno è riferibile direttamente al COGNOME, ma ne vengono richiamati solo alcuni nei quali vi è un generico riferimento al nome “NOME“, che gli investigatori ritengono essere il COGNOME.
Tuttavia, ci si duole che nessun elemento venga fornito in ordine alle modalità di tale identificazione, che non può essere certamente ricavata dal tenore delle conversazioni, nelle quali ricorre il nome NOME senza nessun altro valido elemento identificativo.
A ciò va aggiunto – si legge ancora in ricorso – che gli interlocutori fanno riferimento alla richiesta di tale NOME di recuperare una sim (messaggio dell’11/01/2024 tra Pinto e Garofalo) per non effettuare chiamate con la propria scheda. Ma tale ultima affermazione si porrebbe in contrasto con la presenza di chiamate (anche video) effettuate da e/o verso l’utenza mobile in uso al COGNOME NOME, e ciò a dimostrazione che quest’ultimo aveva continuato ad utilizzare la propria sim e, dunque, non poteva essere il Gaetano indicato nei messaggi.
Del pari, privi di valenza sarebbero i video recuperati dalle telecamere di sicurezza, poste nei pressi del parcheggio di S INDIRIZZO Abate.
Sul punto il ricorrente evidenzia che la presenza del ricorrente in quel luogo trova giustificazione nel fatto che il predetto parcheggio era in uso anche ai Pananello, che lo utilizzava per la sosta dei suoi automezzi.
Del pari irrilevante sarebbe l’incontro avuto con il COGNOME, atteso che non sarebbe possibile sapere quale sia stato il motivo e cosa i due si siano detti
Del resto, si sottolinea che da tutta la successiva attività di intercettazioni sia telefoniche che ambientali non sono emerse conversazioni intrattenute tra COGNOME e COGNOME Gaetano.
Infine, viene evidenziato, che non si comprenderebbero il motivo e l’esigenza per cui il COGNOME avrebbe dovuto rivestire il ruolo di intermediario tra i COGNOME ed il COGNOME, atteso che gli stessi già si conoscevano ed avevano un rapportò diretto.
Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge.
Il PG ha anticipato con memoria scritta del 29/05/2025 le proprie conclusioni.
Le parti hanno concluso all’udienza camerale partecipata, richiesta dal difensore, come riportato in epigrafe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I motivi sopra illustrati appaiono infondati e pertanto il proposto ricorso va rigettato.
Va rilevato, in primis, che il difensore ricorrente ripropone, tout court, quelli che sono stati i motivi di riesame, contestando genericamente, in realtà senza confrontarvisi criticamente, le argomentazioni addotte dal tribunale capitolino a sostegno del rigetto del proposto gravame.
Il provvedimento impugnato appare contrassegnato da motivazione che, secondo il perimetro di cognizione del giudice di legittimità in sede cautelare, contiene l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato e l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (anche con riferimento alla puntuale analisi delle specifiche doglianze difensive), oltre ad essere corretto in diritto.
infondato è il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione di legge per essere competente per territorio il Tribunale di Imperia, circondario in cui si trova il Comune di Ventimiglia, dove si era verificato l’ingresso dello stupefacente nel territorio italiano.
In proposito, va ricordato che costituisce ius receptum che, in tema di stupefacenti, la previsione dell’art. 73 d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309, configura un
reato a fattispecie alternative, la cui realizzazione congiunta comporta, sotto il profilo sanzionatorio, l’assorbimento delle diverse condotte in un unico delitto, senza peraltro che le stesse perdano la propria autonoma rilevanza ai fini della determinazione del giudice competente per territorio, che, pertanto, va individuato in quello dell’ultimo luogo in cui è stata accertata una frazione della complessiva azione criminosa (Sez. 6, n. 47212 del 05/11/2021, Pino, non massimata; Sez. 3, n. 10411 del 28/01/2020, COGNOME, non massimata; Sez. 3, n. 48036 del 25/10/2019, Pino, Rv. 277352, inerente a fattispecie in cui la Corte ha confermato la decisione con la quale era stata ritenuta la competenza territoriale del giudice del luogo in cui stava per avvenire la consegna al ricorrente di un ingente quantitativo di hashish, in precedenza introdotto in Italia in un luogo non determinato; Sez. 4, n. 6203 del 19/11/2008, dep. 2009, COGNOME, Rv. 244101, relativa a fattispecie in tema di importazione e successiva consegna in luoghi diversi di una partita di stupefacenti).
Ciò posto sui principi giurisprudenziali affermati in materia, il tribunale del riesame ha legittimamente focalizzato l’attenzione soltanto sulla condotta in corso di realizzazione del reato più grave di cui al capo 1) – circostanza non contestata neanche dal ricorrente – ovvero alla fattispecie in cui il trasportatore COGNOME NOME, proveniente dalla Spagna, veniva fermato dalla p.g., alla guida di un’autocisterna contenente la cocaina in Caivano, zona rientrante nella competenza territoriale del Tribunale di Napoli Nord.
Orbene, è vero che la giurisprudenza di legittimità ha affermato che in tema di importazione di sostanze stupefacenti, qualora il reato venga realizzato attraverso la consumazione di più condotte, alcune delle quali poste in essere all’estero, la competenza territoriale deve essere stabilita con riguardo al luogo in cui è stata compiuta la prima delle condotte commesse sul territorio nazionale (Sez. 6, n. 46249 del 07/10/2016, Bologna, Rv. 268479 – 01 relativo ad una fattispecie in cui è stata ritenuta la competenza del giudice del luogo in cui l’imputato aveva posto in essere la condotta di organizzazione dell’acquisto dello stupefacente). Tuttavia, secondo la valutazione dei giudici partenopei, che offrono sul punto una congrua motivazione in fatto che non può essere rivisitata in questa sede di legittimità, non emerge che, in relazione a tale reato, gli organi inquirenti conoscessero con certezza il luogo di ingresso del Pinto in Italia, bensì soltanto che egli avesse trasportato la droga dall’estero fino a Caivano con il proprio veicolo.
Pertanto, facendo buon governo degli arresti giurisprudenziali costituiti da Sez. 3, n. 35396 del 23/02/2021, Salmi, Rv. 282329 e Sez. 6, n. 16253 del 17/02/2023, COGNOME (secondo cui in tema di trasporto di sostanze stupefacenti, la competenza territoriale, qualora il luogo di inizio della consumazione non sia stato individuato con certezza, è determinata in base al luogo di accertamento del
“corpus” del possesso), la Corte partenopea ha ritenuto che non potesse trovare applicazione il principio generale che prevede la competenza del giudice del luogo dove ha avuto inizio la consumazione del delitto sancita dall’art. 8 cod. proc. pen. per i reati permanenti, nel cui ambito va ricondotta la detenzione di sostanze stupefacenti, poiché nella fattispecie, tale luogo non risulta in concreto individuabile. E’ scattato necessariamente, pertanto, il criterio residuale dettato dal successivo art. 9 cod. pen., secondo il quale la competenza territoriale si radica presso il giudice dell’ultimo luogo in cui è avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione (Sez. 4, n. 19289 del 27/04/2022, S., non massimata).
4. Infondato è anche il secondo motivo di ricorso, in punto di gravità indiziaria.
Va premesso che questa Corte di legittimità è ferma nel ritenere che, in tema di impugnazione delle misure cautelari personali, il ricorso per cassazione con il quale si lamenti l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza è ammissibile soltanto se denuncia la violazione di specifiche norme di legge, ovvero la manifesta illogicità della motivazione del provvedimento, secondo i canoni della logica ed i principi di diritto, ma non anche quando (…) propone e sviluppa censure che riguardano la ricostruzione dei fatti, ovvero che si risolvono in una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 dell’8/3/2012, COGNOME, Rv. 252178).
In altra pronuncia, che pure si condivide, si è sottolineato che, allorquando si censuri la motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, alla Corte Suprema spetta solo il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legi timità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e di controllare la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (Sez. 4, n. 26992 del 29/5/2013, Rv. 255460; conf. Sez. 4, n. 37878 del 6/7/2007, COGNOME e altri, Rv. 237475).
E ancora recentemente è stato ribadito che, in tema di motivi di ricorso per Cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo, sicché sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, la stessa illogicità quando non
manifesta, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati da attribuire ai diversi indizi o evidenziano ragioni in fatto per giungere conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spess della valenza indiziaria del singolo elemento (Sez. 2, n. 9106 del 12/02/2021, COGNOME, Rv. 280747).
Sono quindi precluse al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, indicati dal ricorrent come maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa rispetto a quelli adottati dal giudice del merito (Sez. 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv. 280601).
L’impugnazione di legittimità non è proponibile quando attiene a censure che – benché formalmente prospettanti una violazione di legge o un vizio di motivazione – mirano in realtà a sollecitare una diversa ricostruzione dei fatti o una diversa valutazione degli elementi esaminati dal giudice di merito (Sez. 6, n. 11194 del 08/03/2012, COGNOME, Rv. 252178; Sez. 5, n. 46124 del 08/10/2008, COGNOME, Rv. 241997).
Alla Corte di cassazione spetta soltanto di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, la con gruenza logica e l’adeguatezza della motivazione sul punto (Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, COGNOME, Rv. 255460), senza alcun potere di revisionare le circostanze fattuali della vicenda. Il controllo di logicità, peraltro, deve rimanere interno a provvedimento impugnato, non essendo possibile procedere a una nuova o diversa valutazione degli elementi indizianti o a un diverso esame degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate. In altri termini, è consentito in questa sede esclusivamente verificare se le argomentazioni spese sono congrue rispetto al fine giustificativo del provvedimento impugnato. Se, cioè, in quest’ultimo, siano o meno presenti due requisiti, l’uno di carattere positivo e l’altro negativo, e cioè l’esposi zione delle ragioni giuridicamente significative su cui si fonda e l’assenza di illogicità evidenti, risultanti cioè prima facie dal testo del provvedimento impugnato.
Inoltre, questa Corte di legittimità ancora di recente ha peraltro ribadito come la nozione di gravi indizi di colpevolezza in sede cautelare non sia omologa a quella che serve a qualificare il quadro indiziario idoneo a fondare il giudizio di colpevolezza finale (Sez. 5 n. 36079 del 05/06/2012, COGNOME ed altri, Rv. 253511). Al fine dell’adozione della misura cautelare, infatti, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato» in ordine ai reati addebitati.
In altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma cod. proc. pen.
Ciò lo si desume con chiarezza dal fatto che l’art. 273, comma 1 bis, cod. proc. pen. richiama i commi 3 e 4 dell’art. 192, cod. proc. pen., ma non il comma 2 del medesimo articolo, il quale oltre alla gravità, richiede la precisione e concordanza degli indizi (così univocamente, ex plurimis Sez. 2, n. 26764 del 15/03/2013, Ruga, Rv. 256731; Sez. 6 n. 7793 del 05/02/2013, COGNOME, Rv. 255053; Sez. 4 n. 18589 del 14/02/2013, Superbo, Rv. 255928).
5. Ebbene, se questi sono i canoni ermeneutici cui questa Corte di legittimità è ancorata, va rilevato che nel caso all’odierno esame non risultano essersi verificati né violazione di legge e nemmeno vizio di motivazione rilevante ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen.
La motivazione del tribunale del riesame è stata prospettata in concreto e diffusamente in modo logico, senza irragionevolezze, con completa e coerente giustificazione di supporto alla affermata persistenza della misura e della sua adeguatezza.
I giudici del gravame della cautela, nell’esaminare il provvedimento impugnato, ricordano come la gravità indiziaria in ordine agli ipotizzati reati sia stata desunta nel caso che ci occupa da una pluralità di atti di indagine.
Il presente procedimento trae, infatti, origine dall’arresto in flagranza di reato di COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, effettuato a Caivano in data 10 febbraio 2024 ad opera della Guardia di Finanza di Aversa.
In particolare, tali soggetti venivano fermati per un controllo di p.g. a Caivano, mentre erano alla guida del mezzo pesante tg. TARGA_VEICOLO, deputato al trasporto di gasolio e olio carburante, all’interno del quale, ben occultati nel rimorchio cisterna, venivano rinvenuti 46 “panetti” di sostanza stupefacente del tipo cocaina, per un peso complessivo di Kg. 51,358.
Nell’immediatezza, il telefono cellulare del COGNOME venne sequestrato e sottoposto ad una consulenza tecnica che consentì di ricostruire, oltre all’episodio per il quale costui era stato tratto in arresto in flagranza di reato, altri trasporti di ingen quantitativi di sostanze stupefacenti nei quali risultava coinvolto l’odierno indagato oltre ad altri soggetti. In particolare, dall’analisi delle chat e delle telefonate effettuate e ricevute, fu possibile accertare che, nei giorni precedenti, vi erano stati. numerosi contatti tra il COGNOME ed il cognato COGNOME NOME (che, assumeva il ruolo di intermediario tra il COGNOME, che aveva commissionato le importazioni di droga, ed il COGNOME nell’organizzazione dei viaggi intrapresi da quest’ultimo), nonché il ruolo svolto da COGNOME NOME e NOME MarioCOGNOME quali organizzatori dello scarico, e
della detenzione dello stupefacente importato nei due trasporti del 15 e del 27 gennaio 2024 su cui l’ordinanza impugnata si sofferma analiticamente alle pagg. 4-5 e 5-8.
Va sottolineato in particolare, come dà conto il tribunale partenopeo a pag. 4 dell’ordinanza impugnata, l’univoca convergenza indiziaria che individua l’odierno ricorrente come colui che dava le indicazioni a COGNOME sul luogo dove ritirare lo stupefacente. In proposito, COGNOME ebbe ad effettuare due videochiamate Whatsapp con l’autista COGNOME fornendo indicazioni precise sul luogo di ritiro del carico di droga tanto che, subito dopo, COGNOME comunicò a COGNOME che l’indomani avrebbe effettuato il carico. E dal tenore delle conversazioni vocali come emergenti dall’analisi del cellulare di COGNOME si intuiva chiaramente che il COGNOME a sua volta riceveva le informazioni comunicate al COGNOME da un terzo soggetto, poi identificato in COGNOME COGNOME, che lo stesso COGNOME citava in un messaggio inviato ad NOME COGNOME, indicandolo come “soggetto senza capelli”.
Inoltre, dall’analisi dei tabulati telefonici relativi all’utenza del Pinto – dà cora conto l’ordinanza impugnata – si traevano altri importanti elementi di riscontro sui soggetti che con questi avevano comunicato nei giorni precedenti ai trasporti di droga.
Altri elementi si desumevano, poi, dalla visione delle immagini di videosorveglianza collocate presso il deposito di Sant’Antonio Abate (nella disponibilità, della Società di trasporti intestata a COGNOME Alfonso ma di fatto utilizzata dal COGNOME e dal COGNOME), ove lo stupefacente veniva scaricato.
Nel prosieguo delle indagini venivano sottoposte ad intercettazione ambientale le autovetture in uso a Veneziano Bernardino (Renault Clic tg. TARGA_VEICOLO e Renault Scenic tg. GA38 ITK) e a NOME NOME (Fiat 500 tg. TARGA_VEICOLO e Fiat Panda tg. TARGA_VEICOLO), nel corso, delle quali venivano captate conversazioni in cui, a volte, i loquenti utilizzavano termini convenzionali per fare riferimento alla droga, mentre altre volte usavano termini espliciti (“bianco” e “scuro” per fare riferimento a cocaina o hashish, oppure fumo ed erba con linguaggio chiaro, indicando persino la qualità quale californiano, rubbio, mousse, amnesia e cherrypunch).
6. Le doglianze difensive, benché formalmente dirette a denunciare la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata, si esauriscono in realtà in una contestazione, nel merito, di alcuni singoli elementi di fatto e delle risultanze d’indagine che il giudice a quo giudicava idonei a integrare il compendio indiziario, senza valutare l’esauriente e logica ricostruzione operata nell’ordinanza impugnata (vedi pag. 9).
Al riguardo, infatti, la difesa non analizza e non confuta il percorso argomentativo indicativo del coinvolgimento del COGNOME in plurimi episodi criminosi
sostanzialmente commessi mediante modalità similari ed in concorso coi medesimi complici. Tali circostanze contribuivano alla sua identificazione con certezza nel
soggetto denominato “NOME“, che risultava coinvolto nell’organizzazione del reato di cui al capo 1).
La tesi difensiva proposta con il secondo motivo mira ad una rilettura del quadro indiziario, ma, come ampiamente illustrato in precedenza, ciò non è possi-
bile in questa sede di legittimità.
Gioverà richiamare sul punto il principio costantemente affermato da que- sta Corte secondo cui il difetto di motivazione, quale causa di nullità del provvedi-
mento, non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa, costituendo la pronuncia un tutto coerente ed organico, per cui, ai
fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa va posto in relazione agli altri, potendo la ragione di una determinata statui-
zione anche risultare da altri punti del provvedimento ai quali sia stato fatto ri- chiamo, sia pure implicito (Sez. 2, n. 38818 del 07/06/2019, M., Rv. 277091, in
fattispecie in cui la Corte ha respinto il ricorso dell’imputato che aveva contestato il difetto di motivazione della sentenza, nella parte in cui aveva ritenuto attendibile la persona offesa, in quanto fondato sulla scorta di una lettura parziale e parcellizzata delle emergenze processuali che non aveva tenuto conto degli ulteriori elementi valorizzati in motivazione).
7. Al rigetto del ricorso consegue, ex lege, la condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso il 11/06/2025