Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 616 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 6 Num. 616 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME COGNOME nato a Grumo Nevano il 26/06/1964 avverso l’ordinanza del 14/07/2023 del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME;
letta la requisitoria scritta del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con il provvedimento indicato in epigrafe, il Tribunale di Napoli, adito ex art. 310 cod. proc. pen., ha rigettato l’appello proposto da NOME COGNOME e confermato l’ordinanza del 2 maggio 2023, con cui il G.i.p. del Tribunale di Napoli aveva rigettato l’istanza di sostituzione della custodia cautelare in carcere disposta nei confronti del ricorrente per il delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. con quel degli arresti domiciliari.
Il Tribunale ha rappresentato che con ordinanza del 12 maggio 2023, quindi successiva a quella impugnata, in sede di riesame è stata confermata l’ordinanza di custodia in carcere essendo stata esclusa l’adeguatezza di misure diverse perché l’intervenuta collaborazione con la giustizia da parte del Cristiano non è stata ancora ritenuta indice sicuro di dissociazione per il parere contrario espresso dalla DDA di Napoli.
Le stesse censure riproposte davanti al G.i.p. sono state respinte in sede di appello cautelare perché non risulta ancora esaurito il processo di valutazione della definitiva rottura con gli ambienti criminali di provenienza alla stregua del parere trasmesso dalla DDA di Napoli su richiesta del Tribunale in data 7 luglio 2023.
Nell’atto a firma del difensore di fiducia NOME COGNOME chiede l’annullamento del provvedimento per i motivi di seguito sintetizzati ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Violazione di legge penale e vizio di motivazione per non avere il Tribunale rilevato la mancanza di una valutazione coerente ed attuale delle esigenze cautelari, fornendo una motivazione illogica a sostegno delle stesse, nonostante la proficua collaborazione intrapresa dal Cristiano, facendo propria la valutazione della Procura della Repubblica senza indicare elementi concreti che dimostrerebbero la permanenza di collegamenti con l’associazione di provenienza.
Si invoca, pertanto, l’annullamento dell’ordinanza impugnata con rinvio per nuovo esame.
Si deve dare atto che il ricorso è stato trattato senza l’intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23, commi 8 e 9, d.i. 28 ottobre 2020, n. 137, come prorogato dall’art. 94 del d.lgs. n. 150 del 2022, modificato dall’art. 17 del d.l. 2 giugno 2023, n. 75.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è inammissibile.
Innanzitutto, va osservato che la questione qui riproposta è stata decisa in sede di riesame con una ordinanza che non è stata impugnata in Cassazione, con conseguente giudicato cautelare sul punto, non essendo stati addotti elementi nuovi rispetto a quelli già valutati.
Si deve rammentare che le ordinanze in materia cautelare, quando siano esaurite le impugnazioni previste dalla legge, hanno efficacia preclusiva “endoprocessuale” riguardo alle questioni esplicitamente o implicitamente dedotte, con la conseguenza che una stessa questione, di fati:o o di diritto, una
volta decisa, non può essere riproposta, neppure adducendo argomenti diversi da quelli già presi in esame.
La motivazione sulle esigenze cautelari e sulla necessità della custodia in carcere si fonda essenzialmente sulla brevità del tempo decorso dall’inizio della collaborazione (maggio 2022), che non può ritenersi illogica in quanto correlata al ruolo di capo svolto nel sodalizio, alla lunga durata della sua pregressa partecipazione ed ai precedenti penali.
Nel parere del 15 giugno 2023 richiesto ex art. 16-octies del d.l. 15 gennaio 1991 n. 8, convertito con modificazioni dalla legge 15 marzo 1991, n. 82, la Procura nazionale Antimafia ha evidenziato che non era ancora concluso il processo a suo carico e che era in corso la deliberazione sull’ammissione al programma di protezione, sicchè non risultava ancora certa la rottura con gli ambienti criminali di provenienza.
Le circostanze addotte dal ricorrente in cirdine alla sopravvenuta sentenza di condanna con il riconoscimento dell’attenuante della collaborazione e l’ammissione definitiva al programma di protezione non possono essere prese in esame in questa sede, in quanto, sia che fossero preesistenti o sopravvenute alla valutazione compiuta dal giudice procedente, rappresentano elementi di fatto che devono essere necessariamente oggetto di apprezzamento diretto da parte del giudice competente per il merito, al quale devono essere necessariamente sottoposti.
Il sindacato di legittimità in materia cautelare investe solo la valutazione operata dal giudice che procede, non essendo consentito procedere ad un autonomo apprezzamento di elementi di fatto non previamente verificati e già valutati nel giudizio di merito.
Quanto agli effetti che collaborazione prodluce rispetto alla custodia cautelare in carcere, va rammentato che a norma dell’art. 16-octies del d.l. citato, “La misura della custodia cautelare non puo’ essere revocata o sostituita con altra misura meno grave per il solo fatto che la persona nei cui confronti è stata disposta tiene o ha tenuto taluna delle condotte di collaborazione che consentono la concessione delle circostanze attenuanti previste dal codice penale o da disposizioni speciali. In tali casi, alla revoca o alla sostituzione puo’ procedersi sol se, nell’ambito degli accertamenti condotti in ordine alla sussistenza delle esigenze cautelari, il giudice che procede, sentiti il procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo e i procuratori generali presso le corti di appello interessati, non ha acquisito elementi dai quali si desuma l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o terroristico-eversivo e ha accertato che il collaboratore, ove soggetto a speciali misure di protezione, ha rispettato gli impegni assunti a norma dell’articolo 12”.
Quindi, il GLYPH riconoscimento nel giudizio di merito dell’attenuante della collaborazione, prevista dall’art. 8 legge 12 luglio 1991, n. 203, non determina automaticamente l’affievolimento delle esigenze cautelari, essendo demandata al giudice che procede l’autonoma verifica in concreto della valenza positiva del comportamento collaborativo dell’ilmputato ai fini della esclusione della attualità dei legami con la criminalità organizzata, sulla base di tutti gli element raccolti, ivi inclusi quelli forniti dall’accusa, su cui grava l’onere di dimostrare ch nonostante la collaborazione, non vi sia stato allontanamento dal sodalizio mafioso.
Le valutazioni operate dal Tribunale non possono dirsi viziate neppure da travisamenti di elementi di fatto, in mancanza della specifica allegazione di riferimenti temporali che consentano di chiarire se le nuove emergenze siano state o meno sottoposte all’esame del giudice che procede.
Si tratta, in definitiva, di una motivazione che non presenta vizi logici manifesti e decisivi, che risulta coerente con le emergenze processuali e non risulta incrinata dalle doglianze difensive che si limitano ad invocare una diversa valutazione di merito, inammissibile in questa sede.
All’inammissibilità del ricorso consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente oltre che al pagamento delle spese del procedimento, anche a versare una somma, che si ritiene congruo determinare in tremila euro.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso il 29 novembre 2023 Il Consig GLYPH e.tensore