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Bancarotta per distrazione: compenso non deliberato

La Corte di Cassazione conferma la condanna per bancarotta per distrazione a carico di un amministratore che aveva prelevato somme dalle casse sociali a titolo di compenso. La Corte stabilisce che, in assenza di una previsione statutaria o di una delibera assembleare, tale prelievo costituisce distrazione di beni sociali e non un pagamento preferenziale. La sentenza ribadisce che l'”autoliquidazione” del compenso da parte dell’amministratore è illegittima.

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Bancarotta per Distrazione: Quando il Compenso dell’Amministratore Diventa Reato

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha affrontato un tema cruciale per gli amministratori di società: la legittimità del prelievo di somme a titolo di compenso personale dalle casse aziendali. La decisione chiarisce in modo netto la linea di demarcazione tra un atto lecito e il grave reato di bancarotta per distrazione. Questo caso serve da monito sulla necessità di rispettare rigorosamente le procedure formali per la determinazione e l’erogazione dei compensi, pena severe conseguenze penali.

I Fatti del Caso

L’amministratore di una società a responsabilità limitata è stato condannato in appello per diversi reati fallimentari. Le accuse principali includevano la bancarotta fraudolenta per distrazione di circa 18.000 euro, l’aggravamento del dissesto per aver ritardato la richiesta di fallimento e la bancarotta documentale semplice per irregolarità contabili.

Nello specifico, la distrazione contestata si componeva di due elementi: prelievi costanti dai conti correnti per un totale di oltre 16.000 euro e un ammanco di cassa di circa 1.700 euro. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che i prelievi non fossero atti di distrazione, ma la legittima retribuzione per la sua attività di amministratore, per un importo modesto di circa 540 euro mensili. A suo dire, tale condotta, al massimo, avrebbe potuto configurare il meno grave reato di bancarotta preferenziale.

Le Argomentazioni del Ricorrente e la Bancarotta per Distrazione

Il ricorso si fondava su due motivi principali:
1. Qualificazione giuridica dei prelievi: La difesa sosteneva che i prelievi fossero destinati a compensare l’attività di amministrazione e che, data l’esistenza di un credito per il lavoro svolto, l’atto non potesse essere qualificato come bancarotta per distrazione. Si chiedeva, quindi, una derubricazione a bancarotta preferenziale.
2. Carenza di motivazione sul ritardo del fallimento: L’imputato contestava la sussistenza della colpa grave, affermando che non vi fosse stato un reale aggravamento del dissesto aziendale, poiché la situazione debitoria era rimasta sostanzialmente invariata nel tempo.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso, fornendo importanti chiarimenti su entrambi i punti.

L’Autoliquidazione del Compenso Integra la Distrazione

Il cuore della decisione riguarda la natura dei prelievi. La Corte ha ribadito un principio fondamentale del diritto societario, sancito dall’art. 2389 del codice civile: il compenso degli amministratori di società di capitali deve essere stabilito nello statuto o, in sua assenza, determinato da una delibera dell’assemblea dei soci.

Non è ammessa alcuna forma di “autoliquidazione” da parte dell’amministratore. Il credito per il compenso, per essere legittimo, deve essere certo non solo nella sua esistenza (an) ma anche nel suo ammontare (quantum), e tale determinazione non può essere rimessa all’arbitrio del percettore.

Nel caso di specie, mancando una delibera assembleare o una previsione statutaria, i prelievi effettuati dall’amministratore sono stati considerati un’indebita appropriazione di beni sociali. Si tratta, pertanto, di bancarotta per distrazione e non preferenziale. Quest’ultima ipotesi si configura quando si paga un creditore legittimo a danno di altri, ma qui il credito stesso era giuridicamente incerto e non esigibile, in quanto mai formalmente deliberato.

Inoltre, la Corte ha sottolineato che l’imputato non aveva affrontato l’ulteriore addebito relativo all’ammanco di cassa, il quale non poteva in alcun modo essere giustificato come compenso.

La Prova della Colpa Grave nel Ritardo del Fallimento

Anche il secondo motivo di ricorso è stato respinto. La Cassazione ha ritenuto che la Corte d’Appello avesse adeguatamente motivato la sussistenza della colpa grave. Era emerso, infatti, che la società versava in una grave situazione di sofferenza economica da anni, tanto che l’amministratore aveva difficoltà a pagare l’affitto della sede e aveva dovuto ricorrere a finanziamenti bancari a tassi molto elevati.

In un simile contesto, la scelta di proseguire l’attività aggravando l’indebitamento, anziché avviare la procedura fallimentare, è stata logicamente considerata come una condotta connotata da colpa grave, integrando così il reato di bancarotta per ritardata richiesta di fallimento.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso: gli amministratori non possono disporre a piacimento delle risorse sociali per pagarsi i propri compensi. L’assenza di una formale delibera assembleare o di una specifica clausola statutaria trasforma il prelievo da atto gestionale a reato di bancarotta per distrazione. Questa pronuncia evidenzia l’importanza cruciale del rispetto delle procedure legali e statutarie nella gestione societaria, la cui violazione può portare a conseguenze penali di notevole gravità, a prescindere dall’entità delle somme prelevate.

L’amministratore di una società può prelevare autonomamente il proprio compenso dalle casse sociali?
No. Secondo la sentenza, il prelievo autonomo, definito “autoliquidazione”, è illegittimo se il compenso non è espressamente previsto nello statuto o determinato da una specifica delibera dell’assemblea dei soci.

Se un amministratore preleva il suo compenso senza autorizzazione, commette bancarotta per distrazione o preferenziale?
Commette il reato di bancarotta per distrazione. La Corte chiarisce che non si tratta di bancarotta preferenziale perché manca un credito certo e liquido da soddisfare. L’atto è un’indebita appropriazione di beni sociali a danno dei creditori.

Cosa costituisce colpa grave nel ritardare la dichiarazione di fallimento?
La colpa grave sussiste quando l’amministratore omette di richiedere il fallimento pur in presenza di una situazione di decozione evidente e protratta nel tempo, come la difficoltà a pagare debiti correnti (es. l’affitto) e il ricorso a finanziamenti onerosi per proseguire l’attività.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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