Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 14554 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 14554 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 17/01/2025
SENTENZA –
sul ricorso proposto d.V: COGNOME NOME nato a UDINE il 02/03/1961 COGNOME NOME nato a FORGARIA NEL FRIULI 11 15/04/1945
avverso la sentenza del 23/01/2024 della CORTE APPELLO di TRIESTE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto di rigettare il ricorso di COGNOME NOME e di dichiarare inammissibile il ricorso di COGNOME NOME;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME COGNOME che ha chiesto di accogliere il ricorso;
udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME e dell’avv. NOME COGNOME per COGNOME COGNOME che hanno chiesto di accogliere il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 3 giugno 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Udine, all’esito di giudizio abbreviato, per quanto qui di interesse, aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME alla pena di anni tre e mesi quattro di reclusione, in ordine al reato di bancarotta fraudolenta distrattiva (capo A proc. n. 6603 RGNR), in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 16 giugno 2016 (il giudice di primo grado aveva ritenuto assorbita nella bancarotta distrattiva il reato di bancarotta impropria da operazioni dolose, originariamente contestato, e aveva assolto gli imputati dal reato di bancarotta preferenziale).
Con separata sentenza emessa il 15 febbraio 2022, il Tribunale di Udine, per quanto qui di interesse, aveva condannato COGNOME NOME e COGNOME NOME alla pena di anni due di reclusione, in ordine a due ipotesi di bancarotta preferenziale (capi B e C proc. n. 8402/17 RGNR), in relazione alla “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 17 ottobre 2016 (il Tribunale aveva assolto gli imputati dai reati di bancarotta fraudolenta distrattiva e di bancarotta impropria da falso in bilancio).
Con sentenza pronunziata il 23 gennaio 2024, a seguito della riunione dei processi, la Corte di appello di Trieste, in parziale riforma delle sentenze di primo grado, su concorde richiesta delle parti, previo riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati oggetto delle sentenze appellate e riconoscimento delle attenuanti generiche, ritenute prevalenti sulle contestate aggravanti, ha rideterminato la pena inflitta a COGNOME NOME in anni due e mesi quattro di reclusione. Quanto alla posizione di COGNOME COGNOME ha assolto l’imputato dal reato di bancarotta preferenziale di cui al capo C (proc. n. 8402/17 RGNR), limitatamente alle condotte successive al 22 ottobre 2015, ha riconosciuto il vincolo della continuazione tra i reati oggetto delle sentenze appellate e ha rideterminato la pena in anni quattro di reclusione.
Secondo l’ipotesi accusatoria, ritenuta fondata dai giudici di merito, COGNOME NOME (nella qualità di presidente del consiglio di amministrazione della “RAGIONE_SOCIALE” nonché di presidente del consiglio di gestione e di socio della controllante “RAGIONE_SOCIALE“) e COGNOME Giuliano (nella qualità di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE” nonché di amministratore di fatto e di socio della “RAGIONE_SOCIALE“) avrebbero distratto ingenti somme della “RAGIONE_SOCIALE“, destinandole al finanziamento della “RAGIONE_SOCIALE“, anziché al pagamento dei debiti verso i propri fornitori, verso i propri finanziatori e verso il fisco (capo A proc. n. 6603/16 RGNR). La società fallita era stata costituita con l’unico scopo di eseguire i lavori per la costruzion di un raccordo autostradale tra lo svincolo di Firmo dell’autostrada A3 e lo svincolo
di Sibari della S.S. 106, affidati dall’ente appaltante “RAGIONE_SOCIALE” all’A.T.I. “RAGIONE_SOCIALE“. La “RAGIONE_SOCIALE” si era aggiudicata la gara di appalto indetta dall’Anas, ma aveva costituito una ATI con il “RAGIONE_SOCIALE“, necessitando per la stipula del contratto con “RAGIONE_SOCIALE” di una società che avesse i requisiti tecnici di cui essa era priva. L’A.T.I., poi, per l’esecuzione dei lavori, aveva costituito la “RAGIONE_SOCIALE“, che risultava controllata per il 65% dalla “RAGIONE_SOCIALE” e per il 35% dal “RAGIONE_SOCIALE“.
Quanto ai reati oggetto del procedimento n. 8402/17 RGNR, i giudici di merito hanno ritenuto che COGNOME NOME (nella qualità di presidente del consiglio di gestione della “RAGIONE_SOCIALE“) e COGNOME NOME (nella qualità di amministratore di fatto della RAGIONE_SOCIALE“) avrebbero eseguito un pagamento preferenziale a favore della società “RAGIONE_SOCIALE“, attraverso l’atto di compensazione del credito vantato, per la restituzione di caparre confirmatorie, dalla “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti dei fratelli COGNOME, per complessivi euro 450.000,00, con il debito di “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“. In particolare: COGNOME NOME e COGNOME Giuliano, a seguito della mancata conclusione dei contratti definitivi, dovevano restituire alla “RAGIONE_SOCIALE” le caparre ricevute nel 2008; nel 2015, COGNOME NOME e COGNOME NOME avevano acquisito dall’altra società di famiglia (“RAGIONE_SOCIALE“) il credito verso la “RAGIONE_SOCIALE” per canoni pregressi, maturati per l’affitto della sede; nel dicembre 2015, era stata realizzata l’operazione di compensazione (capo B proc. n. 8402/17 RGNR).
Nelle medesime qualità, COGNOME NOME e COGNOME Giuliano avrebbero eseguito anche pagamenti preferenziali, a titolo di compensi e rimborsi, a favore degli amministratori di diritto e di fatto. In particolare, negli anni 2014 e 2015 avrebbero versato: euro 394.230,03 a favore di COGNOME NOME; euro 143.054,32 a favore di COGNOME NOME; euro 376.023,42 a favore di COGNOME NOME; euro 357.756,31 a favore di COGNOME NOME (capo C proc. n. 8402/17 RGNR).
Avverso la sentenza della Corte di appello, entrambi gli imputati hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo dei loro difensori di fiducia.
Il ricorso di COGNOME Giuliano si compone di diciannove motivi.
3.1. Con un primo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003, 93 d.P.R. n. 207 del 2010 e 2634 cod. civ.
Sostiene che le operazioni censurate sarebbero state legittimamente realizzate dagli amministratori della “RAGIONE_SOCIALE, nell’ambito della regolare
gestione delle risorse a disposizione per l’esecuzione dei lavori, atteso che i rapporti giuridici correlati all’appalto, in realtà, sarebbero riferibili proprio “RAGIONE_SOCIALE“, quale aggiudicataria dell’appalto. La circostanza che, successivamente all’aggiudicazione, era stata costituita una società consortile risultava ininfluente rispetto alle responsabilità per le obbligazioni conseguenti all’appalto, che sarebbero rimaste in capo all’aggiudicataria della commessa.
Dagli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003 e 93 d.P.R. n. 207 del 2010, invero, emergerebbe che: sono l’ATI e le imprese che la compongono la parte contraente, responsabile verso la stazione appaltante; la società consortile sarebbe un soggetto giuridico costituito per la mera esecuzione dei lavori, che rimarrebbe estraneo al contratto.
Nel caso di specie, dunque, la “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto aggiudicataria, sarebbe la diretta ed effettiva controparte del contratto di appalto, responsabile verso la stazione appaltante e i fornitori, e, con il suo patrimonio, garantirebbe anche gli stessi creditori della “RAGIONE_SOCIALE“.
Così ricostruito il rapporto tra le società, risulterebbe del tutto fisiologico ch le liquidità venissero portate in capo all’aggiudicataria della commessa, per far fronte alle responsabilità conseguenti alla stipula del contratto e non certo al fine di distrarre risorse della società consortile.
Il ricorrente sostiene che, tenuto conto della particolarità del rapporto tra le società in questione, dovrebbe a maggior ragione trovare applicazione l’art. 2634 cod. civ., che escluderebbe l’ingiustizia del profitto, laddove l’operazione venga realizzata in una logica di gruppo. Nel caso di specie, pur non trattandosi di un gruppo in senso proprio, dovrebbe comunque trovare applicazione la norma in questione, atteso il particolare rapporto che lega l’aggiudicataria dell’appalto alla società consortile. Evidenti sarebbero i vantaggi compensativi per l’intero gruppo, conseguenti alle operazioni di trasferimento del denaro verso l’aggiudicataria dell’appalto. La “RAGIONE_SOCIALE“, infatti, proprio grazie a quelle risorse, era riusci a mantenere la regolarità del DURC (presupposto essenziale per proseguire nell’esecuzione dei lavori) e a onorare i propri impegni economici, compresi quelli assunti nell’interesse della società consortile. Se tale drenaggio di denaro non fosse avvenuto, vi sarebbe stata, quale certa e immediata conseguenza pregiudizievole anche per la “RAGIONE_SOCIALE“, la revoca dell’appalto.
3.2. Con un secondo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe illogica, nelle parti in cui la Corte di appello afferma che: «la causa della stasi del cantiere oggetto di appalto sarebbe stata la mancanza di fondi per pagare i fornitori e i
subappaltatori»; «il difetto di produttività della RAGIONE_SOCIALE era imputabile alla insufficienza della manodopera presente in cantiere».
La vera causa del dissesto, in ogni caso, non sarebbe stata il trasferimento dei fondi dalla società consortile alla “RAGIONE_SOCIALE“, quanto, piuttosto, l mancanza di risorse in capo a quest’ultima, «a cagione dei ritardi dell’Anas e del mancato riconoscimento delle riserve legittimamente iscritte dalla “RAGIONE_SOCIALE“».
Al riguardo, il ricorrente sostiene che la Corte di appello non si sarebbe adeguatamente confrontata con due documenti prodotti dalla difesa: la relazione del responsabile unico del procedimento, che aveva riconosciuto la fondatezza di gran parte delle riserve, per un importo complessivo di oltre 27 milioni di euro; la transazione del dicembre 2018, sottoscritta dal fallimento della “RAGIONE_SOCIALE, dalla quale emergeva che la società era legittima creditrice di somme molto elevate, che, se le fossero state tempestivamente riconosciute, avrebbero impedito il verificarsi del fallimento. Con particolare riferimento alla transazione, il ricorrente lamenta il fatto che la Corte di appello avrebbe valutato solo il profi afferente alla proroga del termine per la conclusione dei lavori e non anche tutte le altre questioni, dalle quali emergeva la fondatezza dei crediti vantati dalla “RAGIONE_SOCIALE.
3.3. Con un terzo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che non sarebbe adeguata la motivazione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto infondato il motivo di appello con il quale la difesa aveva evidenziato che «il Giudice per l’udienza preliminare non aveva fornito congrua spiegazione della ragione per la quale gli imputati fossero da ritenersi consapevoli, fin dall’inizio, del fatto che l’operazione sarebbe stata nel suo complesso fallimentare».
Al riguardo, il ricorrente pone in rilievo che: rispetto all’ordinario svolgiment della realizzazione dei lavori, erano sopravvenute cause inizialmente imprevedibili, come la proposizione di un ricorso giurisdizionale da parte di altra impresa, che aveva comportato il ritardo della consegna del cantiere; l’offerta della società aggiudicataria dell’appalto era del tutto congrua e sostenibile; le riserve iscritte erano fondate; contrariamente a quanto sostenuto dalla Corte d’appello, nel momento in cui aveva presentato l’offerta, la “RAGIONE_SOCIALE” non si trovava in uno stato di crisi.
Evidenzia anche la contraddittorietà delle decisioni dei giudici di merito, che non avevano ritenuto sussistente il reato originariamente contestato di bancarotta per operazioni dolose, per difetto dell’elemento soggettivo.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che, in ogni caso, anche se non vi fosse stato il trasferimento di risorse alla “capogruppo”, la società consortile sarebbe comunque fallita in conseguenza del fallimento della “RAGIONE_SOCIALE“, che avrebbe determinato la risoluzione del contratto con l’ANAS.
3.4. Con un quarto motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe solo parzialmente risposto al quarto motivo di gravame, con il quale la difesa aveva censurato la sentenza di primo grado, «in merito alla valutazione del comportamento tenuto dall’Anas in relazione alle interferenze e ai fattori esterni», con particolare riferimento: al ritardo di mesi tra aggiudicazione e consegna dei lavori; ai ritardi nell’espletamento delle procedure di esproprio; ai problemi di natura tecnica; al mancato riscontro all’iscrizione delle riserve.
La Corte di appello, nel rispondere a tali rilievi, avrebbe fatto riferimento esclusivamente alla questione delle riserve e alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in sede di accertamento tecnico preventivo, senza valutare il documento interno dell’Anas, dal quale emergerebbe la quasi integrale fondatezza delle riserve iscritte.
3.5. Con un quinto motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa al quinto motivo d’appello, con il quale la difesa aveva contestato l’affermazione del giudice di primo grado, secondo il quale gli imputati, in considerazione delle loro particolari qualifiche, sarebbero stati in grado di prevedere l’esito infausto dell’operazione.
La Corte di appello avrebbe rigettato il quinto motivo di appello focalizzando l’attenzione sugli indici di fraudolenza, desunti dalle dichiarazioni delle persone informate sui fatti, che avevano riferito che: il cantiere aveva operato a rilento perché sottodinnensionato e perché non c’erano i soldi per pagare i fornitori; il dissesto era derivato dal mancato pagamento dei fornitori della RAGIONE_SOCIALESibari, causato dal fatto che, all’insaputa dei soci del “RAGIONE_SOCIALEGrecale”, mediante bonifici con le generiche causali giroconto o finanziamento, erano state drenate a favore della “RAGIONE_SOCIALE” anche le risorse di cui la Firmo-COGNOME non poteva fare a meno per portare avanti la realizzazione dell’opera.
Con tale motivazione, la Corte di appello non solo non avrebbe colto la portata effettiva del motivo di gravame, ma non avrebbe neppure tenuto conto del fatto che, sulla base della normativa in materia di lavori pubblici, la società consortile era «null’altro che un mero strumento formale, in relazione a una commessa che faceva comunque capo all’appaltatore», con la conseguenza che i fornitori della
“RAGIONE_SOCIALESibari” avrebbero potuto pretendere il saldo delle prestazioni loro spettanti direttamente dalla “RAGIONE_SOCIALE“, formale aggiudicataria dell’appalto e unica vera responsabile del medesimo.
3.6. Con un sesto motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa al sesto il motivo d’appello, con il quale la difesa aveva sostenuto che non esistesse la prova certa dell’esistenza della condotta distrattiva, atteso che: i passaggi di denaro dalla “RAGIONE_SOCIALE” alla “RAGIONE_SOCIALE” erano avvenuti «in un momento storico di difficoltà di quest’ultima, dovuta a carenza di liquidità; «non era stat compreso che, non avendo altre fonti di approvvigionamento, l’operazione del passaggio di denaro era stata effettuata al solo scopo di difendere legittimamente il gruppo complessivamente inteso», atteso che, «nel caso in cui la “RAGIONE_SOCIALE” fosse entrata in difficoltà, le conseguenze si sarebbero riversate su tutte le società collegate e sulla consortile prima di tutto».
La Corte di appello avrebbe omesso di fornire adeguata risposta a tali osservazioni e in ogni caso non avrebbe tenuto conto dei seguenti elementi: «l’appalto era stato acquisito dalla “RAGIONE_SOCIALE” in Ati con il Consorzio Grecale nel mese di agosto 2012»; si erano dovuti attendere ben 15 mesi per la consegna dei lavori; successivamente erano emerse ulteriori problematiche non prevedibili; nel 2012, la “RAGIONE_SOCIALE” non versava ancora in una situazione di insanabile crisi.
3.7. Con un settimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003, 93 d.P.R. n. 207 del 2010.
Rappresenta che la difesa, con il settimo motivo d’appello, aveva censurato la sentenza di primo grado, nella parte in cui il Giudice per le indagini preliminari aveva ritenuto inconferente il richiamo alla solidarietà come «opzione alternativa per i fornitori e i creditori della Firmo-Sibari». In particolare, l’appellante ave posto in rilievo che l’autonomia patrimoniale e la distinta personalità giuridica della fallita fossero del tutto inconferenti, in considerazione delle particolari norme che disciplinano la materia degli appalti pubblici.
La Corte di appello aveva ritenuto infondato il motivo, sostenendo che: la particolare natura giuridica della “RAGIONE_SOCIALE” non elideva la sua personalità giuridica, la sua autonomia patrimoniale e la sua responsabilità verso i creditori; la “RAGIONE_SOCIALE” non aveva alcuna responsabilità verso i creditori delle società che la partecipavano, essendo eventualmente queste ultime, in base alla disciplina speciale in materia di appalti, ad essere solidalmente obbligate verso i creditori della società consortile; la “RAGIONE_SOCIALE” non doveva pagare i creditori della
“RAGIONE_SOCIALE” né finanziarie la “RAGIONE_SOCIALE“; le somme girate dalla “RAGIONE_SOCIALE“, in ogni caso, erano di molto eccedenti i costi che la Vidoni avrebbe dovuto «ribaltare» sulla società consortile, come dimostrato dal fatto che la “RAGIONE_SOCIALE” era stata ammessa al passivo della “RAGIONE_SOCIALE” per la somma di oltre 14 milioni di euro.
Tale motivazione, a parere del ricorrente, non avrebbe colto i reali contenuti del motivo di gravame e non avrebbe fatto corretta applicazione degli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003 e 93 d.P.R. n. 207 del 2010. La Corte di appello, infatti, non avrebbe tenuto conto del fatto che la “RAGIONE_SOCIALE“, in quanto aggiudicataria, era la diretta ed effettiva controparte del contratto di appalto, responsabile verso la stazione appaltante e i fornitori e che, con il suo patrimonio, garantiva anche gli stessi creditori della “RAGIONE_SOCIALESibari”, che era un mero strumento operativo per l’esecuzione dei lavori.
Nel valutare la proporzione tra le somme girate alla RAGIONE_SOCIALE e i costi da questa sostenuti, non sarebbe corretto far riferimento alla somma per la quale la “RAGIONE_SOCIALE” era stata ammessa al passivo di “RAGIONE_SOCIALE“. Detta somma infatti «fotografava un preciso momento storico» (la data del fallimento), mentre invece si sarebbe dovuto considerare anche la successiva evoluzione del rapporto. In particolare, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuto considerare che, laddove le risorse che Anas doveva versare alla COGNOME fossero «tempestivamente rientrate», quest’ultima le avrebbe destinate a “coprire” il debito che aveva nei confronti della società consortile.
3.8. Con un ottavo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Rappresenta che, con l’ottavo motivo di appello, la difesa aveva posto in rilievo che, nel caso in esame, non si potesse «parlare di alterità giuridica tra le società coinvolte, alla luce della normativa di settore e della stessa situazione di inscindibilità di fatto creatasi tra la COGNOME e la RAGIONE_SOCIALESibari». Lo stesso pubblico ministero, al momento di prestare il proprio assenso al concordato preventivo della COGNOME, avrebbe condiviso «l’impostazione dell’unitarietà di scopi e sorti tra la COGNOME e la Firmo-Sibari». Così come il curatore del fallimento della Vidoni, previo parere favorevole del giudice delegato, aveva proseguito le cause contro l’Anas, comprese quelle riferite alle specifiche riserve relative ai lavori in questione.
In sostanza, tutti i soggetti coinvolti avrebbero «sposato» la tesi sostenuta dalla difesa, secondo la quale si doveva considerare «la transitorietà, contingenza e reversibilità dei trasferimenti dalla Firmo-COGNOME alla COGNOME, nell’ambito di una fisiologica gestione del contratto di appalto, inseriti in un contesto, in un frangente temporale nel quale non vi era ragione per ritenere che tutto sarebbe successivamente crollato, con il fallimento di tutti i soggetti coinvolti».
Tali profili, esposti nell’ottavo motivo di appello, sarebbero stati completamente trascurati dalla Corte d’appello.
3.9. Con un nono motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta il ruolo di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALESibari” riconosciuto dai giudici di merito all’imputato, sostenendo che la motivazione della sentenza impugnata, sul punto, sarebbe insufficiente.
Le testimonianze poste dai giudici di merito a base della loro valutazione sarebbero scarsamente attendibili e insufficienti a dimostrare con certezza il ruolo di amministratore di fatto rivestito dell’imputato.
In particolare, i testi COGNOME e COGNOME sarebbero poco attendibili, avendo entrambi usato le medesime parole e non essendo mai stati nel cantiere. Il teste COGNOME sarebbe poco attendibile poiché avrebbe desunto il ruolo dell’imputato dalla sua presenza in cantiere e dalle sue decisioni in ordine alle partecipazioni a gare di appalto, non considerando che la società consortile non aveva mai partecipato a gare di appalto.
I testi COGNOME e COGNOME sarebbero scarsamente attendibili, in quanto, essendo stati amministratori di diritto della società consortile, avevano un evidente interesse a spostare le responsabilità sull’imputato.
Poco rilevante sarebbe la circostanza che l’imputato fosse stato presente alla ricognizione sommaria effettuata dal curatore fallimentare, atteso che la sua presenza era giustificata dall’interesse della COGNOME a «evitare possibili equivoci derivanti dalla promiscuità delle strutture e della potenzialmente erronea attribuzione dei beni all’una o all’altra delle due società».
Secondo il ricorrente, gli elementi valorizzati dai giudici di merito avrebbero un significato non univoco e non idoneo a dimostrare con certezza il ruolo di amministratore di fatto rivestito dall’imputato. La presenza dell’imputato sul cantiere sarebbe legata allo svolgimento di attività lavorative e non sarebbe significativa dell’espletamento di atti di gestione della società. I rapporti con fornitori e le decisioni inerenti alla commessa erano correlati al fatto che l’imputato era l’amministratore di fatto della COGNOME aggiudicataria dell’appalto.
3.10. Con un decimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Contesta la rilevanza data dai giudici di merito alle dichiarazioni con le quali l’ing. COGNOME aveva riferito che anche l’imputato era a conoscenza della compensazione che egli aveva concordato con l’ing. COGNOME, amministratore di diritto della “RAGIONE_SOCIALE“, in relazione ai rapporti di dare/avere tra la sua società (la “RAGIONE_SOCIALE“) e la società consortile. Tale conoscenza non risultava affatto significativa del ruolo di amministratore di fatto della società consortile rivestito dall’imputato,
atteso che la conoscenza di quell’accordo era del tutto compatibile con il diverso ruolo svolto dall’imputato di amministratore di fatto della COGNOME che, essendo aggiudicataria della commessa, era anche esposta finanziariamente per la sua esecuzione.
3.11. Con un undicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Rappresenta che la difesa, con l’undicesimo motivo di gravame, aveva lamentato il fatto che il giudice di primo grado aveva ignorato le dichiarazioni rese dai dipendenti della “RAGIONE_SOCIALESibari” e, in particolare, dai testi COGNOME COGNOME COGNOME e COGNOME nessuno dei quali aveva riferito di avere mai ricevuto ordini dall’imputato.
La Corte d’appello, tuttavia, ha ritenuto che: il ruolo di amministratore di fatto risultasse dalle concordi dichiarazioni rese dai dipendenti COGNOME, COGNOME e COGNOME, che avevano rilevanti qualifiche amministrative e tecniche, inerenti alla redazione dei bilanci, ai rapporti con i fornitori e alla direzione dei cantieri; i t citati dalla difesa, invece, avevano compiti marginali, che non li portavano a interloquire con coloro che decidevano le sorti della società.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che i testi addotti a sostegno dell’accusa sarebbero stati condizionati da loro personali interessi, si sarebbero espressi «in termini di supposizioni» o comunque avrebbero riferito di fatti che erano pienamente compatibili anche con il riconoscimento all’imputato del solo ruolo di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE. Per contro, i testi addotti dalla difes non avevano affatto ruoli marginali, svolgendo attività operative sia nell’amministrazione che nell’attività di cantiere. E la Corte di appello, in ogni caso, sarebbe caduta in contraddizione nel non dare credito alle dichiarazioni del COGNOME relative all’amministrazione della “RAGIONE_SOCIALESibari”, quando, invece, aveva dato ampio spazio alle dichiarazioni rese da quello stesso teste, con riferimento al ruolo di amministratore di fatto della COGNOME rivestito dall’imputato.
3.12. Con un dodicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Rappresenta che i giudici di merito, al fine del riconoscimento all’imputato del ruolo di amministratore di fatto della società consortile, avevano attribuito rilevanza anche alle dichiarazioni rese dal consulente dott. COGNOME che aveva riferito di avere appreso delle vicende della Firmo-Sibari proprio dall’imputato e non dagli amministratori di diritto della società.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la rilevanza delle dichiarazioni del Bianco, atteso che la conoscenza delle vicende della Firmo-COGNOME era perfettamente giustifica bile anche con la sola veste di amministratore di fatto della
COGNOME rivestita dall’imputato. La COGNOME, infatti, era l’aggiudicataria dell’appalt era esposta finanziariamente per la sua esecuzione ed era responsabile in solido per il pagamento dei fornitori. Risultava, pertanto, pienamente giustificato che le informazioni relative alla società consortile, costituita proprio per l’esecuzione dei lavori, rientrassero nel patrimonio di conoscenza dell’amministratore di fatto della COGNOME.
3.13. Con un tredicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 2639 cod. civ.
Rappresenta che la Corte di appello ha affermato che l’imputato aveva gestito di fatto la società consortile attraverso gli amministratori di diritto e, in particola per il tramite dell’ingegnere COGNOME, che non aveva mai assunto in autonomia alcuna decisione, rimettendosi sempre alla volontà dell’imputato, da lui «definito come il ” pa ro n”».
Il ricorrente contesta tale affermazione, sostenendo che le dichiarazioni dell’ingegnere COGNOME sarebbero condizionate dal suo interesse a spostare su altri le responsabilità per i fatti oggetto di processo. Interesse perfettamente conseguito, visto che il COGNOME non era stato coinvolto nel processo, sebbene avesse compiuto atti di gestione, perfettamente coerenti con il ruolo formale da lui rivestito. Sotto altro profilo, il ricorrente pone in rilievo come le valutazioni dei giudici di meri relative ai ruoli rivestiti dall’imputato e dal COGNOME nell’ambito della società consorti siano poco coerenti con quelle relative alle posizioni di COGNOME NOME e COGNOME NOME, ritenuti penalmente responsabili, in coerenza con il ruolo formale da loro rivestito in seno alla “RAGIONE_SOCIALESibari”.
3.14. Con un quattordicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce il vizio di motivazione.
Sostiene che la Corte di appello avrebbe omesso di rispondere al quattordicesimo motivo di gravame, con il quale la difesa aveva sostenuto che non fosse emerso un solo atto di gestione compiuto dall’imputato.
3.15. Con un quindicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 533 cod. proc. pen.
Rappresenta che la difesa, con il quindicesimo motivo di gravame, aveva posto in rilievo che il ruolo dell’imputato quale amministratore di fatto della società consortile era poco compatibile con il fatto che l’attività della società era continuata anche dopo l’arresto dell’imputato per la vicenda relativa alla presunta tangente ai funzionari dell’Anas. La difesa aveva rappresentato anche che, nell’ambito di un diverso processo, il Tribunale di Udine aveva assolto l’imputato da una serie di
reati per fiscali, proprio perché l’omesso versamento delle imposte si era perfezionato solo nel periodo in cui l’imputato si trova detenuto.
Tanto premesso, il ricorrente contesta la motivazione della sentenza impugnata, nella parte relativa al rigetto di tale motivo di impugnazione, sostenendo che la Corte di appello non avrebbe considerato i seguenti elementi: era stato il legale rappresentante della società consortile a dare gli ordini di pagamento nel 2013 e nel 2014; anche dopo l’arresto dell’imputato erano avvenuti diversi scambi tra la COGNOME e la società consortile; al momento dell’arresto dell’imputato la posizione debitoria della Vidoni nei confronti della società consortile era inferiore a quella finale; l’art. 5 dello statuto, prevedeva che la società potesse compiere tutte le operazioni finanziarie strumentali al conseguimento dell’oggetto sociale.
In assenza della prova che l’imputato avesse compiuto atti di gestione della società e al contempo della presenza di elementi certi circa il fatto che la società fosse gestita da altre persone (dimostrato dalla prosecuzione dell’attività nei mesi successivi all’arresto dell’imputato), si dovrebbe ritenere non raggiunta la prova, «al di là di ogni ragionevole dubbio», della responsabilità dell’imputato per gli atti distrattivi contestati.
3.16. Con un sedicesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta distrattiva, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 133 cod. pen.
Rappresenta che la difesa, con il sedicesimo motivo d’appello, aveva censurato la pena applicata dal Giudice per le indagini preliminari di Udine all’imputato (anni tre e mesi quattro di reclusione), ritenuta sproporzionata rispetto a quella applicata al coimputato COGNOME NOME (anni due mesi 8 di reclusione).
La Corte di appello, tuttavia, aveva ritenuto infondato il motivo, sottolineando il ruolo di preminenza assoluta rivestito dall’imputato nella gestione della società consortile e l’intensità del dolo.
Il ricorrente contesta tale motivazione, sostenendo che la ritenuta intensità del dolo contrasterebbe con la complessiva ricostruzione della vicenda, dalla quale emergerebbe che l’operato dell’imputato sarebbe stato finalizzato non a distrarre le somme per far fallire la società consortile, ma invece a permettere la conservazione della commessa e l’ultimazione dei lavori. Il ricorrente contesta inoltre il mancato bilanciamento delle circostanze e il mancato rilievo attribuito all’accordo transattivo raggiunto con la curatela.
3.17. Con un diciassettesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta preferenziale contestata al capo B del proc. n. 8402/17 RGNR, deduce
i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 133 cod. pen.
Con riferimento alla bancarotta preferenziale realizzata mediante la compensazione tra il credito vantato dalla “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti dei fratelli COGNOME, per la restituzione di caparre confirmatorie, per complessivi euro 450.000,00, e il debito di “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“, i ricorrente sostiene che i giudici di merito non avrebbero compreso che l’operazione non si era realizzata per effetto di un atto compiuto dalla “RAGIONE_SOCIALE“, mediante i suoi amministratori, ma per effetto di un atto compiuto dalle persone fisiche COGNOME NOME e COGNOME NOME, che, autonomamente e lecitamente, avevano acquistato il credito vantato dalla “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE“, per canoni di locazione scaduti e non pagati. Si trattava, dunque, di un’operazione estranea alla “RAGIONE_SOCIALE” e che gli amministratori della società non avrebbero potuto impedire.
Sotto altro profilo, il ricorrente evidenzia che l’acquisto dei crediti dell “RAGIONE_SOCIALE” era avvenuto il 31 dicembre 2015, ossia pochi mesi prima della presentazione della domanda di concordato, avvenuto il 17 marzo 2016. Il curatore, pertanto, ben avrebbe potuto contestare la compensazione, escludendo qualsiasi effetto satisfattivo per la “RAGIONE_SOCIALE“, in base all’art. 56 legge fal che escludeva la compensabilità dei debiti verso il fallito con i crediti acquistati nell’anno anteriore al fallimento. A parere del ricorrente, non si potrebbe addebitare all’imputato un’operazione i cui effetti potevano essere evitati con l’intervento del curatore.
3.18. Con un diciottesimo motivo, articolato con riferimento alla bancarotta preferenziale contestata al capo C del proc. n. 8402/17 RGNR, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Con riferimento alla bancarotta preferenziale realizzata mediante pagamenti a favore degli amministratori a titolo di compensi e rimborsi, il ricorrente sostiene che lo stato di insolvenza della società non si sarebbe manifestato già nel 2014, come ritenuto dai giudici di merito, ma solo nell’ottobre 2015, con l’arresto dell’imputato. La società, infatti, fino all’arresto dell’imputato, era stata in gra di proseguire la propria attività, «stroncata» solo con la risoluzione del contratto operata dall’ANAS.
Il ricorrente evidenzia come la collocazione dello stato di insolvenza nell’ottobre 2015 risulti perfettamente coerente con quanto affermato dal Tribunale delle imprese di Trieste, nell’ambito del giudizio civile.
La Corte di appello, invece, si sarebbe basata solamente sulla valutazione del curatore, che aveva collocato lo stato di insolvenza nel 2014, probabilmente perché non aveva dato adeguato rilievo all’ingente credito relativo alla voce riserve
extracontrattuali sugli appalti pubblici, in quanto, al momento della redazione della relazione, nel 2018, tale credito non risultava incassato.
La Corte d’appello, in ogni caso, non avrebbe dato adeguato rilievo a una serie di elementi evidenziati dalla difesa, tra i quali: le due precedenti istanze di fallimento, che erano state oggetto di rinuncia; l’assenza di altre istanze; la mancanza di qualsiasi iniziativa da parte del pubblico ministero; la mancanza di qualsiasi istanza di adesione o di intervento da parte di altri creditori; le valutazion favorevoli del collegio sindacale.
Sotto altro profilo, il ricorrente sostiene che, dal calcolo dei compensi erogati, dovrebbero essere «depurati» quelli corrisposti nel periodo di detenzione dell’imputato, non potendosi configurare una sua responsabilità in relazione alla liquidazione di tali compensi, in un periodo in cui egli si trovava ristretto i detenzione domiciliare. La circostanza che, anche dopo il suo arresto, erano stati liquidati compensi agli amministratori sarebbe, peraltro, significativa della circostanza che tali operazioni potevano essere decise a prescindere dalla sua volontà.
3.19. Con un diciannovesimo motivo, deduce i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Contesta la pena di mesi otto di reclusione (applicata con riferimento ai reati di bancarotta preferenziale contestati nel proc. n. 8402/17 RGNR), messa in continuazione con la pena base di anni tre e mesi quattro di reclusione, applicata per il reato di bancarotta distrattiva. Sostiene che tale pena sarebbe irragionevole e incongrua, sia perché non sarebbe stata diminuita la pena base, sia perché sarebbe stata determinata senza tenere conto delle transazioni intercorse e dei risarcimenti finanziati con risorse personali dell’imputato.
Il ricorso di COGNOME NOME si compone di due motivi.
4.1. Con un primo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione agli artt. 168 cod. pen. e 597 e 599 cod. proc. pen.
Rappresenta che la Corte di appello ha revocato la sospensione condizionale della pena inflitta con la sentenza emessa dal Tribunale di Udine il 15 febbraio 2022 (si tratta di una delle due sentenze impugnate davanti alla Corte di appello di Trieste).
Tanto premesso, il ricorrente sostiene che tale pronuncia si porrebbe in contrasto con il concordato concluso, ai sensi dell’art. 599-bis cod. proc. pen., tra il Procuratore generale e l’imputato, atteso che l’accordo non prevedeva la revoca del beneficio in questione.
Sotto altro profilo, lamenta la mancanza di motivazione in ordine all’intervenuta revoca, che, peraltro, non potrebbe essere pronunciata d’ufficio, ostandovi il divieto di reformatio in peius.
4.2. Con un secondo motivo, deduce i vizi di erronea applicazione della legge penale e di inosservanza di norme processuali, in relazione all’art. 599-bis cod. proc. pen.
Sostiene che la Corte di appello, essendosi pronunciata in maniera difforme all’accordo, non avrebbe potuto dichiarare inammissibile l’appello, ma avrebbe dovuto disporre la prosecuzione del giudizio, a norma dell’art. 599-bis, comma 3, cod. proc. pen.
L’avv. NOME COGNOME nell’interesse di COGNOME COGNOME, ha depositato una memoria (alla quale ha allegato svariati documenti), con la quale ha rappresentato che l’imputato è stato prosciolto dal reato di corruzione, relativo al pagamento di “tangenti” in favore di funzionari dell’Anas. Il Tribunale di Roma avrebbe riconosciuto l’esistenza di «una manovra concussiva» realizzata dai funzionari dell’Anas attraverso la dilazione e il mancato riconoscimento di crediti da riserva, senza i quali sarebbero venuti meno i fallimenti sia della “RAGIONE_SOCIALE” che della società consortile. Il difensore ha depositato anche note di replica alla requisitoria del Procuratore generale.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso di COGNOME Giuliano deve essere rigettato, mentre, invece, quello di COGNOME Marco deve essere dichiarato inammissibile. In particolare, atteso che si tratta di una sentenza di condanna cumulativa, che riguarda più reati ascritti agli stessi imputati, deve essere precisato che, con riferimento alla posizione di COGNOME Marco, l’impugnazione risulta inammissibile per tutti i reati a lui contestati, risultando inammissibili i motivi di ricorso relativi a tutti i reati a lui contestati. riferimento alla posizione di COGNOME COGNOME invece, deve essere rilevato che il ricorso, mentre si presenta infondato nella parte relativa al reato di bancarotta distrattiva (in quanto solo alcuni motivi di ricorso relativi a tale reato sono inammissibili, mentre altri sono infondati), è inammissibile nella parte relativa ai reati di bancarotta preferenziale, essendo inammissibili tutti i motivi di ricorso relativi a tali reati.
Tale precisazione appare necessaria, atteso che il termine massimo di prescrizione previsto per i reati di bancarotta fraudolenta preferenziale (anni sette e mesi sei), iniziato a decorrere il 17 ottobre 2016, risulta decorso (in considerazione delle intervenute sospensioni) il 28 luglio 2024, dopo la pronuncia
della sentenza di appello, intervenuta il 23 gennaio 2024. Al riguardo, va ricordato che, «in caso di ricorso avverso una sentenza di condanna cumulativa, che riguardi più reati ascritti allo stesso imputato, l’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione impedisce che l’ammissibilità dell’impugnazione per uno dei reati possa determinare l’instaurazione di un valido rapporto processuale anche per i reati in relazione ai quali i motivi dedotti siano inammissibili, con la conseguenza che per tali reati, nei cui confronti si è formato il giudicato parziale, è preclusa la possibilità di rilevare la prescrizione maturata dopo la sentenza di appello» (Sez. U, n. 6903 del 27/05/2016, COGNOME, Rv. 268966). Nel caso in esame, pertanto, l’ammissibilità dell’impugnazione per il reato di bancarotta fraudolenta distrattiva – in considerazione dell’autonomia dell’azione penale e dei rapporti processuali inerenti ai singoli capi di imputazione – non incide sui reati di bancarotta fraudolenta preferenziale, in relazione ai quali l’inammissibilità dei motivi di ricorso a essi inerenti e la conseguente mancata istaurazione di un valido rapporto processuale preclude la possibilità di rilevare la prescrizione.
Il ricorso di COGNOME deve essere rigettato.
2.1. Il primo, il settimo e l’ottavo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati tra loro – sono infondati.
2.1.1. Il ricorrente, in sostanza, sostiene che le operazioni censurate non costituirebbero una distrazione di somme di denaro della società consortile in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, ma semplicemente una legittima gestione, operata dagli amministratori di quest’ultima, delle risorse a disposizione per l’esecuzione dei lavori, atteso che i rapporti giuridici correlati all’appalto, in realtà, sarebbe riferibili proprio alla “RAGIONE_SOCIALE“, quale parte contraente dell’appalto. L circostanza che, successivamente all’aggiudicazione, era stata costituita una società consortile risultava ininfluente rispetto alle responsabilità per le obbligazioni conseguenti all’appalto, che sarebbero rimaste in capo all’aggiudicataria della commessa. Dagli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003 e 93 d.P.R. n. 207 del 2010, invero, emergerebbe una disciplina speciale che configurerebbe la società consortile come mera struttura operativa al servizio delle imprese riunite nella A.T.I. La «normativa di settore» porterebbe a un superamento della «alterità giuridica tra le società coinvolte». Risulterebbe, pertanto, del tutto fisiologico che le liquidità venissero portate in capo all’aggiudicataria della commessa, per far fronte alle responsabilità conseguenti alla stipula del contratto.
Orbene, va premesso che, dalla rigorosa ricostruzione in fatto operata dai giudici di merito, risulta che le somme in questione risultavano rientrare nel patrimonio della società consortile. La tesi del ricorrente, dunque, presuppone che:
sulla base della normativa speciale in materia di lavori pubblici, la “RAGIONE_SOCIALE” potesse disporre dei beni del patrimonio della società consortile; gli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003 e 93 d.P.R. n. 207 del 2010 configurino delle società consortili particolari, senza distinta personalità giuridica e prive di autonomia patrimoniale.
Va, tuttavia, rilevato che, dalle norme speciali in materia di appalti pubblici, non emerge affatto un superamento delle norme e dei principi generali in materia di società e di consorzi, che distinguono la personalità giuridica e i patrimoni delle società consortili da quelli dei consorziati.
Al riguardo, va rilevato che il consorzio, di per sé, a prescindere dalla sua forma giuridica, è dotato di un’autonomia patrimoniale, che assicura una priorità di tutela verso i creditori del consorzio rispetto alle pretese di ripartizione da part dei consorziati (e dei creditori dei consorziati), attraverso la destinazione vincolata del fondo consortile a tutela dei creditori consortili.
In questo senso, è chiaro il disposto dell’art. 2614 cod. civ.: «i contributi dei consorziati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo consortile; per la durata del consorzio i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo, e i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro dirit sul fondo medesimo».
L’art. 2615 del cod. civ., poi, chiarisce che, a fronte del vincolo di destinazione del fondo consortile a favore dei creditori del medesimo consorzio, questi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile.
Il dato normativo è univoco, quindi, nel determinare una separazione netta del patrimonio del consorzio rispetto a quello dei consorziati.
Rimane allora da chiarire se le invocate norme speciali di cui all’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, richiamata dall’art. 34, comma 1 lett. e) per i consorzi costituiti in forma societaria per l’esecuzione di contratti pubblici, e all’art. d.P.R. n. 207 del 2010 prevedano una deroga espressa ai principi generali e, in caso positivo, in che termini tale deroga incida rispetto alla tutela dei creditori della società consortile.
Ebbene, dalle norme in questione e, in particolare, dalla lettura degli artt. 37 d.lgs. n. 163 del 2003 e 93 d.P.R. n. 207 del 2010, è desumibile che – quando le imprese riunite in un’associazione temporanea, dopo l’aggiudicazione, costituiscano tra loro una società anche consortile «per l’esecuzione unitaria, totale o parziale, dei lavori» – le parti contraenti dell’appalto rimangano le società che compongono l’associazione temporanea (cfr. Cass. Civ., Sez. II, n. 2173 del 22 gennaio 2024, Rv. 669985), ma non emerge affatto che la costituita società consortile risulti priva di una distinta soggettività giuridica e di un propr patrimonio, distinto da quello delle società riunite nell’associazione temporanea. Non emerge soprattutto una deroga espressa alla disciplina in tema di tutela del
ceto creditorio delle società consortili, rimanendo quindi l’affidamento dei creditori di queste ultime di poter contare, in via prioritaria rispetto ai creditori d consorziati, sulla garanzia patrimoniale costituita dal fondo consortile, acquisendo, anzi, in via aggiuntiva, l’ulteriore tutela di potersi rivalere anche direttament verso i consorziati.
Le norme in questione, quindi, pongono una deroga alla disciplina generale, ma a tutela dei creditori del consorzio e non già in loro pregiudizio. Non risulta, dunque, consentita alcuna operazione di distrazione o depauperamento della società consortile, che ha una propria autonomia patrimoniale, accompagnata da precise regole di tutela dei creditori.
Nel caso in esame, mediante l’operazione contestata, sono state distratte risorse della società consortile, creando pregiudizio ai creditori di quest’ultima e deve essere sottolineato che la possibilità per i creditori della società consortile di agire nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” non li compensa pienamente del pregiudizio subito, atteso che, rispetto ai beni distratti, essi devono concorre con i creditori della “RAGIONE_SOCIALE“, quando, invece, senza distrazione, avrebbero potuto soddisfarsi su di essi, in via esclusiva, senza concorrere con altri.
2.1.2. Quanto alla sussistenza del gruppo e dei vantaggi compensativi per l’intero gruppo, va, in primo luogo, rilevato che non risulta dimostrato, come ammette lo stesso ricorrente, la sussistenza di un vero e proprio gruppo. Va, poi, evidenziato che non risulta in alcun modo dimostrata la sussistenza di un concreto vantaggio compensativo per la società consortile, che dovrebbe consistere in effettive entrate di corrispondente valore e non nell’asserito, generico ed indiretto vantaggio costituito dal fatto che, con lo spostamento del denaro verso la “RAGIONE_SOCIALE, quest’ultima avrebbe ottenuto le risorse che le avrebbero consentito di evitare la revoca dell’appalto.
2.1.3. Va rilevato che la tesi del ricorrente si basa sul presupposto che la parte del contratto di appalto fosse la “RAGIONE_SOCIALE“, che avrebbe destinato le somme distratte ad attività e adempimenti necessari al mantenimento dell’appalto.
Al riguardo, va rilevato che, con riferimento a tale circostanza, i motivi risultano generici e meramente assertivi, atteso che non risulta dimostrato che le ingenti somme distratte fossero state effettivamente destinate ad attività finalizzate al mantenimento del contratto di appalto. Senza contare che la parte del contratto d’appalto non era la “RAGIONE_SOCIALE“, ma l’ATI, di cui faceva parte anche il “consorzio RAGIONE_SOCIALE“.
2.2. Il secondo motivo e il quarto motivo – che possono essere trattati congiuntamente, essendo strettamente correlati – sono inammissibili.
Il ricorrente, in sostanza, deduce la presunta sussistenza di rilevanti crediti che la “RAGIONE_SOCIALE” vanterebbe nei confronti dell’Anas (sembra di capire anche
con riferimento a lavori diversi da quelli di costruzione del raccordo autostradale in questione), derivanti dalle riserve iscritte, che risulterebbero quasi tutte fondate. Sostiene che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato la documentazione dalla quale emergerebbero tali crediti, né avrebbero considerato che, se l’Anas avesse tempestivamente riconosciuto e pagato i debiti, gli amministratori della “RAGIONE_SOCIALE” avrebbero potuto riversare nelle casse della società consortile le risorse in questione. Il fallimento, dunque, sarebbe stato causato non dalla contestata operazione distrattiva, ma dai ritardi dell’Anas nel riconoscere i crediti derivanti dalle riserve legittimamente iscritte e nel pagare i conseguenti debiti.
Va, però, rilevato che, in ordine a tali vicende, il ricorrente, senza dedurre un effettivo travisamento di prova o un determinate vizio logico risultante dal testo della sentenza impugnata, sollecita questo Collegio a effettuare delle valutazioni di merito, inammissibili in questa sede, che dovrebbero supplire a quelle inadeguate, che la Corte di appello avrebbe fatto.
Va, poi, evidenziato che la rilevanza di tali vicende (che riguardano la “RAGIONE_SOCIALE“) rimane strettamente legata alla ricostruzione del ricorrente basata su un superamento dell’autonomia patrimoniale e «dell’alterità giuridica delle società coinvolte». Al riguardo, però, si è già detto che tale tesi non trova alcun fondamento giuridico e che la RAGIONE_SOCIALE e la società consortile rimanevano soggetti giuridici distinti, ciascuna con un proprio autonomo patrimonio, che costituiva garanzia per i propri creditori. L’operazione distrattiva va valutata nell’ambito di tale contesto, che non consentiva agli amministratori della “RAGIONE_SOCIALE” di sottrarre risorse del patrimonio della società consortile in favore della società da loro amministrata e in danno dei creditori della società consortile. Si trattava di ingenti somme di denaro, la cui distrazione, come posto in rilievo dai giudici di merito, determinava un rilevante depauperamento della società consortile, già in evidente difficoltà nell’adempimento delle obbligazioni verso fornitori e subappaltatori. Rispetto a tale fatto assumono scarso rilievo le vicende relative ai presunti crediti vantati dalla “RAGIONE_SOCIALE” nei confronti dell’Anas (sembra, peraltro, anche con riferimento ad appalti diversi da quelli di costruzione del raccordo autostradale in questione). In altri termini, l’eventuale sussistenza dei crediti derivanti dalle riserve iscritte non avrebbe comunque giustificato la distrazione delle risorse di “RAGIONE_SOCIALESibari” in favore della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE.
Va rilevato, infine, che la presunta incidenza delle vicende relative a tali crediti sulla causazione del fallimento, oltre a basarsi sulla ipotizzata e non dimostrata intenzione degli amministratori della “RAGIONE_SOCIALE” di riversare nella società consortile le risorse derivanti dai crediti, risulterebbe, in ogni caso, priva di rilie determinate, atteso che, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta
fraudolenta patrimoniale, non è affatto necessario che la causa del fallimento sia stata la condotta distrattiva, essendo, invece, sufficiente che l’atto di depauperamento risulti idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie.
2.3. Il terzo motivo è infondato.
2.3.1. Il ricorrente sostiene che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente dimostrato che gli imputati fossero da ritenersi consapevoli, fin dall’inizio, del fatto che l’operazione sarebbe stata nel suo complesso fallimentare.
Anche con tale motivo il ricorrente pone in rilievo l’intera operazione relativa all’appalto dei lavori, sovrapponendo la posizione della “RAGIONE_SOCIALE” con quella della società consortile, trascurando completamente la posizione dei creditori di q uest’ultima .
Ancora una volta, va ribadito che si trattava di due società distinte e che oggetto del giudizio è la distrazione in favore della Vidoni di ingenti somme di denaro della società consortile, con conseguente pregiudizio per i creditori di q uest’ultima .
Rispetto a tale operazione non risulta affatto necessario dimostrare che gli imputati fossero consapevoli, fin dall’inizio, del fatto che l’intera operazione relativa all’appalto dei lavori sarebbe stata nel suo complesso fallimentare, essendo sufficiente solo accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’operazione distrattiva delle somme di denaro, dalla società consortile alla “RAGIONE_SOCIALE“. Sotto tale profilo, va rilevato che i giudici di merito hann correttamente motivato, facendo riferimento alla volontà dell’imputato di destinare le risorse della società consortile alla “RAGIONE_SOCIALE“, nella piena consapevolezza di arrecare un serio pregiudizio ai creditori della “RAGIONE_SOCIALE“, che già si trovava in difficoltà economiche e operative. Al riguardo, va ribadito che l’elemento soggettivo del reato è costituito dal dolo generico e, in particolare, dalla consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alla finalità dell’impresa e di compiere atti che cagionino, o possano cagionare, danno ai creditori (cfr. Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763; Sez. 5, n. 35093 del 04/06/2014, Sistro, Rv. 261446; Sez. 5, n. 38325 del 03/10/2013, Ferro, Rv. 260378).
2.3.2. Il ricorrente sostiene che i giudici di merito sarebbero caduti in contraddizione nell’avere ritenuto l’imputato responsabile per la bancarotta fraudolenta distrattiva, nonostante non avessero ritenuto sussistente il reato originariamente contestato di bancarotta per operazioni dolose, per difetto dell’elemento soggettivo.
Al riguardo, va posto in rilievo che il Giudice di primo grado non ha assolto l’imputato dal reato di bancarotta impropria per operazioni dolose, ma ha ritenuto
le condotte contestate “assorbite” dal reato di bancarotta distrattiva, ritenendo, «quanto alla materialità della condotta», che si trattasse «dello stesso flusso di denaro». Il ricorrente non chiarisce quali elementi di contraddizione sussisterebbero tra tale pronuncia e la ritenuta sussistenza del reato di bancarotta distrattiva, che, peraltro, si differenzia, sia sotto il profilo oggettivo che soggetti dalla bancarotta da operazioni dolose.
2.3.3. Il ricorrente sostiene che, a prescindere dall’operazione distrattiva contestata, la società consortile sarebbe, in ogni caso, fallita.
Tale affermazione, a prescindere dalla sua fondatezza, non risulta determinante. Va, invero, ricordato che, secondo l’orientamento consolidato di questa Corte, ai fini della sussistenza del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale non è necessaria l’esistenza di un nesso causale tra i fatti di distrazione e il successivo fallimento, essendo sufficiente che l’agente abbia cagionato il depauperamento dell’impresa, destinandone le risorse a impieghi estranei alla sua attività, sempre che l’atto di depauperamento risulti idoneo a creare un pericolo reale per il soddisfacimento delle ragioni creditorie, che deve permanere fino al tempo che precede l’apertura della procedura fallimentare (cfr. Sez. 5, n. 28941 del 14/02/2024, Messina, Rv. 287059; Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562).
2.4. Il quinto motivo è infondato.
Va, in primo luogo, ribadito quanto già esposto con riferimento al terzo motivo di ricorso e, cioè, che non risulta affatto necessario dimostrare che gli imputati fossero consapevoli, fin dall’inizio, del fatto che l’intera operazione relativa all’appalto dei lavori sarebbe stata nel suo complesso fallimentare, essendo sufficiente solo accertare la sussistenza dell’elemento soggettivo dell’operazione distrattiva delle somme di denaro, dalla società consortile alla “RAGIONE_SOCIALE.
Deve essere, altresì, ribadito che la tesi del ricorrente, secondo cui la disciplina speciale in materia di lavori pubblici porterebbe a un superamento «dell’alterità giuridica delle società coinvolte», non trova alcun fondamento giuridico e che la possibilità per i creditori della società consortile di agire nei confronti della “RAGIONE_SOCIALE” non li compensa pienamente del danno subito, atteso che, rispetto ai beni distratti, essi devono concorre con i creditori della “RAGIONE_SOCIALE“, quando, invece, senza distrazione, avrebbero potuto soddisfarsi su di essi, in via esclusiva, senza concorrere con altri.
2.5. Il sesto motivo è infondato.
La circostanza che la “RAGIONE_SOCIALE” si trovasse in una situazione di difficoltà, dovuta a carenza di liquidità, non giustificava la distrazione in suo favore delle somme della società consortile. Non risulta dimostrata, inoltre, l’esistenza di un
gruppo né la destinazione delle somme ad attività finalizzate al mantenimento dell’appalto.
I restanti elementi evidenziati dal ricorrente risultano poco conferenti rispetto alla specifica condotta distrattiva, operata in pregiudizio dei creditori della società consortile.
2.6. Il nono, il decimo, l’undicesimo, il dodicesimo, il tredicesimo, il quattordicesimo e il quindicesimo motivo – che possono essere trattati congiuntamente, essendo tutti versati in fatto – sono inammissibili.
Con essi, il ricorrente ha articolato alcune censure che, pur essendo state da lui riferite alle categorie dei vizi di motivazione e di violazione di legge, ai sen dell’art. 606 cod. proc. pen., non evidenziano alcuna effettiva violazione di legge né travisamenti di prova o vizi di manifesta logicità emergenti dal testo della sentenza, ma sono, invece, dirette a ottenere una non consentita rivalutazione delle fonti probatorie e un inammissibile sindacato sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di appello (cfr. Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, COGNOME, Rv. 207944; Sez. U, n. 18620 del 19/01/2017, Patalano).
Nessuna delle numerose censure mosse dal ricorrente configura un vizio deducibile in sede di legittimità.
Egli frammenta la coerente ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito (cfr. pagine 22 e ss. della sentenza di primo grado e 48 e ss. della sentenza di appello), tentando di dare ai singoli elementi di prova una possibile diversa chiave di lettura oppure ponendo in rilievo altri elementi, che, a suo dire, sarebbero stati trascurati dalla Corte di appello e che egli, in maniera assertiva, afferma come poco coerenti con il ruolo di amministratore di fatto rivestito dall’imputato.
Così, ad esempio, in maniera generica e assertiva, giustifica la presenza dell’imputato sul cantiere con lo svolgimento di attività lavorativa, giustifica rapporti dell’imputato con i fornitori e le decisioni inerenti all’esecuzione dei lavor con il fatto che sarebbero correlati anche al ruolo di amministratore di fatto della COGNOME, giustifica la circostanza che l’imputato fosse stato presente alla ricognizione sommaria effettuata dal curatore fallimentare con l’interesse della “RAGIONE_SOCIALE” a «evitare possibili equivoci derivanti dalla promiscuità delle strutture e della potenzialmente erronea attribuzione dei beni all’una o all’altra delle due società». Interesse della “RAGIONE_SOCIALE” che, genericamente, è invocato dal ricorrente per giustificare tutta una serie di elementi (quali la conoscenza delle vicende delle società consortile e le interlocuzioni con altri soggetti per rapporti inerent specificamente alla “RAGIONE_SOCIALE“) che i giudici di merito avevano coerentemente posto in correlazione tra loro e con le dichiarazioni rese da «diversi testi titolati (che avevano indicato l’imputato «come il “paron” e la mente di tutte le decisioni
all’interno della fallita») per ricostruire il ruolo di amministratore di fatto rive dall’imputato.
Ebbene, a prescindere dalla genericità dei rilievi mossi dal ricorrente, va rilevato che non appare corretta la valutazione frammentaria dei singoli elementi di prova posti a fondamento del ragionamento probatorio, né appare consentita, in sede di legittimità, una loro possibile lettura in chiave alternativa.
Quanto al primo profilo, va ricordato che il difetto di motivazione non può essere ravvisato sulla base di una critica frammentaria dei singoli punti di essa. La sentenza, infatti, costituisce un tutto coerente ed organico, onde, ai fini del controllo critico sulla sussistenza di una valida motivazione, ogni punto di essa non può essere preso a sé, ma va posto in relazione agli altri (cfr. Sez. 5, n. 8411 del 21/05/1992, COGNOME, Rv. 191487)
Va, poi, ribadito che esula dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali (cfr. Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651).
Risultano, poi, inammissibili tutte le censure che il ricorrente muove alla valutazione di attendibilità dei testi, atteso che «non è sindacabile in sede di legittimità, salvo il controllo sulla congruità e logicità della motivazione, valutazione del giudice di merito, cui spetta il giudizio sulla rilevanza e attendibilit delle fonti di prova, circa contrasti testimoniali o la scelta tra divergenti versioni interpretazioni dei fatti» (Sez. 5, n. 51604 del 19/09/2017, COGNOME, Rv. 271623; Sez. 2, n. 20806 del 05/05/2011, COGNOME, Rv. 250362). Il ricorrente, invero, espone alcune considerazioni che dovrebbero indurre a ritenere meno attendibili le testimonianze poste a fondamento del giudizio di responsabilità e più attendibili le testimonianze a discarico, senza però dedurre l’effettiva violazione di regole di valutazione delle prove e senza evidenziare alcun evidente e decisivo vizio di logicità risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Quanto alla presunta contraddizione nella quale la Corte di appello sarebbe incorsa nella valutazione delle dichiarazioni rese COGNOME NOME, va rilevato che essa non risulta sussistente.
Invero, la Corte di appello, nell’affrontare la questione relativa alla dimostrazione del ruolo di amministratore di fatto della società consortile, ha dato maggiore rilevanza alle dichiarazioni rese da soggetti che avevano qualifiche amministrative e tecniche inerenti alla redazione dei bilanci, ai rapporti con i fornitori e alla direzione dei cantieri, rispetto a quelle rese dal COGNOME, che avev
compiti che non lo portavano a interloquire con coloro che decidevano “le sorti” della società.
Nell’affrontare la questione relativa alla dimostrazione del ruolo di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, la Corte di appello ha effettivamente dato spazio alle dichiarazioni del COGNOME, ma ha anche rappresentato che il teste, in un primo momento, aveva riferito che l’imputato aveva un contratto di collaboratore, per poi aggiungere, a seguito di contestazione del pubblico ministero, che, durante le indagini preliminari, quando aveva riferito che l’imputato aveva un ruolo determinante sull’andamento della società, aveva espresso solo una sua presunzione, non essendo stato presente ad alcuna riunione.
Con tali valutazioni, la Corte di appello non sembra essere caduta in alcuna contraddizione, anche perché, con riferimento al ruolo dell’imputato di amministratore di fatto della “RAGIONE_SOCIALE“, essa, pur dando spazio alle dichiarazioni del COGNOME, si è basata soprattutto su altre testimonianze e sul fatto che «l’attività di gestione della società, anche con poteri di rappresentanza verso l’esterno», risultava dalla documentazione acquisita agli atti.
Va, in ogni caso, evidenziato che il ricorrente, nell’esporre questa censura, così come ha fatto nell’esporre le altre, non si è fatto carico di dimostrare che la presunta fondatezza di essa assumesse carattere decisivo, al punto tale da disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per l’essenziale forza dimostrativa del presunto dato probatorio viziato.
Quanto alla censura con la quale il ricorrente deduce che la Corte di appello non avrebbe risposto al quattordicesimo motivo di gravame, con il quale la difesa aveva sostenuto che non era emerso che l’imputato avesse compiuto atti che lo qualificassero come amministratore della “RAGIONE_SOCIALE“, va rilevato che i giudici di merito hanno ampiamente argomentato in ordine al fatto che gli atti di gestione erano posti in essere dall’imputato per il tramite dell’amministratore di diritto.
Quanto alla deduzione con la quale il ricorrente sostiene che l’imputato avrebbe operato sempre «nell’esclusivo intento di preservare la RAGIONE_SOCIALE», va rilevato che tale intento appare perfettamente coerente con l’ipotesi accusatoria, secondo la quale l’imputato aveva distratto le somme in questione proprio a vantaggio della “RAGIONE_SOCIALE“.
Quanto alla deduzione con la quale il ricorrente pone in rilievo che l’attività della società era continuata anche dopo l’arresto dell’imputato per la vicenda relativa alla presunta tangente ai funzionari dell’Anas, va evidenziato che la Corte di appello ha risposto al motivo di gravame avente a oggetto la questione dell’arresto in maniera adeguata e senza incorrere in alcun vizio logico, evidenziando che l’arresto dell’imputato risultava ininfluente rispetto alla
complessiva operazione di distrazione di oltre 26 milioni di euro, realizzata prima del suo arresto, avvenuto il 22 ottobre 2015. Va, poi, rilevato che i giudici di merito, hanno riconosciuto, affianco all’imputato, un ruolo di rilievo anche a COGNOME NOME e COGNOME NOME. La continuazione dell’attività della società consortile, per un breve periodo di tempo dopo l’arresto dell’imputato, non appare dunque incompatibile con la ricostruzione dei fatti operata dai giudici di merito.
Quanto alla presunta violazione della regola di giudizio “dell’oltre ogni ragionevole dubbio”, invocata dal ricorrente, in linea con la giurisprudenza di questa Corte, va ricordato che essa non può essere adoperata quale parametro di violazione di legge, perché in tal modo si finirebbe per censurare la motivazione al di là dei casi di cui all’art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., richiedendo così al giudice di legittimità un’autonoma valutazione delle fonti di prova che esula dai suoi poteri (Sez. 3, n. 24574 del 12/03/2015, COGNOME, Rv. 264174). Come chiarito dalla giurisprudenza di legittimità, il parametro di valutazione di cui all’art. 53 cod. proc. pen. ha ampi margini di operatività solo nella fase di merito, quando può essere proposta una ricostruzione alternativa, mentre in sede di legittimità tale regola rileva solo allorché la sua inosservanza «si traduca nell’illogicità manifesta e decisiva della motivazione della sentenza, non avendo la Corte di cassazione alcun potere di autonoma valutazione delle fonti di prova» (Sez. 2, n. 28957 del 03/04/2017, COGNOME e altri, Rv. 270108; Sez. 4, n. 2132 del 12/01/2021, Maggio, Rv. 280245);
2.7. Il sedicesimo motivo è inammissibile.
Il ricorrente, invero, prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen., con la conseguenza che è inammissibile la doglianza che in cassazione miri a una nuova valutazione della sua congruità, ove la relativa determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione (Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013, COGNOME, Rv. 259142; Sez. 3, n. 1182 del 17/10/2007, COGNOME, Rv. 238851), come nel caso di specie (cfr. pagina 60 della sentenza impugnata).
La Corte di appello ha motivato in ordine all’esercizio del suo potere discrezionale, ponendo in rilievo il ruolo di assoluta preminenza assunto dall’imputato nella gestione della fallita e l’intensità del dolo. A fronte di t motivazione, appare generica e del tutto assertiva l’affermazione del ricorrente, secondo il quale le condotte dell’imputato sarebbero state finalizzate a permettere la conservazione della commessa e l’ultimazione dei lavori. Occorre, al riguardo, ribadire che non risulta dimostrato che l’imputato avesse destinato le ingenti somme distratte al mantenimento della commessa e all’ultimazione dei lavori.
Manifestamente infondata è la censura relativa al mancato bilanciamento delle circostanze. Invero, già il giudice di primo grado aveva effettuato il giudizio di bilanciamento, riconoscendo le attenuanti generiche in misura equivalente alla contestata aggravante (cfr. pagina 25 della sentenza di primo grado). Va, inoltre, ricordato che «le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto» (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931).
2.8. Il diciassettesimo motivo, relativo alla bancarotta preferenziale realizzata mediante compensazione (capo B proc. n. 8402/17 RGNR), è inammissibile.
La tesi del ricorrente, secondo il quale si tratterebbe di un’operazione estranea alla “RAGIONE_SOCIALE” e ai suoi amministratori, è manifestamente infondata.
I giudici di merito, invero, hanno correttamente posto in rilievo che tutta l’operazione era stata realizzata proprio da COGNOME NOME e COGNOME NOME, che rivestivano all’interno della “RAGIONE_SOCIALE“, rispettivamente, il ruolo di presidente del consiglio di gestione e di amministratore di fatto. Hanno, poi, evidenziato che: l’operazione anche da un punto di vista formale era stata perfezionata mediante le relative annotazioni realizzate sulle scritture contabili della “RAGIONE_SOCIALE“; g imputati, con tale operazione, avevano perseguito un’evidente finalità di lucro personale (cfr. pagine 6 e ss. della sentenza di primo grado e 75 e ss. della sentenza di appello).
Del tutto priva di rilievo, poi, risulta l’argomentazione con la quale il ricorrente lamenta la presunta condotta negligente del curatore, che non aveva contestato la compensazione. È, infatti, evidente che le asserite (e non dimostrate) negligenze nelle quali il curatore sarebbe incorso, dopo la commissione del reato, in ogni caso, non escluderebbero la responsabilità degli imputati per l’illecita operazione, da loro realizzata per conseguire un fine di lucro personale in danno di tutti gli altri creditori.
2.9. Il diciottesimo motivo, relativo alla bancarotta preferenziale contestata al capo C del proc. n. 8402/17 RGNR, è inammissibile.
Invero, sia il giudice di primo grado (pag. 13 e ss. della sentenza di primo grado) che la Corte di appello (pag. 82 e ss. della sentenza impugnata) si sono ampiamente soffermati sulla collocazione temporanea dello stato di insolvenza, basata sulle approfondite argomentazioni spese dal curatore fallimentare, che aveva evidenziato che, alla fine del 2014, risultavano: perdite per oltre 16 milioni di euro, superiori al capitale sociale; omessi versamenti di imposte per oltre 4
milioni di euro; decreti ingiuntivi notificati da più di 100 creditori per oltre 3 milioni di euro; rate di leasing insolute per oltre un milione di euro e utilizzi non affidati risultanti in centrale rischi per oltre 9 milioni di euro. La Corte di appel ha ampiamente analizzato le valutazioni del curatore, ponendone in rilievo il rigore e la coerenza e, talvolta, riscontrandole anche con altri atti del procedimento.
Entrambi i giudici di merito, inoltre, hanno evidenziato i motivi che li avevano indotti a discostarsi, sul punto, dalle valutazioni del Tribunale delle imprese di Trieste. In particolare, hanno posto in rilievo il diverso oggetto dell’accertamento di quel giudizio civile, limitato solo agli obblighi di vigilanza dei sindaci su valutazione di non manifesta sproporzione dei compensi attribuiti agli amministratori e ai membri del consiglio di vigilanza (cfr., in particolare, pagina 15 della sentenza di primo grado e pagina 91 della sentenza di appello), e soprattutto il diverso materiale probatorio disponibile in sede penale, costituito non solo della documentazione contabile disponibile in sede civile, ma da tutte le emergenze istruttorie del dibattimento.
Il ricorrente non si è effettivamente confrontato con tale ampia e analitica motivazione, limitandosi a riproporre le medesime censure legate alle valutazioni effettuate dal Tribunale di Trieste, nell’ambito del giudizio civile, e a lamentarsi genericamente di una non adeguata valutazione di taluni elementi e dei crediti relativi alle riserve sugli appalti, profilo quest’ultimo, peraltro, già valutato dal Corte di appello.
Manifestamente infondata è la questione relativa alla limitazione della responsabilità ai soli fatti commessi fino all’arresto dell’imputato, atteso che la Corte di appello, proprio in considerazione dell’avvenuto arresto, ha assolto l’imputato per i fatti successivi alla perdita del suo stato di libertà.
2.10. Il diciannovesimo motivo è inammissibile.
Con tale motivo (come con il sedicesimo motivo), il ricorrente prospetta questioni non consentite nel giudizio di legittimità e, comunque, manifestamente infondate, posto che la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che l’esercita in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen.
Va solo osservato che la Corte di appello ha motivato in maniera coerente in ordine all’esercizio del suo potere discrezionale, ponendo in rilievo la gravità della condotta dell’imputato e l’intensità del dolo.
Il ricorso di COGNOME NOME deve essere dichiarato inammissibile.
3.1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Va premesso che i reati contestati a COGNOME NOME, originariamente, erano oggetto di separati processi: quello deciso dal Tribunale di Udine, relativo alle due
bancarotte preferenziali; quello deciso dal Giudice per le indagini preliminari, relativo alla bancarotta distrattiva.
Il beneficio della pena sospesa era stato riconosciuto da un giudice (il Tribunale di Udine) che aveva condannato l’imputato, limitatamente alle bancarotte preferenziali, a una pena (anni 2 di reclusione) che rientrava entro i limiti per i quali la legge consente la concessione della pena sospesa. E evidente che, poi, a seguito della riunione dei processi in appello e della richiesta delle parti di applicazione, per tutti i reati previsti originariamente dai due processi, di una pena superiore ai limiti previsti dalla legge, il beneficio non poteva essere più riconosciuto.
Va evidenziato che, in realtà, tale revoca non si pone neppure in contrasto con l’accordo raggiunto tra le parti: atteso che questo accordo prevedeva l’applicazione della pena, senza il riconoscimento del beneficio della pena sospesa. In altri termini, le parti si erano accordate per l’applicazione della pena, ma senza sospensione condizionale della pena: a tale accordo si è rigorosamente attenuta la Corte di appello. Né si pone alcuna violazione del divieto di reformatio in peius, atteso che la revoca è diretta conseguenza della riunione dei procedimenti e dell’applicazione della pena richiesta dalle parti.
Sotto altro profilo, va rilevato che, secondo la giurisprudenza, «il giudice di appello può revocare “ex officio” la sospensione condizionale della pena concessa, in violazione dell’art. 164, comma quarto, cod. pen., in presenza di cause ostative, a condizione che le stesse non fossero documentalmente note al giudice che ha concesso il beneficio, avendo egli l’onere di procedere a una doverosa verifica al riguardo» (Sez. 3, n. 42004 del 05/10/2022, Maggio, Rv. 283712).
Ebbene, nel caso in esame, la causa ostativa (costituita dall’altra sentenza di condanna, riunita nel presente processo) non poteva essere nota al Tribunale di Udine, proprio perché la sentenza del Giudice per le indagini preliminari (l’altra riunita nel presente procedimento) non era ancora definitiva.
3.2. Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Invero, come detto, la pronuncia della Corte di appello non si pone in contrasto con l’accordo tra le parti, che prevedeva l’applicazione della pena di anni due mesi quattro di reclusione, senza prevedere il riconoscimento del beneficio della pena sospesa.
Quanto alla memoria presentata dell’avv. COGNOME va rilevato che il difensore si limita a mere asserzioni o ad affermazioni poco conferenti nella valutazione dei motivi di ricorso.
Con particolare riferimento alla sentenza del Tribunale di Roma, va rilevato che il difensore ha allegato il mero dispositivo di una pronuncia di primo grado, di
proscioglimento per estinzione del reato per prescrizione (seppur previa riqualificazione nel reato di induzione indebita a dare o promettere utilità). Dalla
sua lettura non è possibile desumere alcun argomento di rilievo in ordine alla valutazione dei motivi di ricorso.
5. Al rigetto del ricorso di COGNOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod.
proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso di COGNOME MarcoCOGNOME consegue,lai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della sanzione pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro 3.000,00.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME Giuliano che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara inammissibile il ricorso di COGNOME NOME che condanna al
pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 17 gennaio 2025.