Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28543 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28543 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 14/07/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
COGNOME NOME nato a Rovigo il 03/06/1983 COGNOME NOME nato a Ferrara il 04/11/1962
avverso la sentenza del 16/09/2024 della CORTE DI APPELLO DI VENEZIA
Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità dei ricorsi;
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in epigrafe la Corte di appello di Venezia, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Rovigo del 22 ottobre 2020, ha assolto NOME COGNOME e NOME COGNOME dalla condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale realizzata distraendo i beni della ‘RAGIONE_SOCIALE, dichiarata fallita il 30.11.2012, indicati nella fattura di vendita n. 39 del 30.07.2011, con la formula perché il fatto non sussiste; ha, invece, confermato la condanna loro inflitta per la condotta di bancarotta fraudolenta patrimoniale realizzata in danno della stessa società, distraendo risorse dalle casse di questa tramite prelievi,
assegni bancari ed operazioni extra-conto, e per le condotte di bancarotta fraudolenta documentale, di cui al capo c), realizzate contabilizzando in maniera scorretta i menzionati prelievi di risorse patrimoniali, così da non rendere possibile la ricostruzione della loro natura e della loro destinazione; ha, quindi, ridotto la pena loro applicata ed ha revocato le statuizioni civili.
Respingendo i rilievi di gravame, il giudice di appello ha confermato l’apprezzamento del giudice di primo grado: quanto all’essere il COGNOME non un amministratore apparente della società fallita, ma una figura che aveva partecipato attivamente alla sua gestione; quanto all’essere lo COGNOME, ancorché non rivestito di cariche formali in seno all’organigramma aziendale, una figura stabilmente inserita in esso, tanto da avere compiuto atti di concreta gestione della compagine imprenditoriale; infine, quanto all’essere, le riscontrate irregolarità contabili, funzionali a dissimulare le operate distrazioni patrimoniali.
Hanno proposto ricorso per cassazione entrambi gli imputati, con distinti atti di impugnativa, sottoscritti dai loro difensori e qui riportati, in riferimento alle censure articolate, nei limiti stabiliti per la motivazione secondo quanto previsto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi.
1. Il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, n. 1 e 223 L.F, 192 e 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna inflitta al ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a).
Si eccepisce il decisivo fraintendimento delle risultanze processuali: I.) per essere stato COGNOME ritenuto responsabile di tutte le distrazioni di risorse societarie realizzate tramite prelievi, assegni bancari ed operazioni extra-conto, per un ammontare superiore ad euro 200.000,00, ancorché solo settantacinque, tra quelle riportate nel capo d’imputazione, fossero successive al 17 febbraio 2011, data di sua assunzione della carica di amministratore formale della ‘RAGIONE_SOCIALE, e solo due fossero riferibili a sue condotte materiali; II.) per essere stato assegnato alle dichiarazioni della Curatrice fallimentare e di suo padre, NOME COGNOME un significato diverso da quello solo da esse reso manifestato: ossia, che la gestione effettiva della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ era esclusivamente nelle di NOME COGNOME e della consorte NOME COGNOME.
Donde, era stato fatto malgoverno delle direttive impartite dalla giurisprudenza di questa Corte in ordine all’interpretazione degli elementi fattuali indicativi della gestione solo apparente di una società da parte di un
amministratore ‘testa di legno’ e del dolo che ne deve animare l’agire per potere essere ritenuto responsabile del reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale.
Il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 216, comma 1, n. 2 e 223 L.F, 192 e 530, commi 1 e 2, cod. proc. pen. e il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna inflitta al ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c).
Ci si duole dell’omessa considerazione della circostanza decisiva, emergente dalle dichiarazioni della Curatrice fallimentare, che la contabilità aziendale, già nell’anno 2010, con NOME COGNOME amministratore, era oggetto di contraddizioni, per prelievi senza giustificazione effettuati dallo stesso COGNOME e dalla COGNOME, proseguiti nell’anno successivo con COGNOME amministratore, di modo che la Corte territoriale avrebbe dovuto spiegare, con maggiore impegno argomentativo, le ragioni per le quali aveva ritenuto che COGNOME a dispetto del suo ruolo meramente tecnico in seno all’azienda, avesse avuto effettiva contezza della irregolare tenuta delle scritture contabili e avesse inteso offrire il proprio contributo per mantenerle in tale stato, come del resto richiesto dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della prova del dolo generico che sorregge la fattispecie di bancarotta documentale di cui alla seconda parte dell’art. 216, comma 1, n. 2 L.F. Donde, poiché la suddetta prova era fallita, il fatto, come contestato, avrebbe dovuto essere sussunto nello schema qualificatorio della bancarotta semplice documentale, con conseguente dichiarazione di estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
Il terzo motivo denuncia la violazione degli artt. 62bis e 133 cod. pen. e il vizio di motivazione in punto di determinazione del trattamento sanzionatorio. È dedotto che la Corte territoriale non avrebbe motivato il diniego delle circostanze attenuanti generiche ancorché COGNOME ne fosse meritevole: perché incensurato; perché aveva tenuto un comportamento collaborativo con la Curatrice fallimentare; perché aveva concluso un accordo transattivo con la parte civile, che infatti aveva revocato la propria costituzione; perché aveva avuto un ruolo marginale nella gestione societaria.
2.2. Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME consta di tre motivi.
Il primo motivo denuncia vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna del ricorrente per la bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), per non avere la Corte territoriale nulla argomentato per spiegare le ragioni per le quali i prelievi da lui effettuati nel corso del 2010, quando la società era ancora ‘ in bonis ‘ , potessero qualificarsi come distrattivi e dotati di efficacia eziologica rispetto al successivo dissesto.
Il secondo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione alla conferma della condanna del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c), ancorché la Curatrice fallimentare avesse dichiarato che la contabilità aziendale era stata aggiornata fino alla data del 31 maggio 2012, tanto vero che il bilancio 2011 era stato regolarmente approvato. Ad ogni buon conto, se il deducente era stato ritenuto amministratore di fatto della società fallita solo fino all’agosto 2011, quando aveva presentato una denuncia di furto di alcuni beni detenuti in leasing dalla società stessa, non gli si sarebbero dovute imputare condotte di irregolare tenuta delle scritture contabili successive a tale data.
Il terzo motivo denuncia il vizio di motivazione in relazione al diniego delle circostanze attenuanti generiche, la cui esclusione era stata giustificata per il solo fatto di avere il ricorrente sempre negato le proprie responsabilità: ciò in spregio all’orientamento interpretativo secondo cui la mancata confessione da parte dell’imputato non può essere motivo esclusivo di diniego delle attenuanti innominate. Donde, la Corte territoriale avrebbe dovuto valorizzare, in funzione della concessione del beneficio richiesto, l’accordo transattivo stipulato con il RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE e il versamento ad esso della somma di euro 30.000,00, che avevano determinato la revoca della costituzione di parte civile.
Il Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME ha concluso per iscritto in data 17 giugno 2025 chiedendo che i ricorsi siano dichiarati inammissibili.
I difensori di NOME COGNOME e di NOME COGNOME con distinte memorie depositate in Cancelleria tramite PEC, rispettivamente in data 4 luglio 2025 e 8 luglio 2025, hanno replicato alle conclusioni rassegnate dal Procuratore generale e hanno concluso insistendo per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
I ricorsi sono infondati.
Il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è complessivamente infondato.
1.1. Quanto al primo motivo, è inammissibile la censura con la quale si è denunciata l’illegittimità dell’affermazione di responsabilità del ricorrente per il reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale di cui al capo a), per essergli stati addebitati, a titolo di condotte distrattive, tutti i prelievi ingiustificati dalle casse
della ‘RAGIONE_SOCIALE‘, ancorché solo settantacinque di questi fossero stati effettuati dopo la sua nomina ad amministratore della società (il 17 febbraio 2011).
Invero, solo con il ricorso per cassazione, e quindi per la prima volta in questa sede, la difesa di NOME COGNOME ha formulato la doglianza negli specifici termini sopra riportati, essendosi limitata a dedurre, con il secondo motivo di appello (per come risultante dalla sua incontestata sintesi, contenuta nella sentenza impugnata), che «al COGNOME erano ‘materialmente’ riconducibili prelievi per soli euro 1.600,00 laddove la grande parte dei prelievi era stata effettuata dalla COGNOME e dallo COGNOME, nonché dall’altro socio COGNOME UgoCOGNOME. Donde, implicando la censura in esame non consentiti accertamenti in fatto, la stessa è preclusa nel presente giudizio di legittimità.
Le ulteriori censure, che attingono lo stesso capo d’accusa sotto il profilo della prova dell’effettivo svolgimento da parte di NOME COGNOME delle funzioni gestorie connaturate alla sua carica di amministratore formale della società fallita e sotto il profilo dell’attribuibilità materiale e psicologica delle condotte distrattive poste in essere dall’amministratore di fatto NOME COGNOME, non colgono le rationes decidendi sottese alla statuizione impugnata.
Con la prima il giudice di appello ha inteso dare seguito all’insegnamento di questa Corte secondo cui «In tema di reati fallimentari, la previsione di cui all’art. 2639 cod. civ. non esclude che l’esercizio dei poteri o delle funzioni dell’amministratore di fatto possa verificarsi in concomitanza con l’esplicazione dell’attività di altri soggetti di diritto, i quali – in tempi successivi o anche contemporaneamente – esercitino in modo continuativo e significativo i poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione» (Sez. 5, n. 12912 del 06/02/2020, COGNOME, Rv. 279040 – 01; Sez. 5, COGNOME, n. 46962 del 22/11/2007, COGNOME, Rv. 238893 – 01), di modo che «Sussiste la responsabilità dell’amministratore di diritto, a titolo di concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale, con l’amministratore di fatto non già ed esclusivamente in virtù della posizione formale rivestita all’interno della società, ma in ragione della condotta omissiva dallo stesso posta in essere, consistente nel non avere impedito, ex art. 40, comma 2, cod. pen., l’evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire e cioè nel mancato esercizio dei poteri di gestione della società e di controllo sull’operato dell’amministratore di fatto, connaturati alla carica rivestita» (Sez. 5, n. 44826 del 28/05/2014, Regoli, Rv. 261814 – 01); concorso dell’amministratore formale nel reato commesso dall’amministratore di fatto per la cui integrazione è sufficiente, dal punto di vista dell’elemento psicologico, «la generica consapevolezza (da parte del primo) che il secondo compia una delle condotte indicate nella norma incriminatrice, senza che sia necessario che tale consapevolezza investa i singoli episodi delittuosi, potendosi configurare l’elemento soggettivo sia come dolo diretto, che come dolo
eventuale» (Sez. 5, n. 50348 del 22/10/2014, COGNOME, Rv. 263225 – 01; conf. Sez. 5, n. 32413 del 24/09/2020, Loda, Rv. 279831 – 01).
Con la seconda il giudice censurato, dopo avere dato conto degli elementi di prova attestanti l’attiva presenza dell’appellante – assieme al padre, NOME COGNOME nella gestione della ‘RAGIONE_SOCIALE, sia pure per quel che riguarda «tutta la parte tecnica» (pag. 11 della sentenza impugnata) – tanto avendo consentito di escluderne «un ruolo meramente formale o, peggio, di vera e propria ‘testa di legno’)» -, ha affermato che erano rimaste dimostrate anche condotte distrattive attive dell’impugnante, il quale, oltre ad avere effettuato prelievi ingiustificati dell’ammontare di euro 1.600,00, aveva cooperato con il padre nell’effettuarne di altri, non avendo, altrimenti, costui «alcuna legittimazione, neppure formale a dar luogo ai medesimi» (cfr. pag. 11 della sentenza impugnata).
Con l’una e con l’altra delle riportate rationes decidendi , dunque, il ricorrente non si è, invero, specificamente confrontato.
1.2. Assenza di specificità che contraddistingue anche il secondo motivo di ricorso.
Una volta escluso il ruolo meramente formale di NOME COGNOME in seno all’organigramma aziendale ed evidenziato il suo dovere, connesso alla carica di amministratore di diritto della società fallita, di provvedere alla regolare tenuta delle scritture contabili, la Corte territoriale ha evidenziato non solo che, «attraverso la contabilizzazione dei prelievi prima nel mastrino “crediti diversi”, che non consentiva di identificare il soggetto ipoteticamente debitore della società, poi attraverso l’utilizzo del conto “costi non deducibili”, che per l’appunto palesava soltanto la non inerenza rispetto all’attività della società», era stato di fatto impedito alla Curatela di ricostruire il volume degli affari della società fallita e le stesse cause del dissesto, ma anche che COGNOME aveva «significativamente ritardato l’approvazione del bilancio del 2011, durante il quale si era distribuita la maggior parte dei prelievi distrattivi» (cfr. pagg. 13 e 14 della sentenza impugnata).
Tali puntuali motivazioni rendono non pertinenti i richiami difensivi al principio di diritto secondo cui «In tema di reati fallimentari, l’amministratore di diritto risponde del reato di bancarotta fraudolenta documentale per sottrazione o per omessa tenuta, in frode ai creditori, delle scritture contabili anche se sia investito solo formalmente dell’amministrazione della società fallita (cosiddetta testa di legno), in quanto sussiste il diretto e personale obbligo dell’amministratore di diritto di tenere e conservare le predette scritture, purché sia fornita la dimostrazione della effettiva e concreta consapevolezza del loro stato, tale da impedire la ricostruzione del movimento degli affari» (Sez. 5, n. 43977 del 14/07/2017, COGNOME, Rv. 271754 – 01) e rendono ragione della mancata
derubricazione del reato di bancarotta fraudolenta documentale, nella forma di cui alla seconda parte della disposizione contenuta nell’art. 216, comma 1, n. 2 L.F., in quello di bancarotta semplice documentale, essendosi dato compiutamente conto della coscienza e volontà dell’imputato di «rendere, se non impossibile, quantomeno molto difficoltosa la ricostruzione del patrimonio o del movimento di affari» (Sez. 5, n. 21028 del 21/02/2020, COGNOME, Rv. 279346 – 01).
1.3. Infondato è, infine, il motivo (il terzo) che denuncia l’omessa risposta del giudice di appello alla richiesta di concessione delle circostanze attenuanti generiche in favore di NOME COGNOME
Rileva il Collegio che le circostanze ex art. 62bis cod. pen. sono state legittimamente negate al ricorrente con motivazione implicita (Sez. 1, n. 12624 del 12/02/2019, COGNOME, Rv. 275057 – 01), avendo la Corte territoriale spiegato sia pure con riferimento alla posizione di COGNOME -che «il dato dell’incensuratezza è normativamente insufficiente a fondare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche» e che l’importo dei prelievi personalmente effettuati dal COGNOME, anche in cooperazione con il padre, nonché il suo concorso in quelli effettuati da altri, era tale qualificare il fatto di distrazione ascrittogli in termini di significativa gravità, oltretutto considerato il suo decisivo contributo all’irregolare tenuta delle scritture contabili societarie, che avevano impedito all’Ufficio fallimentare di individuare la destinazione delle somme sottratte alle casse della società fallita.
Ne viene che il giudice censurato non era tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate dalla difesa, avendo adeguatamente indicato le ragioni preponderanti a sostegno del diniego del beneficio ex art. 62bis cod. pen. (Sez. 1, n. 866 del 20/10/1994, dep. 1995, P.m., Rv. 200204 – 01).
Anche il ricorso nell’interesse di NOME COGNOME è complessivamente infondato.
2.1. Le censure di cui al primo motivo, che eccepiscono il difetto di motivazione in ordine alla natura distrattiva dei prelievi effettuati dal ricorrente nel 2010, quando la ‘RAGIONE_SOCIALE era ancora ‘ in bonis ‘, e alla loro efficienza causale rispetto al dissesto, sono da disattendere perché articolate in assenza di confronto con il consolidato orientamento di questa Corte secondo cui la bancarotta fraudolenta patrimoniale è reato di pericolo concreto, che non esige, ai fini della sua consumazione, che sia data prova dell’esistenza di un nesso causale tra la condotta distrattiva e il successivo fallimento (Sez. U, n. 22474 del 31/03/2016, COGNOME, Rv. 266804 – 01), essendo, invece, sufficiente che l’atto abbia determinato un depauperamento del patrimonio societario e un effettivo
pericolo per la massa dei creditori, da valutarsi tenendo conto di una serie di indicatori fattuali, rappresentati dalla natura e dal valore dei beni distratti, dal contesto economico e finanziario dell’impresa, dalla prossimità temporale rispetto al dissesto e dalla reiterazione o sistematicità delle condotte (Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763 – 01; Sez. 5, n. 17819 del 24/03/2017, COGNOME, Rv. 269562 – 01).
Ciò posto, il motivo in disamina è, comunque, inammissibile perché inedito, non essendo stata dedotta, la questione in esso prospettata, che involge profili di merito, al giudice di appello, tanto risultando dall’incontestata sintesi del primo e del terzo motivo di gravame .
2.2. Il secondo motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte «Nel delitto di bancarotta fraudolenta documentale l’interesse tutelato non è circoscritto ad una mera informazione sulle vicende patrimoniali e contabili della impresa, ma concerne una loro conoscenza documentata e giuridicamente utile, sicché il delitto sussiste, non solo quando la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari del fallito si renda impossibile per il modo in cui le scritture contabili sono state tenute, ma anche quando gli accertamenti, da parte degli organi fallimentari, siano stati ostacolati da difficoltà superabili solo con particolare diligenza» (Sez. 5, n. 1925 del 26/09/2018, dep. 2019, Cortinovis, Rv. 274455 – 01). Difficoltà ricostruttive di cui si è dato conto nella sentenza impugnata laddove si è spiegato come «la contabilizzazione dei prelievi nel mastrino “crediti diversi” non consentisse di identificare il soggetto ipoteticamente debitore della società» e come «l’utilizzo del conto “costi non deducibili” palesasse soltanto la loro non inerenza rispetto all’attività della società», di modo che è priva di rilievo scriminante la circostanza, addotta dal ricorrente, che il bilancio per il 2011 fosse stato regolarmente approvato», peraltro, con ritardo il 30 maggio 2012 (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata).
Il rilievo difensivo secondo cui COGNOME sarebbe stato amministratore di fatto della ‘RAGIONE_SOCIALE‘ «fino all’agosto del 2011» è, poi, frutto di un travisamento del tenore della sentenza impugnata, limitatasi ad affermare che «ancora, sempre nell’agosto 2011, lo RAGIONE_SOCIALE aveva presentato una denuncia per conto della società fallita in relazione al furto di alcuni macchinari in leasing » (cfr. pag. 17). Il significato di tale enunciato è, infatti, soltanto quello di esprimere il concetto secondo cui il ricorrente, anche dopo la cessazione (in data 17 febbraio 2011) dalla carica formale di amministratore della società, si era «attivamente
impegnato, in via continuativa, in un’attività francamente gestoria» (cfr. pag. 16 della sentenza impugnata), come quella di presentare una denuncia di furto di beni aziendali per conto della società.
2.3. Anche il terzo motivo è infondato.
Correttamente esclusa la decisività, ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, dell’incensuratezza dell’imputato, il loro diniego, giustificato valorizzando il suo «atteggiamento negatorio di ogni responsabilità», trova fondamento nel principio di diritto secondo cui «Ai fini del riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, il pieno esercizio del diritto di difesa, se faculta l’imputato al silenzio e persino alla menzogna, non lo autorizza, per ciò solo, a tenere comportamenti processualmente obliqui e fuorvianti, in violazione del fondamentale principio di lealtà processuale che deve comunque improntare la condotta di tutti i soggetti del procedimento, e la cui violazione è indubbiamente valutabile da parte del giudice di merito. (Fattispecie nella quale il diniego delle predette circostanze attenuanti era stato motivato evidenziando il censurabile comportamento processuale dell’imputato, improntato a reticenza ed ambiguità)» (Sez. U, n. 36258 del 24/05/2012, COGNOME, Rv. 253152 – 01). Deve essere, pertanto, ripetuto che il giudice censurato non era tenuto ad esaminare e valutare tutte le circostanze prospettate dalla difesa, avendo assolto al proprio obbligo motivazione indicando le ragioni preponderanti a sostegno del diniego del beneficio richiesto.
Per tutto quanto esposto i ricorsi devono essere rigettati, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
Così è deciso, 14/07/2025
Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME