Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 28610 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 28610 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 29/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a FAVARA il 06/07/1964 COGNOME NOME nata a VINCI il 29/12/1976 COGNOME NOME nata a FAVARA il 17/12/1964 COGNOME NOME nato a FAVARA il 31/05/1958
avverso la sentenza del 07/06/2024 della CORTE APPELLO di FIRENZE
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME udite le conclusioni del Sostituto Procuratore generale COGNOME che ha chiesto di rigettare i ricorsi; udite le conclusioni dell’avv. NOME COGNOME per gli imputati, che ha chiesto di
accogliere i ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
La sentenza impugnata è stata pronunziata il 7 giugno 2024 dalla Corte di appello di Firenze, che ha parzialmente riformato – escludendo la continuazione
tra i reati e rideterminando il trattamento sanzionatorio – la sentenza del Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Firenze che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato COGNOME NOME, NOME COGNOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME per fatti di bancarotta fraudolenta, relativi alla società “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, fallita 1’11 settembre 2013, nonché alla società “RAGIONE_SOCIALE“, fallita il 9 luglio 2014.
Secondo i giudici di merito, COGNOME NOME e NOME COGNOME, nella qualità di amministratori della “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, e COGNOME NOME – nella qualità di socia (già amministratrice unica della società dalla costituzione fino al 30 settembre 2009) e di mutuataria garantita avrebbero concorso tra loro nella distrazione e dissipazione dei beni aziendali, concedendo l’COGNOME e la COGNOME un’ipoteca per euro 330.000,00, su un immobile di proprietà della società, sito in Rossignano Marittimo, INDIRIZZO a garanzia di un mutuo fondiario (dall’importo di euro 165.000), contratto da NOME NOME, moglie di NOME NOME (capo a).
COGNOME NOME e COGNOME, nelle medesime qualità, avrebbero poi distratto beni aziendali, disponendo il pagamento della somma complessiva di euro 9.870,00, tratta dal conto corrente della fallita, in favore di “RAGIONE_SOCIALE“, a titolo di pagamento dei canoni di locazione finanziari dell’autovettura “BMW TARGA_VEICOLO” tg. TARGA_VEICOLO, dovuti dall’Arancio, che aveva stipulato il contratto di leasing, a titolo personale (capo b).
Infine, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME – in qualità di amministratori della “RAGIONE_SOCIALE” (la COGNOME dalla costituzione fino al 19 aprile 2010, la COGNOME dal 19 aprile 2010 al 15 giugno 2011, l’Arancio dal 10 maggio 2010 al 15 giugno 2011 e poi di liquidatore, COGNOME NOME dal 15 giugno 2011 al 21 maggio 2014 e poi di liquidatore) – avrebbero tenuto i libri e le altre scritture contabili in modo tale non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari (capo c).
Avverso la sentenza della Corte di appello, tutti e quattro gli imputati, con un unico atto, hanno proposto ricorso per cassazione a mezzo del loro difensore di fiducia.
2.1. Con un primo motivo, deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione all’art. 216 legge fall.
2.1.1. Con una prima censura, rappresentano che: al capo a della rubrica, la pubblica accusa aveva contestato ad COGNOME NOME e a COGNOME NOME di avere commesso la distrazione anche nella qualità di soci della s.n.c. di fatto esistente fra la “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e la A.RAGIONE_SOCIALE
RAGIONE_SOCIALE” (s.n.c. di fatto fallita il 24 settembre 2014); la Corte di appe di Firenze, con sentenza pronunciata il 28 ottobre 2015, prima dell’iscrizione della notizia di reato relativa ai fatti oggetto di questo processo, aveva escluso l’esistenza di una società di fatto tra “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE” e “RAGIONE_SOCIALE“, revocando la dichiarazione di fallimento.
Tanto premesso, i ricorrenti sostengono che i giudici di merito non avrebbero adeguatamente valutato tale circostanza. L’intervenuto accertamento dell’inesistenza della società di fatto, invero, avrebbe imposto una rivalutazione della complessiva operazione di finanziamento e avrebbe finito per configurare un fatto diverso rispetto a quello originariamente contestato.
2.1.2. Sostengono che mancherebbe l’elemento soggettivo del reato, atteso che la finalità della concessione dell’ipoteca non sarebbe stata quella di realizzare una distrazione, bensì quella di garantire alla società la necessaria liquidità.
La concessione della garanzia andrebbe inserita nel contesto di una più ampia operazione, nella quale assumeva primaria rilevanza l’acquisto da parte della fallita proprio dell’immobile successivamente concesso in ipoteca.
Al riguardo, i ricorrenti pongono in rilievo il fatto che la fallita aveva acquista l’immobile sito in Rossignano Marittimo, INDIRIZZO per il prezzo di euro 275.000, corrisposto per euro 75.000 mediante risorse personali di COGNOME NOME e per i residui euro 200.000, mediante compensazione con una somma dovuta alla fallita dalla parte alienante. Con tale acquisto, la società era stata patrimonializzata, in modo tale da renderle più semplice l’accesso al credito bancario. L’operazione, tuttavia, aveva portato al “sacrificio” del credito di 200.000 euro, vantato nei confronti dell’alienante e la conseguente perdita di una futura I iquidità.
Proprio per fare fronte alle esigenze di liquidità della società, sarebbe stato stipulato il mutuo (per l’importo di euro 165.000,00) in favore della moglie di NOME NOME, garantito dall’ipoteca, ma anche dalle fideiussioni personali prestate da COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME.
Dalla valutazione della complessiva operazione, che aveva portato anche al sacrificio del patrimonio personale di COGNOME NOME e dei suoi familiari, emergerebbe in maniera evidente che lo scopo della concessione dell’ipoteca non sarebbe stato quello di distrarre i beni aziendali. La concessione dell’ipoteca, invero, si inserirebbe in una più ampia operazione, le cui finalità sarebbero state quelle di patrimonializzare la società e di fornirle la necessaria liquidità, ch sarebbe derivata dalle risorse provenienti dal mutuo stipulato da COGNOME NOME.
I ricorrenti sostengono che i giudici di merito non avrebbero neppure adeguatamente tenuto conto delle seguenti circostanze: la somma erogata, a
titolo di mutuo, a COGNOME NOME era di euro 165.000,00; COGNOME NOME si era indebitata personalmente; COGNOME NOME aveva costituito in pegno delle somme di denaro; COGNOME Giovanna, in data 9 agosto 2010, aveva disposto in favore della fallita un bonifico di euro 35.000,00, in data 7 settembre 2010, aveva disposto (sempre in favore della fallita) un ulteriore bonifico di euro 5.000,00 e, in data 3 settembre 2010, aveva pagato la prima rata del mutuo, pari ad euro 1.594,68.
La suddetta somma di euro 35.000,00 sarebbe stata successivamente girata da COGNOME RAGIONE_SOCIALE in favore della “RAGIONE_SOCIALE“, a titolo di pagamento per le prestazioni di manodopera eseguite dagli operai di quest’ultima società in favore della fallita.
Il curatore fallimentare non avrebbe colto l’effettiva finalità dell’operazione, che era quella di apportare un vantaggio economico non a Montalbano Giovanna, bensì alla società, che avrebbe goduto di un più semplice accesso al credito, in conseguenza della sua patrimonializzazione, e di una maggiore liquidità, avendo a disposizione le risorse provenienti dal contratto di mutuo.
Sotto altro profilo, i ricorrenti pongono in rilievo il fatto che l’immob ipotecato non era andato perso ed era rimasto nel patrimonio della società fino alla sua vendita per mano del curatore fallimentare, che ne aveva ricavato 142.000,00 euro. Il fatto che tale somma, poi, era stata recuperata dalla procedura solo nella misura del 50% – atteso che il residuo era stato versato alla Banca di Credito Cooperativo di Vignole – sarebbe imputabile soltanto alla scelta del curatore fallimentare, che, dopo essersi opposto all’insinuazione al passivo fallimentare del suddetto istituto di credito, aveva poi ritenuto di concludere una transazione con la banca, anziché coltivare il contenzioso.
2.2. Con un secondo motivo, articolato con specifico riferimento alle posizioni di NOME COGNOME e COGNOME NOMECOGNOME deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale.
Con tale motivo, i ricorrenti sostengono che COGNOME e COGNOME NOME sarebbero completamente estranee alla contestata distrazione, atteso che l’effettivo «imprenditore» sarebbe stato solo COGNOME NOME.
Quest’ultimo, d’altronde, in sede di interrogatorio, aveva chiarito che: COGNOME NOME era sua moglie e si era occupata sempre e solo della famiglia; NOME COGNOME svolgeva le mansioni di mera segretaria; tutte le decisioni erano a lui riconducibili.
2.3. Con un terzo motivo, deducono il vizio di motivazione, in relazione all’art. 216 legge fall.
Sostengono l’estraneità della COGNOME al reato di cui al capo b della rubrica, relativo alla distrazione delle somme versate a titolo di pagamento dei canoni di
locazione finanziaria della vettura personale dell’Arancio. La «buona fede» dell’imputata, invero, emergerebbe dall’interrogatorio dell’Arancio, che aveva riferito che la COGNOME svolgeva le mansioni di mera segretaria, che non le consentivano di disporre in autonomia dei beni dell’azienda.
Sostengono, inoltre, che dovrebbe escludersi la sussistenza del dolo, anche con riferimento alla posizione dell’Arancio, atteso che, dall’interrogatorio da lui reso, era emerso che la vicenda era dovuta a un mero errore: egli pensava che il contratto di leasing fosse stato stipulato dalla società e solo per errore la somma di 6.000,00 o 8.000,00 euro era stata pagata, attingendo le risorse dai conti societari. Si trattava, in ogni caso, di una piccola parte degli importi complessivi dovuti, pari a 60.000 euro, pagati, per il resto, utilizzando risorse personali. La vettura, peraltro, era stata utilizzata dall’imputato anche per spostamenti legati a esigenze della società.
2.4. Con un quarto motivo, deducono i vizi di motivazione e di erronea applicazione della legge penale, in relazione agli artt. 216 e 217 legge fall.
Con una prima censura, i ricorrenti pongono in rilievo il fatto che il curatore aveva affermato che la contabilità si presentava solo incompleta, con particolare riferimento alle più recenti vicende economiche e patrimoniali della società. Non potrebbe, pertanto, ritenersi integrato il reato di bancarotta fraudolenta documentale, che presuppone che lo stato delle scritture contabili sia tale da rendere impossibile la ricostruzione del patrimonio e del movimento degli affari della fallita.
Con una seconda censura, evidenziano che il curatore aveva rappresentato che, soprattutto dai colloqui intercorsi con COGNOME NOME, era emerso che era quest’ultimo il «reale imprenditore della società». Gli altri tre imputati, pertanto dovrebbero essere ritenuti estranei al reato.
I ricorrenti, infine, sostengono che il reato andrebbe riqualificato in bancarotta semplice documentale, atteso che sarebbero emerse delle mere irregolarità, relative all’annotazione delle più recenti vicende societarie, dovute a un atteggiamento meramente colposo, attribuibile al solo COGNOME Giuseppe.
CONSIDERATO IN DIRITTO
La sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio, nei confronti di COGNOME NOME e NOME COGNOME, limitatamente al reato di bancarotta documentale di cui al capo c, essendo parzialmente fondato il quarto motivo dei ricorsi.
1.1. Il primo motivo è inammissibile.
1.1.1. La prima censura è priva di specificità, perché meramente reiterativa di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 6 della sentenza), con le quali i ricorrenti non si sono effettivamente confrontati. In particolare, la Corte di appello ha correttamente rappresentato che la circostanza della revoca del fallimento della s.n.c. di fatto non assumeva rilievo decisivo, permanendo gli ulteriori ruoli e le ulteriori qualifiche indicate nel capo a dell’imputazione, relativi alla societ “RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE“, il cui patrimonio aveva subito gli effetti distrattivi legati alla concessione dell’ipoteca in favore di COGNOME NOME.
1.1.2. Anche le deduzioni relative alla mancanza dell’elemento soggettivo del reato e alla presunta finalità complessiva dell’operazione, che sarebbe stata quella di fornire la necessaria liquidità alla società, sono prive della necessaria specificità estrinseca, non essendosi i ricorrenti effettivamente confrontati con le argomentazioni spese in proposito dai giudici di merito.
La Corte di appello, in particolare, ha posto in rilievo che, da quanto documentalmente accertato, risultava che COGNOME NOME, della somma di euro 165.000,00 percepita a titolo di mutuo, aveva girato alla fallita solo la somma di euro 35.000,00, che, peraltro, era stata immediatamente girata da NOME COGNOME alla “RAGIONE_SOCIALE“, senza effettiva giustificazione.
I giudici di merito, pertanto, hanno coerentemente ritenuto che la tesi che le somme ottenute in mutuo fossero destinate alla fallita risultava smentita dal fatto che quel denaro non era mai giunto alla società e il presunto apporto di liquidità non era mai avvenuto.
Rispetto a tale motivazione, l’affermazione dei ricorrenti secondo i quali la RAGIONE_SOCIALE avrebbe versato alla società prima 35.000,00 euro e poi 5.000,00 euro risulta generica e comunque di rilievo non determinante. Invero, quanto al primo profilo, l’affermazione che la somma di euro 35.000,00 sarebbe stata versata alla “RAGIONE_SOCIALE“, per prestazioni di manodopera eseguite dagli operai di quest’ultima società in favore della fallita, risulta del tutto generica e meramente assertiva, non avendo i ricorrenti indicato neppure da quali atti si dovrebbe desumere tale circostanza. Ancora più generica e assertiva è l’affermazione relativa al versamento degli ulteriori 5.000,00 euro.
Va, in ogni caso, rilevato che i 40.000,00 euro, che ricorrenti asseriscono essere stati versati alla fallita, costituirebbero comunque una piccola parte dei 165.000,00 euro ricevuti dalla Montalbano.
Del tutto generica e scarsamente rilevante è la circostanza relativa al fatto che la perdita del 50% della somma ricavata dalla vendita dell’immobile sarebbe
conseguente alla scelta transattiva del curatore, atteso che il ricorrente non deduce neppure che tale scelta fosse sbagliata e che l’istanza di insinuazione al passivo dell’istituto di credito fosse infondata.
Generiche e assertive risultano anche le restanti censure relative ai presunti sacrifici personali sostenuti da COGNOME NOME e i suoi familiari, che, in ogni caso, non priverebbero di rilievo penale l’operazione compiuta mediante la concessione dell’ipoteca per il mutuo stipulato dalla Montalbano. Rimane, invero, fermo che, in ogni caso, la fallita, da un lato, non ha beneficiato del mutuo concesso in favore della Montalbano e, dall’altro, in ragione del mancato pagamento delle rate di mutuo da parte di quest’ultima, ha subito rilevanti conseguenze pregiudizievoli, originate dall’ipoteca concessa.
Più in generale, va rilevato che i giudici di merito hanno evidenziato l’anomalia dell’operazione prospettata dai ricorrenti: nonostante la finalità dell’operazione fosse stata quella di garantire maggiore liquidità alla società, il mutuo era stato stipulato in favore non della società ma della Montalbano.
Al riguardo, la Corte di appello ha posto in rilievo che tale anomalia non può considerarsi superata dall’assunto difensivo secondo il quale sarebbe stato l’istituto di credito a suggerire di stipulare il mutuo in favore della Montalbano, si perché tale assunto è risultato del tutto indimostrato, sia perché la circostanza che le somme ottenute a mutuo non era state poi girate alla società smentiva completamente la ricostruzione difensiva.
Più in generale, va rilevato che i giudici di merito hanno correttamente ritenuto integrato l’elemento soggettivo del reato, essendo emersa in maniera evidente la consapevole volontà degli imputati di impegnare un importante cespite patrimoniale, con evidente pericolo di pregiudicare le ragioni dei creditori della società, per realizzare un’operazione completamente estranea alle finalità di impresa, in favore di COGNOME NOME, moglie di NOME NOME.
Sotto tale profilo, la decisione dei giudici di merito si pone in linea con l giurisprudenza di legittimità, che ha affermato che «il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione è reato di pericolo a dolo generico per la cui sussistenza, pertanto, non è necessario che l’agente abbia consapevolezza dello stato di insolvenza dell’impresa, né che abbia agito allo scopo di recare pregiudizio ai creditori» (Sez. 5, n. 21846 del 13/02/2014, COGNOME, Rv. 260407; Sez. 5, n. 3229 del 14/12/2012, COGNOME, Rv. 253932), ma è sufficiente la consapevole volontà di dare al patrimonio sociale una destinazione diversa rispetto alle finalità dell’impresa e di compiere atti che possano cagionare danno ai creditori (cfr., in motivazione, Sez. 5, n. 38396 del 23/06/2017, COGNOME, Rv. 270763).
1.2. Il secondo motivo è inammissibile.
Il motivo, infatti, è generico, è basato su mere asserzioni ed è completamente versato in fatto.
I giudici di merito, in ogni caso, hanno adeguatamente motivato in ordine al fondamentale contributo fornito dalla COGNOME e dalla COGNOME alla realizzazione dell’attività distrattiva. La COGNOME, infatti, non poteva esser considerata mera amministratrice di diritto inconsapevole dei fatti distrattivi, atteso che aveva partecipato personalmente alla stipula degli atti. Quanto alla COGNOME, aveva partecipato alla stipula degli atti ed era la diretta beneficiaria del mutuo.
1.3. Il terzo motivo è inammissibile.
Esso, invero, è privo di specificità, perché meramente reiterativo di identiche doglianze proposte con i motivi di gravame, disattese nella sentenza impugnata con corretta motivazione in diritto e congrua e completa argomentazione in punto di fatto (cfr. pagina 9 della sentenza impugnata), con le quali i ricorrenti non si sono effettivamente confrontati.
In particolare, la Corte di appello ha evidenziato che la COGNOME non solo era amministratrice della società, ma aveva anche reiteratamente provveduto a pagare i canoni della vettura in questione. Doveva, pertanto, escludersi che non avesse contezza dei pagamenti in questione, da lei stessa effettuati.
Quanto alla posizione dell’Arancio, la Corte di appello ha posto in rilievo come non fosse credibile quanto riferito dall’imputato in sede di interrogatorio e cioè che egli non si fosse reso conto di aver stipulato un contratto di leasing in nome proprio. Tale tesi, peraltro, era proprio contraddetta dalla circostanza che solo una parte dei canoni erano stati pagati dalla fallita mentre altri erano stati pagat traendo le risorse dei conti personali dell’imputato. Se fosse stato convinto che il contratto fosse stato stipulato dalla società, invero, l’imputato avrebbe pagato tutti i canoni di locazione utilizzando risorse della società. Generica e meramente assertiva è l’affermazione del ricorrente, secondo il quale l’auto sarebbe stata utilizzata anche per spostamenti legati alle esigenze della società.
1.4. Il quarto motivo è parzialmente fondato.
Va, invero, evidenziato che, dalla stessa sentenza impugnata, emerge che il curatore aveva affermato che le «incompletezze e le anomalie» della documentazione contabile riguardavano le più recenti vicende della società.
La Corte di appello, al riguardo, ritiene comunque integrato il reato di bancarotta fraudolenta documentale, atteso che tali incompletezze e anomalie non avevano consentito la ricostruzione delle vicende economiche e patrimoniali della società.
Ebbene, tale affermazione appare corretta, con riferimento alla posizione di COGNOME NOME, che aveva rivestito il ruolo di amministratore della “AC
RAGIONE_SOCIALE dal 10 maggio 2010 al 15 giugno 2011 e, poi, di liquidatore dal 21 maggio 2014 al 7 luglio 2014 (data del fallimento), e alla posizione di COGNOME NOMECOGNOME che aveva rivestito il ruolo di amministratore e, poi, di liquidatore dal 15 giugno 2011 al 21 maggio 2014.
La circostanza che i due uomini avevano rivestito le cariche formali proprio nel periodo in cui le scritture contabili erano state tenute in maniera irregolare rende evidente la loro penale responsabilità. Gli amministratori di diritto, infatti come correttamente evidenziato dai giudici di merito, sono i destinatari, ex art. 2392 cod. civ., dell’obbligo di tenuta delle scritture contabili e hanno il dovere anche di vigilare sull’operato di eventuali delegati o amministratori di fatto, con loro conseguente responsabilità, eventualmente ex art. 40, comma 2, cod. pen., in caso di inadempimento di tale dovere. La Corte di appello ha anche posto in rilievo tutta una serie di elementi dai quali emergeva l’effettiva conoscenza da parte degli imputati dello stato delle scritture contabili: la concreta partecipazione degli imputati alle vicende societarie; la complessiva esperienza degli imputati, adusi a svolgere ruoli gestori in compagini societarie connotate da evidenti interessenze con la fallita; gli anomali legami tra la “RAGIONE_SOCIALE” e la “RAGIONE_SOCIALE” e gli anomali versamenti intervenuti tra le due società.
Diverse, invece, appaiono le posizioni di COGNOME NOMECOGNOME che aveva rivestito il ruolo di amministratore solo dalla costituzione fino al 19 aprile 2010, e di NOME COGNOME che aveva rivestito il ruolo di amministratore dal 19 aprile 2010 al 15 giugno 2011.
La motivazione della sentenza impugnata non appare sufficiente a dimostrare la responsabilità delle due donne, che avevano rivestito il ruolo di amministratore per un periodo di tempo non solo breve, ma anche distante da quello durante il quale sarebbero state realizzate le irregolarità contabili. La Corte territoriale non chiarisce perché le due donne, anche a volere ammettere che fossero a conoscenze delle irregolarità contabili realizzate da altri, dovrebbero rispondere di fatt accaduti quando loro non rivestivano più alcuna carica formale nella società e quando su altri gravano le responsabilità per la regolare tenuta delle scritture contabili. Su tali punti, la sentenza impugnata risulta viziata sotto il profilo logi e deve, dunque, essere annullata, limitatamente alla posizione delle due donne e al reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c, con rinvio per un nuovo giudizio, avente a oggetto la responsabilità di COGNOME NOME e NOME COGNOME, in ordine a tale reato.
Inammissibile, in quanto priva di specificità estrinseca è la deduzione con la quale i ricorrenti sostengono che il reato andrebbe riqualificato in bancarotta semplice documentale.
La Corte d’appello, infatti, con motivazione congrua in fatto e corretta in diritto, ha escluso la riqualificazione del fatto nella fattispecie di RAGIONE_SOCIALE
semplice, evidenziando come fossero state riscontrate rilevanti anomalie, che avevano ostacolato in maniera evidente la ricostruzione delle vicende societarie,
al punto tale che il curatore aveva ravvisato l’esigenza di nominare ulteriori professionisti per ricostruire la contabilità aziendale dal 2011.
2. La sentenza impugnata, pertanto, deve essere annullata con rinvio, solo nei confronti di COGNOME NOME e NOME COGNOME e limitatamente al reato
di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c. Nel resto, i ricorsi della
COGNOME e COGNOME devono essere dichiarati inammissibili; così come devono essere dichiarati inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME
NOME
Alla declaratoria di inammissibilità dei ricorsi per cassazione di RAGIONE_SOCIALE
NOME e COGNOME NOME consegue, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della sanzione
pecuniaria a favore della cassa delle ammende, che deve determinarsi in euro
3.000,00.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di COGNOME NOME e di NOME COGNOME, limitatamente al reato di bancarotta fraudolenta documentale di cui al capo c, con rinvio per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Firenze; dichiara inammissibili nel resto i ricorsi di COGNOME NOME e di NOME COGNOME.
Dichiara inammissibili i ricorsi di COGNOME NOME e COGNOME NOME e li condanna al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
Così deciso, il 29 aprile 2024
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