Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11999 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11999 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 28/02/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Napoli il 28/08/1975;
avverso la ordinanza del Tribunale di Napoli, in funzione di giudice del riesame, del 24/10/2024;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udita la requisitoria del Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la ordinanza in epigrafe il Tribunale di Napoli ha confermato quella emessa in data 2 settembre 2024 dal Giudice per le indagini preliminari della stessa città con la quale, tra l’altro, era stata applicata – nei confronti di NOME COGNOME il quale aveva avanzato richiesta di riesame ex art. 309 cod. proc. pen. – la misura cautelare della custodia in carcere in quanto gravemente indiziato dei delitti di: – partecipazione ad associazione di stampo mafioso ex art. 416-bis, comma primo, secondo, terzo, quarto e quinto, cod. pen. (denominata clan COGNOME/COGNOME, operante prevalentemente nel territorio di Ponticelli e zone limitrofe; fatto commesso in Napoli da marzo 2021 con condotta perdurante); – concorso (assieme alla moglie ed alla figlia) in estorsione continuata e tentata estorsione aggravate dal metodo mafioso (fatto accertato in Napoli dal 3 al 15 settembre 2021); – partecipazione ad associazione ex art. 74, commi 1,2,3 3 4, d.P.R. 309/90, 416-bis.1 cod. pen. (fatti accertati da marzo a ottobre 2021 in Napoli); – concorso in detenzione di stupefacenti aggravata dal metodo mafioso (fatto accertato in Napoli dal 29 giugno 2021 al 31 ottobre 2021).
1.1. In sintesi, il Tribunale ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza a carico del predetto per il delitto ex art.416-bis cod. pen. evidenziato, soprattutto, che i COGNOME (di cui un membro è genero del COGNOME, avendone sposato la figlia) sono sempre stati espressioni del clan COGNOME e che – dopo momenti di fibrillazione ed allontanamento – erano successivamente fatto rientro nel clan COGNOME.
1.2. Analogamente, sulla base delle intercettazioni effettuate e delle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia, è stata evidenziata la gravità indiziaria anche rispetto alla sussistenza dell’associazione finalizzata al traffico di stupefacenti, facente capo al citato clan, costituita da più articolazioni sparse sul territorio. Parimenti, l’ordinanza impugnata ha convenuto con le conclusioni cui era giunto il Giudice per le indagini preliminari rispetto alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza per le estorsioni consumate e tentate e le varie violazioni della legge stupefacenti, confermando tra l’altro anche l’aggravante del metodo mafioso.
1.3. Con riferimento alle esigenze di natura cautelare il Tribunale ha osservato che nel caso in esame vige la cd. ‘doppia presunzione’ e che sussiste la
pericolosità sociale dell’indagato, confermata dalla sua attuale partecipazione al clan COGNOME/COGNOME (di cui fanno parte anche la figlia ed il genero) e dalla spregiudicatezza da lui dimostrata nei fatti oggetto di imputazione provvisoria.
Avverso la predetta ordinanza NOME COGNOME per mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, di seguito riprodotti nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen., insistend per il suo annullamento.
2.1. Con il primo motivo lamenta, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 416-bis cod. pen. e 192 del codice di rito ed il vizio di motivazione mancante ed illogica con riferimento alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine alla sua partecipazione al clan camorristico COGNOME/COGNOME. In particolare, egli osserva che tale accusa si pone in posizione di inconciliabile contrasto con quella di avere fatto parte del cartello camorristico contrapposto NOME COGNOME/COGNOME/COGNOME/COGNOME/COGNOME, rispetto al quale due anni addietro era stato raggiunto da una analoga ordinanza di custodia cautelare, per periodi in parte coincidenti con quelli dell’attuale procedimento e riguardanti anche la gestione delle case popolari del parco RAGIONE_SOCIALE e del servizio di pulizia. Inoltre, evidenzia la assoluta genericità ed imprecisione delle dichiarazioni accusatorie mosse nei suoi confronti dai collaboratori di giustizia (NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME) rimaste, peraltro, prive di riscontri oggettivi.
2.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), c) ed e), cod. proc. pen., la violazione degli artt. 74 d.P.R. 309/90 e 192 del codice di rito ed il vizio motivazione mancante ed illogica con riferimento alla sussistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine alla associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti; al riguardo evidenza l’assenza di elementi dai quali desumere la sua partecipazione al predetto sodalizio.
2.3. Con il terzo motivo l’indagato censura, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b), e) ed e), cod. proc. pen., la violazione e falsa applicazione degli artt. 273, 274 e 275 del codice di rito ed il vizio di motivazione mancante, illogica e contraddittoria rispetto alla ritenuta sussistenza delle esigenze cautelari nei suoi confronti; nello specifico osserva che il Tribunale non ha fornito una reale
motivazione rispetto al pericolo di reiterazione del reato posto a fondamento della ritenuta inadeguatezza di misure diverse rispetto alla custodia in carcere.
All’esito della udienza in camera di consiglio, alla quale non ha partecipato il difensore dell’indagato, il sostituto Procuratore generale ha concluso nei termini sopra riportati.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso (che riguarda unicamente i due reati associativi ed i cui motivi sono in parte infondati ed in parte inammissibili) deve essere, nel complesso, respinto.
Anzitutto, quanto al primo motivo va evidenziato che – al contrario di quanto dedotto dal ricorrente – la sua assoluzione dall’accusa di avere fatto parte del clan antagonista a quello COGNOME/COGNOME esclude, di per sé, la lamentata contraddittorietà delle accuse nei suoi confronti poiché detta assoluzione ha fatto venire meno le accuse riguardanti la sua appartenenza all’altro sodalizio.
Chiarito quanto sopra, deve ricordarsi che la verifica che viene compiuta in questa sede non riguarda la ricostruzione dei fatti, né può comportare la sostituzione dell’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza dei dati probatori, dovendosi dirigere verso il controllo che il giudice di merito abbia dato adeguato conto delle ragioni che l’hanno convinto della sussistenza o meno della gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato e a verificare la congruenza della motivazione riguardante lo scrutinio degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che devono governare l’apprezzamento delle risultanze analizzate (Sez. U, n. 11 del 22/03/2000, Audino, Rv. 215828 – 01), nel provvedimento genetico, purché le deduzioni difensive non siano potenzialmente tali da disarticolare il ragionamento probatorio proposto nell’ordinanza applicativa della misura cautelare, non potendo in tal caso la motivazione per relationem fornire una risposta implicita alle censure formulate.
3.1. Inoltre, al fine dell’adozione della misura cautelare, è sufficiente l’emersione di qualunque elemento probatorio idoneo a fondare “un giudizio di qualificata probabilità” sulla responsabilità dell’indagato in ordine ai reati
addebitati; in altri termini, in sede cautelare gli indizi non devono essere valutati secondo gli stessi criteri richiesti, per il giudizio di merito, dall’art. 192, comma 2, cod. proc. pen.
3.2. Non va poi dimenticato che ai fini della configurabilità dei gravi indizi di colpevolezza necessari per l’applicazione di misure cautelari personali, è illegittima una valutazione frazionata ed atomistica dei singoli dati acquisiti, dovendo invece seguire, alla verifica della gravità e precisione dei singoli elementi indiziari, il loro esame globale ed unitario, che ne chiarisca l’effettiva portata dimostrativa del fatto e la congruenza rispetto al tema di indagine (Sez. 1, n.30415 del 25/09/2020, Rv. 279789 – 01).
l’appartenenza quale stabile inserimento dell’associato nella configurazione organizzativa del sodalizio. Tale indirizzo giurisprudenziale è stato confermato da altre sentenze, con le quali è stato ribadito che il giudizio di intraneità ben può riposare su significativi “facta concludentia” in grado di dimostrare, fuori da automatismi probatori, il fatto del vincolo associativo che lega il partecipe alla compagine, l’adesione al “pactum sceleris”, la volontà individuale di appartenenza e quella del gruppo di annoverare e riconoscere il singolo tra i suoi esponenti. (Sez. 1, n. 55359 del 17/06/2016, P.G. in proc. COGNOME e altri, Rv. 269040).
Ciò posto, il materiale indiziario esaminato dal Tribunale di Napoli è costituito dagli esiti della prova tecnica (intercettazioni ambientali e telefoniche), dai dati conoscitivi di natura dichiarativa rappresentati dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia. Al riguardo deve ricordarsi che l’interpretazione delle conversazioni intercettate, persino quando le stesse abbiano contenuto criptico o cifrato, costituisce questione di fatto; questione, pertanto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito e che si sottrae al giudizio di legittimità, se la valutazione risulta logica in rapporto alle massime di esperienza utilizzate (Sez. U, n. 22471 del 26/02/2015, Sebbar, Rv. 263715). Pertanto, laddove con il vizio di motivazione, si proponga in realtà una diversa e alternativa lettura delle risultanze dialogiche, condotta nella decisione senza vizi logici e travisamenti cognitivi, la censura è in parte qua inammissibile, poiché il controllo di legittimità non ha ad oggetto il fatto, ma la motivazione espressa a sostegno della sua ricostruzione.
4.1. Come è noto, gli elementi di prova raccolti nel corso delle intercettazioni di conversazioni, alle quali non abbia partecipato l’indagato, costituiscono fonte di prova diretta soggetta al generale criterio valutativo del libero convincimento razionalmente motivato, previsto dall’art. 192, comma 1, cod. proc. pen., senza che sia necessario reperire dati di riscontro esterno; tuttavia, qualora tali elementi abbiano natura indiziaria, essi debbono essere valutati alla luce del disposto dell’art. 192, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 37588 del 18/06/2014, COGNOME ed altri Rv. 260842). La valenza dimostrativa delle captazioni è, invero, collegata al fatto che i colloquianti sono ignari dell’ascolto operato da terzi, il che svincola l’attività espressiva da ogni formalizzazione, rendendola tendenzialmente genuina e potenzialmente autosufficiente, quando
sia rintracciabile chiarezza espressiva nella narrazione dei fatti vissuti e comunicati, e possa essere esclusa la veicolazione di dati non rispondenti al vero, per imprecisione, millanteria o interesse specifico del locutore. Deve poi evidenziarsi che sono prive di fondamento le censure con cui si contesta l’omesso vaglio della credibilità soggettiva dei propalanti, è stata oggetto di specifico esame nella ordinanza impugnata senza violare alcuno degli obblighi motivazionali tipici della fase in cui si trova ancora il presente procedimento.
4.2. Inoltre, i reati di associazione per delinquere, generica o di stampo mafioso, possono concorrere con il delitto di associazione per delinquere dedita al traffico di sostanze stupefacenti, anche quando la medesima associazione sia finalizzata alla commissione di reati concernenti il traffico degli stupefacenti e di reati diversi (Sez. U, n. 1149 del 25/09/2008, Magistris, Rv. 241883). Non vi è alcuna preclusione di principio in ordine alla individuazione di una associazione finalizzata al traffico di stupefacenti costituita da membri di un’associazione mafiosa, anche quando quella sia ideata e viva quale articolazione del sodalizio mafioso. Invero, il delitto di cui all’art 74 del d.P.R. n. 309 del 1990, presenta degli elementi specializzanti rispetto a quello di cui all’art. 416-bis cod. pen., perché a tutti gli elementi costitutivi della associazione per delinquere – vincolo tendenzialmente permanente, indeterminatezza del programma criminoso, esistenza di una struttura adeguata allo scopo – aggiunge quello specializzante della natura dei reati fine programmati che devono essere quelli previsti dall’art. 73 del medesimo d.P.R.
5. Nel caso in esame il Tribunale di Napoli, con motivazione adeguata ed esente da evidenti vizi logici, ha convenuto con la prospettazione accusatoria rispetto alla configurabilità dell’associazione ex art.416-bis cod. pen. ritenendo sussistenti tutti gli elementi indiziari tipici di una siffatta organizzazione anzitutto, dopo avere richiamato l’ordinanza genetica, ha osservato che la sussistenza del clan COGNOME/COGNOME è stata accertata con varie sentenze irrevocabili e ha trovato un ulteriore riscontro nell’interrogatorio di garanzia di NOME COGNOME il quale ha ammesso di esserne stato uno dei capi fino alla condanna da lui riportata nel 2018. I vertici di detta associazione (vale a dire NOME COGNOME e NOME COGNOME e, dopo l’arresto di quest’ultimo, NOME COGNOME) si occupavano sia di gestire le varie piazze di spaccio di stupefacenti
riconducibili a soggetti affiliati, i quali le gestivano senza essere tenuti al pagamento della provvigione, sia di rifornire altre piazze di spaccio gestite da soggetti non affiliati che, invece, erano tenuti a versare al sodalizio parte degli incassi.
5.1. Con riferimento specifico alla posizione di NOME COGNOME l’ordinanza impugnata, in modo coerente, ha indicato che egli operava presso il complesso di edilizia popolare denominato parco RAGIONE_SOCIALE e che i collaboratori di giustizia NOME COGNOME ed NOME COGNOME lo hanno espressamente indicato come affiliato al clan, gestore di una piazza di spaccio, nonché autore di estorsioni ai danni di cantieri edili.
5.2. Il Tribunale del riesame ha poi dato logicamente risalto alle propalazioni di NOME COGNOME il quale ha rappresentato l’indagato come autore di estorsioni ai commercianti; inoltre, l’ordinanza ha osservato che il COGNOME è stato condannato irrevocabilmente per una tentata estorsione ai danni del titolare di un’impresa edile a riprova del suo inserimento negli ambienti criminali.
5.3. Rispetto alla associazione ex art. 74 d.P.R. 309/90 ed alle violazioni della legge stupefacenti oggetto di imputazione provvisoria, il Tribunale ha confermato la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza dalle intercettazioni telefoniche da cui è stato possibile desumere che la gestione delle piazze di spaccio avveniva a nome di NOME COGNOME e che l’indagato autorizzava a spacciare in un certo luogo e si occupava della riscossione del corrispettivo per la cessione di stupefacente, tanto che in una ipotesi di inadempienza egli aveva sequestrato, a titolo di garanzia, uno scooter ad una donna (NOME COGNOME) che non aveva provveduto al pagamento, dopo averla picchiata. Nella gestione delle piazze di spaccio l’odierno ricorrente collaborava con il nipote NOME COGNOME il quale riscuoteva per lui i proventi illeciti ed al quale inviava messaggi ed istruzioni anche quando si trovava ristretto in carcere.
5.4. Quanto poi alla estorsione ai danni della commerciante NOME, il Tribunale ha considerato rilevante il contenuto di una intercettazione nella quale l’indagato, riferendosi alla vittima, aveva dichiarato che anche lei gli doveva consegnare il denaro tre volte l’anno, come previsto per gli altri commercianti taglieggiati; con riferimento all’aggressione di NOME COGNOME il provvedimento impugnato ha richiamato, a conferma della sussistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, le dichiarazioni del collaboratore NOME COGNOME ed il contenuto delle intercettazioni ambientali e telefoniche.
5.5. In ordine alla gestione delle case popolari da parte del clan COGNOME/COGNOME, il collaboratore NOME COGNOME ha riferito che le abitazioni di edilizia popolare venivano ‘vendute’ dagli occupanti e che il gruppo camorrista non solo stabiliva chi vi poteva abitare ed autorizzava preventivamente la cessione, ma che incassava anche una percentuale sulle medesime transazioni a riprova del totale controllo sul territorio di sua influenza da parte del sodalizio criminale.
Nello specifico il giudice del riesame cautelare ha dato risalto, in modo non contraddittorio, alla circostanza che NOME COGNOME si avvaleva, a tal fine, proprio di NOME COGNOME nel parco CONOCAL e che le intercettazioni telefoniche hanno dimostrato che l’indagato si occupava delle case popolari, decideva gli sgomberi e le assegnazioni degli appartamenti; inoltre, egli imponeva le ditte cui affidare le pulizie delle scale condominiali le quali, a loro volta, erano tenute a versare una percentuale di quanto ricevuto a tale titolo al clan, come riferito dal collaboratore COGNOME e confermato dalle intercettazioni.
5.6. Da quanto sopra esposto consegue che il Tribunale di Napoli ha motivato, in modo adeguato e senza incorrere in evidenti vizi logici, nel rispetto dei principi giurisprudenziali in materia, circa la sussistenza degli elementi che consentono di configurare l’esistenza dell’associazione ex art.416-bis cod. pen., valutando complessivamente tutti gli elementi sopra indicati.
Deve poi aggiungersi che il Tribunale ha anche valutato, senza incorrere in contraddizioni, la credibilità del narrato dei collaboratori, dando risalto alla coincidenza delle loro propalazioni rispetto alla posizione dell’odierno ricorrente ed al riscontro oggettivo emergente dalle attività di intercettazioni.
Pertanto, il ricorrente – pur lamentando la violazione di legge ed il vizio di motivazione – sollecita una inammissibile differente valutazione degli elementi di natura indiziaria rispetto a quello a quella coerentemente svolta dal giudice a quo per confermare l’ordinanza genetica.
Il terzo motivo è infondato; come noto, in tema di misure cautelari personali, il disposto di cui all’art. 275, comma 3, cod. proc. pen. sancisce, nei confronti degli indagati del delitto di partecipazione ad associazione di tipo
mafioso, una doppia presunzione, di natura relativa per ciò che concerne la sussistenza delle esigenze cautelari e di natura assoluta con riguardo all’adeguatezza al loro contenimento della sola misura carceraria, quest’ultima superabile nei soli casi previsti dall’art. 275, commi 4 e 4-bis, del codice di rito (Sez. 2, n. 24515 del 19/01/2023, Rv. 284857 – 01).
Il giudice, quindi, non deve dimostrare la ricorrenza dei ‘pericula libertatis’ ma deve soltanto apprezzare gli eventuali segnali di rescissione del legame del soggetto con il sodalizio criminale tali da smentire, nel caso concreto, l’effetto della presunzione, in mancanza dei quali va applicata in via obbligatoria la misura della custodia in carcere.
Nel caso in esame il Tribunale, in modo non manifestamente illogico, ha dato rilievo alla operatività dell’associazione, evidenziando l’attualità dell’operatività del sodalizio, la mancanza di segni di allontanamento dal sodalizio di cui, tra l’altro, fanno parte la figlia ed il genero e la particolare pericolosità mostrata dall’indagato.
Il ricorso deve essere, pertanto, respinto e il ricorrente deve essere condannato, in forza del disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali; la cancelleria curerà gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1-ter, disp. att. cod. proc. pen.
Così deciso in Roma, il 28 febbraio 2025.