Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 31140 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 4 Num. 31140 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 10/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a PALERMO il 16/05/1981
avverso l’ordinanza del 01/03/2025 del TRIB. LIBERTA di PALERMO
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del PG
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza dell’i marzo 2025 il Tribunale di Palermo, Sezione per il riesame, ha rigettato l’istanza ex art. 309 cod. proc. pen. proposta nell’interesse di NOME COGNOME sottoposta a custodia cautelare in carcere in esecuzione dell’ ordinanza emessa dal G.i.p. del locale Tribunale in data 13 febbraio 2025 in relazione alla fattispecie di reato di cui all’art. 74 d.p.r. 9 ottobre 1990 n. 309 ovvero alla partecipazione alla associazione operante nel territorio di Carini volta alla cessione ed al commercio di sostanze stupefacenti del tipo cocaina anche nella preparazione di sintesi (c.d. crack) con il ruolo di soggetto dedito stabilmente allo spaccio, nonché in ordine a plurime fattispecie del reato di cui all’art. 73 d.p.r. cit.
Avverso tale ordinanza propone ricorso per cassazione, a mezzo del difensore di fiducia, COGNOME NOMECOGNOME articolando due motivi di ricorso, enunciati a seguire nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Il primo motivo denuncia ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. l’inosservanza e l’erronea applicazione di legge in relazione all’art. 74, comma 1, d.p.r. n. 309 del 1990 nonché in relazione alle varie ipotesi di cui all’art. 73, con riguardo all’art. 273, comma 1, cod.proc.pen., per assenza di un grave quadro indiziario in ordine alla sussistenza del reato associativo nonché delle varie ipotesi di vendita e di cessione di sostanza stupefacente del tipo crack di cui ai capi nn. 4, 5, 9, 10, 11, 14 e 15 della rubrica.
Si assume che l’ordinanza impugnata merita censura per difetto di motivazione e di percorso logico- giuridico non indicando quale sia l’effettivo ruolo ricoperto dalla COGNOME e quale sia il contributo dalla stessa apportato alla consorteria criminosa. Si rileva che la sua intraneità veniva ritenuta solo per un arco temporale di 15 giorni, dal 13 marzo 2022 al 28 marzo 2022, e sulla base di un numero limitato di intercettazioni telefoniche tra altri coindagati, alla presenza della medesima o in cui la stessa sporadicamente interviene, i cui contenuti non denotano alcuno stabile ed organico coinvolgimento della medesima nella preparazione della sostanza né alcun ruolo specifico nella amministrazione o nella tenuta della contabilità. Di rilievo in tal senso é il dato, riconosciuto nell stessa ordinanza, che la ricorrente non rientrava nel novero dei soggetti cui l’associazione corrispondeva settimanalmente un compenso.
Con riguardo alle incolpazioni satellite si assume (al di là dell’incongruo riferimento al COGNOME che appare frutto di un evidente errore materiale) che le stesse sono state ascritte in modo del tutto congetturale e nella totale mancanza
di riscontri sulla base della sola interpretazione dell’attività captatoria e dell mera presenza della medesima nell’abitazione di INDIRIZZO
Si sottolinea altresì che, secondo la giurisprudenza consolidata, la partecipazione al reato fine di per sé non prova la partecipazione al reato associativo.
Con il secondo motivo deduce ai sensi dell’art. 606 comma 1, lett. b) ed e) cod.proc.pen. l’inosservanza e l’erronea applicazione di legge in relazione alla circostanza aggravante di cui all’art. 416 bis n. 1 cod.pen. con riguardo all’art. 273 comma 1 cod.proc.pen. per assenza di un grave quadro indiziario.
Si assume che non è stata fornita alcuna motivazione circa la ricorrenza della circostanza dell’agevolazione mafiosa ritenendo altresì che la contestata aggravante non sia in alcun modo riferibile alla vicenda in esame né tantomeno alla posizione della ricorrente, né sotto il profilo materiale, né sotto quello soggettivo.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha depositato requisitoria scritta nella quale ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é nel suo complesso inammissibile per le ragioni che si andranno di seguito ad esporre.
1.1. Il primo motivo di ricorso é manifestamente infondato.
Va premesso che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, in tema di limiti di sindacabilità dei provvedimenti in tema di misure cautelari personali, la Corte di Cassazione non ha alcun potere di revisione degli elementi materiali e fattuali delle vicende indagate, ivi compreso lo spessore degli indizi, ne’ di rivalutazione delle condizioni soggettive dell’indagato in relazione alle esigenze cautelari ed alla adeguatezza delle misure, trattandosi di apprezzamenti rientranti nel compito esclusivo del giudice di merito.
Il controllo di legittimità è circoscritto all’esame del contenuto dell’att impugnato per verificare, da un lato, le ragioni giuridiche che lo hanno determinato e, dall’altro, l’assenza di illogicità evidenti, ossia la congruità delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento (Sez. F, n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv.261400; Sez. 2, n. 56 del 7/12/2012, deo. 2013, COGNOME, Rv. 251761; Sez. 6, n. 2146 del 25.05.1995, COGNOME ed altro, Rv. 201840).
L’erronea valutazione in ordine ai gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 cod. proc. pen e delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. è dunque rilevabile in sede di legittimità soltanto se si traduca nella violazione di specifiche
norme di legge ovvero in una mancanza o manifesta illogicità della motivazione, risultante dal testo del provvedimento impugnato.
Detto controllo, in particolare, non riguarda né la ricostruzione di fatti, né l’apprezzamento del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e concludenza dei dati probatori, per cui non sono ammissibili le censure che, pur investendo formalmente la motivazione, si risolvano nella prospettazione di una diversa valutazione delle circostanze esaminate dal giudice dì merito (Sez. 7, n. 12406 del 19/02/2015, Rv. 262948; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015, Rv. 265244; Sez. 1, n. 1769 del 23.03.1995, Rv. 201177).
Sotto altro profilo, giova altresì ricordare (in relazione alla censura mossa) che l’interpretazione e la valutazione del contenuto delle conversazioni oggetto di intercettazioni telefoniche costituisce questione di fatto, rimessa all’esclusiva competenza del giudice di merito, il cui apprezzamento non può essere sindacato in sede di legittimità se non nei limiti della manifesta illogicità e irragionevolezza della motivazione con cui esse sono recepite (Sez. 5, n. 35680 del 10/06/2005, Rv. 232576; Sez. 6, n. 15396 del 11/12/2007, Rv.239636; Sez. 6, n. 17619 del 08/01/2008, Rv. 239724; Sez. 6, n. 11794 del 11/12/2013, Rv. 254439; Sez. 6, n. 46301 del 30/10/2013, Rv. 258164). E’ possibile prospettare, in questa sede, una interpretazione del significato di una intercettazione diversa da quella proposta dal giudice di merito solo in presenza del travisamento della prova, ovvero nel caso in cui il giudice di merito ne abbia indicato il contenuto in modo difforme da quello reale, e la difformità risulti decisiva ed incontestabile (Sez. 5, n. 7465 del 28/11/2013, Rv. 259516; Sez. 6, n. 11189 del 08/03/2012, Rv. 252190; Sez. 2, n. 38915 del 17/10/2007, Rv. 237994).
1.2. Fatte queste premesse, nella specie, il Tribunale del riesame ha puntualmente ricostruito, con motivazione diffusa ed esente da aporie logiche, la sussistenza di un’associazione dedita al traffico di sostanze stupefacenti operante in Carini e gestita da COGNOME NOME e COGNOME NOME, quest’ultimo emanazione della famiglia mafiosa di Carini, e gestito su incarico di questi da NOME COGNOME indicando in modo analitico le fonti di prova, costituite essenzialmente da intercettazioni telefoniche ed ambientali ma anche da servizi di osservazione e controllo.
In tale contesto la partecipazione della COGNOME al sodalizio de quo (su cui si incentra la doglianza) viene desunta non solo dal coinvolgimento nei reati fine ma anche dalla sua chiara individuazione della medesima come soggetto coinvolto nelle attività illecite per conto del sodalizio criminoso, in particolare in occasione delle richieste di fornitura da parte del COGNOME, nelle valutazioni sulla qualità e la quantità dello stupefacente ricevuto e nelle interlocuzioni con gli altri indagati con i quali si confrontava sulle questioni riguardanti l’associazione,
facendo comprendere che la stessa fosse ben informata in ordine alle quantità di droga in possesso dell’associazione, intervenendo altresì nelle questioni concernenti i conteggi.
Elementi questi che, nel giudizio del Tribunale, evidenziano una concreta e consapevole partecipazione alle attività del sodalizio di cui al capo 3) della contestazione.
Deve ritenersi, invece, inammissibile la censura proposta in ordine alla sussistenza del quadro di gravità indiziaria per i reati fine, essendo precluso in sede di legittimità l’esame di questioni delle quali il giudice dell’impugnazione cautelare non era stato investito.
2. Il secondo motivo é del pari manifestamente infondato.
Con riguardo alla configurabilità dell’aggravante di cui all’ art. 7 della I. 13 maggio 1991 n. 152 (ora art. 416 bis I cod. pen.), contestata, come nella specie, nella forma soggettiva, si esige che l’agente deliberi l’attività illecita nel convinzione di apportare un vantaggio alla compagine associativa. E’ necessario però, affinché il reato non sia privo di offensività, che tale rappresentazione si fondi su elementi concreti, inerenti, in via principale, all’esistenza di un gruppo associativo avente le caratteristiche di cui all’art. 416 bis cod. pen. e all’effettiv possibilità che l’azione illecita si inscriva nelle possibili utilità, anche n essenziali al fine del raggiungimento dello scopo di tale compagine, secondo la valutazione del soggetto agente, non necessariamente coordinata con i componenti dell’associazione, non dovendo peraltro tale finalità essere esclusiva, nel senso che ben può accompagnarsi ad esigenze egoistiche quali, ad esempio, la volontà di proporsi come elemento affidabile al fine dell’ammissione al gruppo o qualsiasi altra finalità di vantaggio, assolutamente personale, che si coniughi con l’esigenza di agevolazione.
Costituisce peraltro affermazione condivisa di questa Corte (cfr. Sez. 3, n. 9142 del 13/01/2016, Rv. 266464), quella secondo cui, ai fini della configurabilità della circostanza aggravante dell’agevolazione mafiosa, la finalità agevolatrice perseguita dall’autore del delitto deve essere oggetto, onde evitare il rischio della diluizione della aggravante nella semplice contestualità ambientale, di una rigorosa verifica in sede di formazione della prova, sotto il duplice profilo della dimostrazione che il reato è stato commesso al fine specifico di favorire l’attività dell’associazione mafiosa e della consapevolezza dell’ausilio prestato al sodalizio.
2.1. Ebbene, in applicazione di tale principio, l’ordinanza impugnata (pg. 13) desume la sussistenza dell’aggravante de qua dalla diretta investitura di COGNOME da parte di COGNOME, emanazione della famiglia mafiosa di Carini, e dall’esplicito interesse nei riguardi dell’attività di spaccio del sodalizio da parte
dell’associazione mafiosa cui doveva essere garantita una parte dei profitti ill derivanti da detta attività.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile. Segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento del spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa dell ammende.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod.proc.pen.
Così deciso il 10.9.2025