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Amministratore di fatto: la Cassazione conferma condanna

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto condannato per bancarotta fraudolenta, confermando la sua responsabilità come amministratore di fatto. La decisione si basa su prove concrete come la gestione autonoma del conto corrente societario e le testimonianze, ribadendo che l’esercizio effettivo del potere gestionale prevale sulla carica formale. Di conseguenza, l’amministratore di fatto risponde dei reati societari commessi.

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Pubblicato il 13 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Amministratore di Fatto e Bancarotta: La Cassazione Fa Chiarezza sulle Prove

Nel diritto societario e penale, la figura dell’amministratore di fatto assume un’importanza cruciale. Si tratta di colui che, pur non avendo una nomina ufficiale, gestisce e dirige un’impresa, prendendo decisioni strategiche e operative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i criteri per identificare tale figura e le conseguenti responsabilità penali, in particolare in relazione al grave reato di bancarotta fraudolenta. La sentenza sottolinea come la sostanza del potere gestionale prevalga sempre sulla forma dell’incarico.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta per distrazione. L’imputato, secondo l’accusa, aveva sottratto ingenti somme di denaro dalle casse di una società, contribuendo al suo dissesto. Per difendersi, l’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di non poter essere ritenuto responsabile in quanto non ricopriva la carica di amministratore legale della società. Egli contestava, in sostanza, l’accertamento del suo ruolo di amministratore di fatto.

La Prova dell’Amministratore di Fatto secondo i Giudici

Il ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello, la quale lo aveva identificato come il vero dominus della società. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della corte territoriale fosse logica, coerente e basata su elementi di prova inequivocabili.

Gli elementi chiave che hanno dimostrato il ruolo di amministratore di fatto erano principalmente due:

1. La Gestione del Conto Corrente: Anche dopo la nomina di un altro soggetto come amministratore formale, il ricorrente aveva mantenuto la firma disgiunta sul conto societario. Questo gli ha permesso di continuare a effettuare prelievi di notevole importo (fino a 4.000/5.000 euro per volta) in totale autonomia.
2. Le Testimonianze: Durante il processo, diverse testimonianze concordanti avevano confermato il suo ruolo direttivo e gestionale all’interno dell’azienda.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i limiti del proprio sindacato. Non è compito della Cassazione, infatti, procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto o sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo ruolo è quello di verificare l’esistenza di un apparato argomentativo logico e privo di vizi giuridici. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva costruito una motivazione solida, basata su prove concrete che, lette congiuntamente, non lasciavano dubbi sulla posizione di vertice occupata dall’imputato.

Una volta stabilita la correttezza della motivazione sul ruolo di amministratore di fatto, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata anche la seconda doglianza del ricorrente, relativa alla bancarotta documentale. Se un soggetto agisce come amministratore, infatti, è tenuto anche ai relativi obblighi di corretta tenuta delle scritture contabili e risponde penalmente in caso di loro occultamento o distruzione finalizzata a danneggiare i creditori.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto penale commerciale: la responsabilità penale non deriva dalla carica formale, ma dall’effettivo esercizio del potere. Chiunque gestisca un’impresa, impartisca direttive e compia atti di amministrazione, anche senza un’investitura ufficiale, è a tutti gli effetti un amministratore di fatto e, come tale, è chiamato a rispondere dei reati commessi nella gestione. Questa decisione serve da monito per chi tenta di schermarsi dietro prestanome o cariche formali altrui: ciò che conta, per la legge, è chi detiene realmente il potere decisionale e gestionale.

Come si dimostra in un processo il ruolo di amministratore di fatto?
Secondo la Corte, il ruolo di amministratore di fatto può essere provato attraverso elementi concreti come il mantenimento della facoltà di operare autonomamente sui conti correnti societari, l’esecuzione di prelievi significativi e le testimonianze concordanti che confermano l’esercizio di un potere direttivo.

Una persona non nominata formalmente amministratore può essere condannata per bancarotta?
Sì. La sentenza conferma che chiunque agisca come amministratore di fatto, esercitando poteri gestionali, è equiparato all’amministratore di diritto e può quindi essere condannato per i reati societari, inclusa la bancarotta fraudolenta.

Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove e i fatti del processo. Il suo compito è verificare che la decisione del giudice precedente sia basata su una motivazione logica, coerente e giuridicamente corretta, senza entrare in una nuova valutazione delle prove.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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