Amministratore di Fatto e Bancarotta: La Cassazione Fa Chiarezza sulle Prove
Nel diritto societario e penale, la figura dell’amministratore di fatto assume un’importanza cruciale. Si tratta di colui che, pur non avendo una nomina ufficiale, gestisce e dirige un’impresa, prendendo decisioni strategiche e operative. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito con forza i criteri per identificare tale figura e le conseguenti responsabilità penali, in particolare in relazione al grave reato di bancarotta fraudolenta. La sentenza sottolinea come la sostanza del potere gestionale prevalga sempre sulla forma dell’incarico.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un soggetto condannato in primo e secondo grado per bancarotta fraudolenta per distrazione. L’imputato, secondo l’accusa, aveva sottratto ingenti somme di denaro dalle casse di una società, contribuendo al suo dissesto. Per difendersi, l’interessato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo di non poter essere ritenuto responsabile in quanto non ricopriva la carica di amministratore legale della società. Egli contestava, in sostanza, l’accertamento del suo ruolo di amministratore di fatto.
La Prova dell’Amministratore di Fatto secondo i Giudici
Il ricorrente lamentava una violazione di legge e un vizio di motivazione da parte della Corte d’Appello, la quale lo aveva identificato come il vero dominus della società. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto che la motivazione della corte territoriale fosse logica, coerente e basata su elementi di prova inequivocabili.
Gli elementi chiave che hanno dimostrato il ruolo di amministratore di fatto erano principalmente due:
1. La Gestione del Conto Corrente: Anche dopo la nomina di un altro soggetto come amministratore formale, il ricorrente aveva mantenuto la firma disgiunta sul conto societario. Questo gli ha permesso di continuare a effettuare prelievi di notevole importo (fino a 4.000/5.000 euro per volta) in totale autonomia.
2. Le Testimonianze: Durante il processo, diverse testimonianze concordanti avevano confermato il suo ruolo direttivo e gestionale all’interno dell’azienda.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha colto l’occasione per ribadire i limiti del proprio sindacato. Non è compito della Cassazione, infatti, procedere a una ‘rilettura’ degli elementi di fatto o sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito. Il suo ruolo è quello di verificare l’esistenza di un apparato argomentativo logico e privo di vizi giuridici. Nel caso di specie, la Corte d’Appello aveva costruito una motivazione solida, basata su prove concrete che, lette congiuntamente, non lasciavano dubbi sulla posizione di vertice occupata dall’imputato.
Una volta stabilita la correttezza della motivazione sul ruolo di amministratore di fatto, la Cassazione ha ritenuto manifestamente infondata anche la seconda doglianza del ricorrente, relativa alla bancarotta documentale. Se un soggetto agisce come amministratore, infatti, è tenuto anche ai relativi obblighi di corretta tenuta delle scritture contabili e risponde penalmente in caso di loro occultamento o distruzione finalizzata a danneggiare i creditori.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale del diritto penale commerciale: la responsabilità penale non deriva dalla carica formale, ma dall’effettivo esercizio del potere. Chiunque gestisca un’impresa, impartisca direttive e compia atti di amministrazione, anche senza un’investitura ufficiale, è a tutti gli effetti un amministratore di fatto e, come tale, è chiamato a rispondere dei reati commessi nella gestione. Questa decisione serve da monito per chi tenta di schermarsi dietro prestanome o cariche formali altrui: ciò che conta, per la legge, è chi detiene realmente il potere decisionale e gestionale.
Come si dimostra in un processo il ruolo di amministratore di fatto?
Secondo la Corte, il ruolo di amministratore di fatto può essere provato attraverso elementi concreti come il mantenimento della facoltà di operare autonomamente sui conti correnti societari, l’esecuzione di prelievi significativi e le testimonianze concordanti che confermano l’esercizio di un potere direttivo.
Una persona non nominata formalmente amministratore può essere condannata per bancarotta?
Sì. La sentenza conferma che chiunque agisca come amministratore di fatto, esercitando poteri gestionali, è equiparato all’amministratore di diritto e può quindi essere condannato per i reati societari, inclusa la bancarotta fraudolenta.
Qual è il limite del giudizio della Corte di Cassazione?
La Corte di Cassazione non può riesaminare nel merito le prove e i fatti del processo. Il suo compito è verificare che la decisione del giudice precedente sia basata su una motivazione logica, coerente e giuridicamente corretta, senza entrare in una nuova valutazione delle prove.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 14605 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 14605 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a NAPOLI il DATA_NASCITA;
avverso la sentenza del 12/05/2023 della CORTE D’APPELLO DI NAPOLI;
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
MOTIVI DELLA DECISIONE
Rilevato che con la sentenza impugnata la Corte di appello di Napoli confermava la condanna del ricorrente per il delitto di bancarotta fraudolenta per distrazione;
Considerato che l’imputato, con il primo e il secondo motivo, sviluppati unitariamente, deduce violazione dell’art. 2639 cod. civ. e vizio di motivazione circa l’accertamento del suo ruolo di amministratore di fatto della società;
Rilevato che si tratta di censure reiterative di analogo motivo di gravame che è stato disatteso con argomentazioni congrue dalla Corte territoriale laddove ha rilevato, in primo luogo, che, anche dopo la nomina quale amministratore della società del RAGIONE_SOCIALE, il ricorrente ha continuato ad avere la firma disgiunta sul conto, dal quale ha fatto prelievi di rilevante importo, anche nella misura di euro 4.000/5.000 per volta e ha, poi, valorizzato le concordanti testimonianze rese nel corso del dibattimento circa il ruolo direttivo di fatto rivestito dall’imputato nel società (pag. 5);
Ritenuto dunque tale motivo di ricorso inammissibile perché l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione essere limitato – per espressa volontà del legislatore – a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza possibilità di verificare l’adeguatezza delle argomentazioni di cui il giudice di merito si è avvalso per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, R. 207944 – 01, la quale ha sottolineato che esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali);
Considerato che con il secondo motivo il COGNOME contesta la condanna per bancarotta fraudolenta documentale sul presupposto che egli non possedeva la qualifica di amministratore;
Rilevato che, una volta ritenuta congrua la motivazione della Corte territoriale sullo svolgimento del ruolo di amministratore di fatto del ricorrente nella società, segue la manifesta infondatezza del predetto motivo;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 13/03/2024