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Abuso edilizio e vincolo: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione conferma la condanna per abuso edilizio a carico di due soggetti che avevano realizzato un muro di recinzione e un piazzale in cemento in un’area soggetta a vincolo paesaggistico e sismico, senza il necessario permesso di costruire. La Corte chiarisce che tali opere, per dimensioni e natura, non possono essere considerate manutenzione straordinaria e richiedono il titolo edilizio maggiore. La sentenza viene annullata solo in parte, con una rideterminazione della pena a causa di un errore di calcolo legato al giudizio abbreviato, ma l’ordine di demolizione e la responsabilità penale vengono confermati.

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Pubblicato il 2 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Abuso edilizio in zona vincolata: quando il permesso di costruire è obbligatorio

Costruire o modificare un immobile in Italia richiede grande attenzione alle normative, specialmente in aree protette. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (n. 7538/2024) offre importanti chiarimenti sull’abuso edilizio, ribadendo la distinzione tra interventi minori e opere che alterano permanentemente il territorio, per le quali è indispensabile il permesso di costruire. Questo caso analizza la realizzazione di un muro di recinzione e un piazzale in un’area con vincoli paesaggistici e sismici, evidenziando le gravi conseguenze per chi non rispetta le regole.

I fatti del caso: costruzione in area vincolata

Due privati cittadini venivano condannati in primo grado e in appello per aver realizzato diverse opere senza le necessarie autorizzazioni. Nello specifico, avevano costruito un muro di recinzione in cemento prefabbricato e un piazzale in calcestruzzo in un’area sottoposta a vincolo paesaggistico e classificata come zona sismica. Il tutto senza aver richiesto il permesso di costruire, l’autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza e l’autorizzazione per le opere in zona sismica.

La difesa degli imputati sosteneva che i lavori fossero semplici opere di manutenzione straordinaria su manufatti preesistenti e che, pertanto, sarebbe stata sufficiente una CILA (Comunicazione di Inizio Lavori Asseverata), peraltro presentata tardivamente. La Corte d’Appello, però, non solo aveva confermato la condanna, ma aveva anche aggiunto l’ordine di demolizione delle opere abusive.

L’analisi della Cassazione sull’abuso edilizio

Investita della questione, la Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, fornendo una disamina dettagliata dei confini dell’abuso edilizio e dei relativi obblighi di legge.

Muro e piazzale: non è manutenzione straordinaria

Il punto centrale della difesa era la qualificazione dei lavori come manutenzione. La Cassazione ha respinto categoricamente questa tesi. La realizzazione di un muro di recinzione di dimensioni significative (m 15 x 9,75, alto 1,40 m) e di un piazzale in getto di cemento (m 23,50 x 4,80) su un fondo rustico non può essere considerata manutenzione. Si tratta, invece, di interventi che comportano una “modificazione a carattere stabile ed incidente in modo significativo sull’assetto urbanistico”.

Secondo la giurisprudenza costante, la costruzione di un muro di recinzione necessita del permesso a costruire quando, per struttura e dimensioni, è tale da modificare l’assetto del territorio. Lo stesso vale per la creazione di un piazzale, che determina una trasformazione permanente del suolo. Di conseguenza, una semplice CILA è del tutto insufficiente e la sua presentazione tardiva non ha alcun effetto estintivo sul reato commesso.

L’impatto del vincolo paesaggistico e sismico

La Corte ha sottolineato che la presenza di un vincolo paesaggistico e sismico aggrava la posizione degli imputati. Qualsiasi intervento in queste aree deve essere autorizzato preventivamente per tutelare, rispettivamente, il paesaggio e la pubblica incolumità. La normativa antisismica si applica a tutte le costruzioni, anche su proprietà privata, perché mira a proteggere la sicurezza delle persone, incluso il proprietario stesso.

L’ottenimento postumo delle autorizzazioni (la cosiddetta “sanatoria”) non estingue i reati. In particolare, il rilascio tardivo dell’autorizzazione paesaggistica è consentito solo in casi eccezionali e non sana il reato edilizio. Allo stesso modo, il deposito “a sanatoria” dei progetti strutturali non cancella la contravvenzione antisismica, che punisce l’omissione del controllo preventivo.

L’unico punto a favore: l’errore sul calcolo della pena

L’unico motivo di ricorso che la Corte ha accolto riguarda un aspetto puramente procedurale: il calcolo della pena. Gli imputati avevano scelto il rito del giudizio abbreviato. La legge prevede che, in caso di condanna per una contravvenzione (come l’abuso edilizio), la pena debba essere diminuita della metà. I giudici di merito avevano erroneamente applicato la riduzione di un terzo, prevista per i delitti.

La Cassazione ha quindi annullato la sentenza “senza rinvio” su questo punto, procedendo direttamente a ricalcolare la pena, che è stata ridotta a un mese e 15 giorni di arresto e 5.150 euro di ammenda. Tuttavia, ha confermato tutto il resto, inclusa la responsabilità per i reati e l’ordine di demolizione.

Le motivazioni della Corte

Le motivazioni della Corte si fondano su principi consolidati. In primo luogo, la trasformazione permanente del territorio, anche senza aumento di volumetria, integra un intervento di “nuova costruzione” che richiede il permesso di costruire. In secondo luogo, le normative a tutela del paesaggio e della sicurezza sismica impongono un controllo preventivo che non può essere aggirato da autorizzazioni postume, le quali non hanno efficacia sanante sul reato. Infine, la Corte ha rigettato la richiesta di applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.), ritenendo la lesione del bene giuridico (il territorio) tutt’altro che lieve, date le dimensioni delle opere e la loro localizzazione in area vincolata.

Le conclusioni

La sentenza rappresenta un monito importante: la qualificazione di un intervento edilizio non dipende dal nome che gli si dà, ma dalla sua sostanza. Opere che modificano in modo permanente e significativo l’assetto di un’area, specialmente se vincolata, costituiscono un abuso edilizio e richiedono il permesso di costruire. La presentazione di una CILA non è una scorciatoia e le sanatorie postume non sempre cancellano le conseguenze penali. La decisione della Cassazione, pur riducendo la pena per un errore tecnico, conferma la linea dura della giurisprudenza a tutela del territorio e del paesaggio.

La costruzione di un muro di recinzione e di un piazzale richiede sempre il permesso di costruire?
Sì, secondo la sentenza, tali interventi richiedono il permesso di costruire quando, per struttura e dimensioni, sono tali da modificare in modo permanente e significativo l’assetto urbanistico del territorio, come nel caso di un muro di 15×9.75 metri e un piazzale di 23.50×4.80 metri su fondo rustico.

Presentare una CILA tardiva sana un abuso edilizio?
No, la CILA presentata successivamente all’inizio dei lavori non produce alcun effetto estintivo dei reati edilizi. Il suo unico effetto, previsto dalla legge, può essere la riduzione della sanzione amministrativa se la comunicazione avviene spontaneamente mentre l’intervento è ancora in corso, ma non cancella il reato penale.

Qual è la riduzione di pena per il giudizio abbreviato in caso di contravvenzione come l’abuso edilizio?
In caso di condanna per una contravvenzione a seguito di giudizio abbreviato, la pena determinata dal giudice è diminuita della metà, e non di un terzo come previsto per i delitti. La Corte di Cassazione ha corretto l’errore dei giudici di merito su questo punto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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