Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 18540 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 18540 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 08/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10910-2020 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa da ll’avv. COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE AZIENDA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO, nello studio degli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME che la rappresentano e difendono
-controricorrente e ricorrente incidentale – nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. NOME COGNOME
-controricorrenti –
nonchè contro
RISORGIMENTO SOCIETARAGIONE_SOCIALE LIQUIDAZIONE COATTA AMMINISTRATIVA
-intimata –
avverso la sentenza non definitiva n. 1113/2016, depositata in data 06/07/2016 e la sentenza definitiva n. 1910/2019, depositata in data 04/09/2019, entrambe della medesima CORTE D’APPELLO di CATANIA udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso del 13.9.2003 Arte Orto Azienda RAGIONE_SOCIALE richiedeva accertamento tecnico preventivo al fine di verificare lo stato vegetativo e produttivo di una serie di piantine di pomodoro di varietà Kyrbi F1 e Tyty F1, che la predetta società aveva acquistato da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE, che avevano avuto una crescita stentata ed erano state aggredite dal virus Tylcv, rispetto al quale invece esse erano pubblicizzate come ‘tolleranti non resistenti’ . Si costituivano le due società venditrici, chiamando in causa a loro volta RAGIONE_SOCIALE produttrice delle sementi utilizzate per la crescita delle piantine poi cedute ad RAGIONE_SOCIALE
Con atto di citazione notificato il 21.4.2004 Arte RAGIONE_SOCIALE, una volta terminato il procedimento di accertamento tecnico preventivo, evocava in giudizio RAGIONE_SOCIALE innanzi il Tribunale di Modica, invocando la risoluzione dei contratti di acquisto delle piantine di pomodoro oggetto di causa e la condanna dei convenuti al
risarcimento del danno dipendente dal loro inadempimento, quantificato in € 4.000.000.
Si costituivano le convenute, resistendo alla domanda, invocando in via riconvenzionale la condanna dell’attrice al saldo del corrispettivo contrattualmente dovuto a ciascuna delle predette società e chiedendo la chiamata in causa di RAGIONE_SOCIALE per tenerle indenne da qualsiasi danno.
Si costituiva, a seguito di chiamata in causa, anche RAGIONE_SOCIALE resistendo sia alla domanda principale che a quella di manleva.
Con sentenza n. 253/2010 il Tribunale rigettava la domanda principale svolta da Arte Orto, accogliendo invece quelle riconvenzionali e condannando l’attrice al saldo della somma di € 64.594,31 oltre accessori in favore di RAGIONE_SOCIALE e della somma di € 5.320,82 in favore di RAGIONE_SOCIALE
Interponeva appello avverso detta decisione RAGIONE_SOCIALE e si costituivano, per resistere al gravame, le altre parti.
Con sentenza non definitiva n. 1113/2016 la Corte di Appello di Catania accoglieva l’appello, dichiarando la risoluzione dei contratti di acquisto delle piantine oggetto di causa rispettivamente conclusi dall’appellante con RAGIONE_SOCIALE, rimettendo la causa in istruttoria per la quantificazione del danno per mancato guadagno.
Dopo aver esperito apposita C.T.U., con sentenza definitiva n. 1910/2019 la medesima Corte di Appello condannava RAGIONE_SOCIALE in liquidazione al risarcimento del danno pari ad € 553.808 oltre accessori, condannando altresì RAGIONE_SOCIALEgià RAGIONE_SOCIALE a tenere indenne la detta società dalle conseguenze dell’accoglimento della domanda di RAGIONE_SOCIALE
Secondo la sentenza non definitiva, le piante fornite ad RAGIONE_SOCIALE erano risultate non conformi a quanto contrattualmente pattuito, in quanto non resistenti al virus Tylcv; poiché tale qualità doveva ritenersi essenziale, la cosa compravenduta doveva essere ritenuta inidonea all’uso previsto, per effetto del riscontrato vizio redibitorio incidente su di essa. Le società venditrici, inoltre, non avevano dimostrato di aver eseguito adeguate verifiche, prima di consegnare la merce oggetto di causa, in relazione alla sua idoneità all’uso previsto contrattualmente, e dunque non avevano superato la presunzione di cui all’art. 1494 c.c. Né poteva configurarsi una causa di esclusione della responsabilità delle due società fornitrici, per effetto della mancata installazione, da parte di RAGIONE_SOCIALE, di reti di protezione dagli insetti e per la mancata adozione degli accorgimenti indicati da una brochure che RAGIONE_SOCIALE asseriva di aver distribuito ai propri clienti siciliani non appena aveva riscontrato che, in ambiente mediterraneo, le varietà di pomodoro oggetto delle forniture contestate non avevano manifestato sufficiente resistenza al virus Tylcv. Con la sentenza definitiva, invece, la Corte di Appello quantificava, sulla base degli accertamenti condotti dal C.T.U. appositamente nominato, in € 553.808 il danno da lucro cessante dovuto da RAGIONE_SOCIALE ad RAGIONE_SOCIALE Dichiarava invece improcedibile la domanda spiegata nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, in quanto nel corso del giudizio di seconde cure quest’ultima era stata assoggettata a procedura di liquidazione coatta amministrativa.
Propone ricorso per la cassazione di ambedue le predette decisioni RAGIONE_SOCIALE affidandosi a sei motivi.
Resiste con controricorso RAGIONE_SOCIALE spiegando a sua volta ricorso incidentale affidato a due motivi.
Resiste con controricorso anche RAGIONE_SOCIALE in liquidazione.
RAGIONE_SOCIALE in RAGIONE_SOCIALE, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.
Con atto datato 14.4.2025, a seguito del constatato decesso dell’unico originario difensore della parte ricorrente, si sono costituiti i nuovi procuratori di quest’ultima, facendo proprie le difese già svolte in precedenza nell’interesse della parte loro assistita.
In prossimità dell’adunanza camerale, la parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente principale denunzia la violazione dell’art. 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe accolto la domanda di manleva, in assenza di una sua espressa riproposizione in secondo grado.
Con il secondo motivo, invece, si duole della violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma bn. 4, c.p.c., perché il giudice di seconda istanza si sarebbe erroneamente pronunciata sulla domanda di manleva di cui anzidetto, così incorrendo in vizio di ultrapetizione.
Le due censure, suscettibili di trattazione congiunta, sono infondate.
Va premesso che la domanda di manleva non è stata esaminata dal Tribunale, poiché la domanda principale di RAGIONE_SOCIALE non era stata accolta in quella sede. Di conseguenza, va ribadito il principio secondo cui ‘Nel processo ordinario di cognizione risultante dalla novella di cui alla legge n. 353 del 1990 e dalle successive modifiche, le parti del processo di impugnazione, nel rispetto dell’autoresponsabilità e dell’affidamento processuale, sono tenute, per sottrarsi alla presunzione di rinuncia (al di fuori delle ipotesi di domande e di eccezioni esaminate e rigettate, anche
implicitamente, dal primo giudice, per le quali è necessario proporre appello incidentale ex art. 343 c.p.c.), a riproporre ai sensi dell’art. 346 c.p.c. le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, in quanto rimaste assorbite, con il primo atto difensivo e comunque non oltre la prima udienza, trattandosi di fatti rientranti già nel thema probandum e nel thema decidendum del giudizio di primo grado’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 7940 del 21/03/2019, Rv. 653280; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 25840 del 23/09/2021, Rv. 662488). Sotto il profilo formale, tuttavia, la norma processuale non impone specifiche modalità per la riproposizione delle questioni non esaminate dal giudice di primo grado; va ribadito, sul punto, l’ulteriore principio secondo cui ‘In materia di procedimento civile, in mancanza di una norma specifica sulla forma nella quale l’appellante che voglia evitare la presunzione di rinuncia ex art. 346 c.p.c. deve reiterare le domande e le eccezioni non accolte in primo grado, queste possono essere riproposte in qualsiasi forma idonea ad evidenziare la volontà di riaprire la discussione e sollecitare la decisione su di esse; tuttavia, pur se libera da forme, la riproposizione deve essere fatta in modo specifico, non essendo al riguardo sufficiente un generico richiamo alle difese svolte ed alle conclusioni prese davanti al primo giudice’ (Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 22311 del 15/10/2020, Rv. 659416; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 10796 del 11/05/2009, Rv. 608106).
Nel caso di specie, la parte controricorrente RAGIONE_SOCIALE in liquidazione precisa che nel suo atto di costituzione in appello aveva espressamente affermato che essa doveva essere tenuta indenne da RAGIONE_SOCIALE da qualsiasi conseguenza negativa derivante dall’eventuale accoglimento della domanda di RAGIONE_SOCIALE (cfr. pag. 11 del controricorso RAGIONE_SOCIALE in liquidazione). Secondo la Corte distrettuale, in tal modo la predetta società aveva riproposto la domanda
di manleva (cfr. pagg. 12 e 13 della sentenza definitiva) e tale statuizione appare condivisibile, alla luce dei principi di diritto poc’anzi richiamati.
Con il terzo motivo, la parte ricorrente principale lamenta la violazione degli artt. 112 c.p.c., 1495 e 1497 c.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente ritenuto inammissibili le eccezioni di decadenza e prescrizione proposte nel corso del giudizio di primo grado dall’odierna società ricorrente.
La censura è infondata.
Con la sentenza non definitiva la Corte distrettuale ha dato atto della scansione temporale degli eventi oggetto di causa, evidenziando che le piantine oggetto di causa, acquistate a luglio 2003, erano state messe a dimora da RAGIONE_SOCIALE, che in data 27.8.2003 aveva riscontrato la loro crescita anomala. Il vizio era stato segnalato ad RAGIONE_SOCIALE con nota del 28.8.2003 e a RAGIONE_SOCIALE con nota del 3.9.2003. Le due società venditrici avevano a loro volta segnalato il difetto a RAGIONE_SOCIALE S.p.a. con note, rispettivamente, del 3.9.2003 e del 4.9.2003. Poiché l’art. 1495, primo comma, c.c. impone che la denunzia del vizio avvenga entro 8 giorni dalla scoperta, la Corte catanese ha correttamente ritenuto che nessuna decadenza dall’azione si sia verificata nel caso di specie .
Neppure si configura la prescrizione dell’azione, posto che il termine di un anno dalla scoperta, previsto dall’art. 1495, terzo comma, c.c. per la proposizione della domanda non era decorso, né alla data del deposito del ricorso per accertamento tecnico preventivo, avvenuto il 13.9.2003, né al momento della successiva notificazione dell’atto di citazione, avvenuta il 21.4.2004.
Con il quarto motivo, RAGIONE_SOCIALE contesta la violazione degli artt. 2697 c.c., 184, 184-bis, 157, 194 e 159 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe recepito le conclusioni della C.T.U. esperita in prime cure, nonostante i vizi di nullità della stessa tempestivamente sollevati da RAGIONE_SOCIALE, per mancato rispetto dei tempi di deposito dell’elaborato peritale e perché il C.T .U. aveva acquisito documenti senza autorizzazione del Tribunale né assenso della società odierna ricorrente.
La censura è infondata.
La Corte di Appello ha dato atto che l’ausiliario aveva ‘… preso in visione (come si evince dal corpo della consulenza) anche un documento non ritualmente prodotto da parte attrice (la nota del 2.2.04 redatta dal dirigente dell’Osservatorio per le malattie delle piante di Acireale facente capo all’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste) …’ ma ha ritenuto che tale circostanza non avesse alcun rilievo, ‘… ove si consideri che l’elemento fondante della diagnosi formulata dal Ctu non è il contenuto della nota suddetta, bensì l’esame diretto delle risultanze del precedente a.t.p. che, nell’offrire una compiuta descrizione del quadro sintomatologico afferente alle colture (all’epoca dell’a.t.p. ancora in essere), ha reso possibile al dr. A. COGNOME la formulazione della valutazione diagnostica (viceversa non richiesta al primo consulente” (cfr. pag. 12 della sentenza non definitiva).
Dal passaggio motivazionale appena richiamato emerge chiaramente che il giudice di merito ha ritenuto comunque non decisivo il documento irritualmente acquisito dal consulente tecnico, non essendo lo stesso stato posto a base della valutazione dallo stesso condotta sulle cause del vizio riscontrato nella crescita delle piantine di cui è causa. Ne deriva che la sua acquisizione, seppure irrituale, non ha spiegato alcun
effetto concreto sul procedimento di accertamento e valutazione condotto dall’ausiliario, con conseguente irrilevanza del vizio processuale oggetto della doglianza in esame. Peraltro, in relazione alle facoltà del C.T.U. di acquisire documenti anche non depositati dalle parti nel rispetto del regime delle preclusioni che regola il processo civile, va considerato il principio secondo cui ‘In materia di consulenza tecnica d’ufficio, il consulente nominato dal giudice, nei limiti delle indagini commessegli e nell’osservanza del contraddittorio delle parti, può acquisire, anche prescindendo dall’attività di allegazione delle parti -non applicandosi alle attività del consulente le preclusioni istruttorie vigenti a loro carico-, tutti i documenti necessari al fine di rispondere ai quesiti sottopostigli, a condizione che non siano diretti a provare i fatti principali dedotti a fondamento della domanda e delle eccezioni che è onere delle parti provare e salvo, quanto a queste ultime, che non si tratti di documenti diretti a provare fatti principali rilevabili d’ufficio’ (Cass. Sez. U, Sentenza n. 3086 del 01/02/2022, Rv. 663786; conf. Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 25604 del 31/08/2022, Rv. 665450; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 32935 del 09/11/2022, Rv. 666142; Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 21903 del 21/07/2023, Rv. 668558; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26144 del 07/09/2023, Rv. 669081). Ne consegue che, in ogni caso, l’avvenuta acquisizione diretta, da parte del C.T.U., del documento di cui si discute non costituisce automatica causa di nullità dell’elaborato peritale. Né, per altro verso, la parte odierna ricorrente specifica, nel motivo in esame, che trattavasi di documento la cui acquisizione non era necessaria ai fini di rispondere ai quesiti che erano stati posti all’ausiliario. Al contrario, sotto questo profilo va evidenziato che, poiché si controverte delle cause di una crescita anomala di alcune piante di pomodoro, risultate affette dal virus Tylcv, il documento acquisito dall’ausiliario (nota del 2.2.04 redatta dal dirigente
del’Osservatorio per le malattie delle piante di Acireale facente capo all’Assessorato Regionale Agricoltura e Foreste) proveniva proprio dall’ente direttamente preposto al controllo sulle malattie fitologiche, onde non poteva dubitarsi dell’opportunità della sua acquisizione, al fine di meglio rispondere ai quesiti che il giudice di merito aveva posto al C.T.U.
Con il quinto motivo, il ricorrente principale lamenta la falsa applicazione dell’art. 1497 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente configurato il vizio redibitorio, riscontrando la carenza di una qualità della cosa venduta (la resistenza al virus Tylcv) che in effetti non era mai stata promessa, avendo il produttore dichiarato che le piantine compravendute erano tolleranti, e non resistenti, al virus di cui si discute.
La censura è inammissibile.
La Corte di Appello ha evidenziato che in sede di a.t.p. era emerso che le piante oggetto di causa erano ‘… vistosamente deteriorate; clorosi e accartocciamento del margine fogliare con lembo fogliare ripiegato a coppa verso l’alto; produzione (quando presentatasi all’accertamento) di pezzatura piccola e colore pallido’ e che il vizio interessava l’intera fornitura di cui è causa (cfr. pag. 11 della sentenza non definitiva). Il C.T.U. nominato nel successivo giudizio di merito, poi, ‘Sulla base delle descrizioni contenute nella relazione di a.t.p. (opportunamente corredata da rilievi fotografici) … in risposta al primo quesito postogli relativo alla causa del mancato corretto sviluppo delle piantine per come riscontrato in sede di a.t.p., affermava (nella relazione in atti del 20.11.06): ‘Il sottoscritto ha ben esaminato la sintomatologia riportata nella relazione del dr. S. COGNOME e, stante alle descrizioni, ai particolari stati vegetativi delle piante a diversa altezza, alla conformazione delle foglie, alle
caratteristiche dei frutti (pezzatura, colore), nonché al contenuto delle foto allegate, specialmente la n. 4 e la n. 6 (a colori)’ è giunto alla conclusione che la causa del mancato corretto sviluppo delle piantine ‘sia da attribuire ad un massiccio attacco di virosi, ossia al virus caratteristico dell’accartocciamento fogliare giallo (TYLCV)’, osservando che secondo la letteratura scientifica concernente l’argomento in oggetto, il virus TYLCV si trasmette per mezzo della mosca bianca degli orti …’ (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza non definitiva). Il giudice di seconda istanza ha ritenuto incontestato il fatto che ‘… era ben noto alle venditrici l’interesse dell’acquirente (operante nel settore dell’agricoltura biologica) all’acquisto di un prodotto che fosse in grado di resistere al virus TYLCV e che le stesse venditrici presentavano il prodotto in questione come connotato da tale specifica qualità’ (cfr. pagg. 14 e 15 della sentenza non definitiva), rilevando altresì che tali caratteristiche di resistenza all’agente patogeno di cui si discute erano state pubblicizzate anche dalla brochure informativa del prodotto (cfr. pagg. 15 e 17 della sentenza in esame) e che il C.T.U. aveva confermato, nella sua relazione integrativa del 7.4.2008. che la varietà di pomodoro Kyrbi era stata ‘… descritta dal Servizio ispettivo per l’orticoltura olandese, in data 30.5.03, come resistant al TYLCV’ (cfr. pag. 16 della sentenza non definitiva).
Con tale articolata motivazione la Corte distrettuale ha ritenuto che, sulla base delle risultanze di fatto e delle prove acquisite agli atti del giudizio di merito, sia l’odierna ricorrente che le società venditrici avessero effettivamente promesso che i semi (la prima) e le piantine (le seconde) compravendute avessero una specifica caratteristica di resistenza al virus TYLCV che, alla luce dell’attività di agricoltura biologica condotta da RAGIONE_SOCIALE, era da considerare essenziale. Tale valutazione si fonda su un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità mediante la mera contrapposizione, ad esso, di una lettura alternativa del
compendio istruttorio, posto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790). Né è possibile proporre un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui ‘L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata’ (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24/05/2006, Rv. 589595; conf. Cass. Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23/05/2014, Rv. 631448; Cass. Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13/06/2014, Rv. 631330; cfr. anche Cass. Sez. 1, Sentenza n. 16056 del 02/08/2016, Rv. 641328 e Cass. Sez. 6 -3, Ordinanza n. 16467 del 04/07/2017, Rv. 644812).
Neppure si configura alcun vizio della motivazione, che non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, ed è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logicoargomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv.
629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Con il sesto motivo, infine, la ricorrente principale lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe trascurato di verificare se le piantine risultate aggredite dal visur RAGIONE_SOCIALE fossero state effettivamente prodotte con semi commercializzati dalla società ricorrente e se esse avessero avuto uno sviluppo non corretto o del tutto mancante. Inoltre, il giudice di secondo grado non avrebbe verificato il cd. accartocciamento delle foglie ed avrebbe accertato in modo errato il numero delle serre coltivate con le piantine di cui è causa.
La censura è inammissibile.
Essa si risolve, come la precedente, nella contrapposizione di una ricostruzione alternativa del fatto e delle prove rispetto a quella prescelta dal giudice di merito. Per essa, dunque, valgono le considerazioni già espresse in relazione al quinto motivo del ricorso.
Passando all’esame dei due motivi del ricorso incidentale, con il primo di essi si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 345 e 346 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente riconosciuto ad Arte Orto un risarcimento del danno da lucro cessante, nella misura di € 553.808, ritenendo che la stessa avesse limitato la pretesa risarcitoria al solo profilo della perdita della produzione. Al contrario, la ricorrente incidentale lamenta di aver invocato il ristoro non soltanto del lucro cessante, ma anche del danno emergente, rappresentato dalle spese affrontate per la coltivazione delle piante oggetto di causa.
Con il secondo motivo, invece, si denunzia l’apparenza della motivazione ed il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili della stessa, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe apoditticamente determinato l’importo del danno risarcibile.
Le due censure, suscettibili di esame congiunto, sono infondate.
La Corte di Appello ha dato atto che ‘… il C.T.U., secondo un percorso argomentativo che appare ampiamente giustificato ed immune da vizi logici, ha determinato in complessivi € 601.590,00 (€ 467.538,00 per la varietà Kyrbi, € 14.052,00 per la varietà Tyty) il presumibile danno derivato all’appellante dalla mancata produzione e vendita del prodotto per cui è causa, corrispondente all’utile netto ricavabile dalle coltivazioni provenienti dalle piantine acquistate da RAGIONE_SOCIALE e da RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE Tale valore risulta ottenuto dalla differenza tra il valore della produzione lorda vendibile -pari al prezzo al kg. sì come accertato per le suindicate varietà (€/kg. 2,00 per la varietà Kyrbi, €/kg. 2,80 per la varietà Tyty) per il presumibile quantitativo che dalla coltivazione in serra delle piantine acquistati dalle appellate RAGIONE_SOCIALE avrebbe potuto ricavare (produzione lorda vendibile: € 1.229.563,80 per kg. 683.091 di pomodoro di varietà Kyrbi, € 277.804,80 per kg. 110.240 di pomodoro di varietà Tyty)- ed i verosimili costi complessivi (acquisto materiali, mezzi di produzione, manodopera, spese generali, imposte e tasse, riferiti all’epoca della produzione oggetto di causa, determinati nel complesso nella misura di € 8.500 x mq. 1.000 per la varietà Kyrbi, per un totale di € 645.141,50, e di € 8.000 x mq. 1.000 per la varietà Tyty, per un totale di € 110.240). Il reddito netto così ottenuto -pari ad € 584.422,30 per il prodotto di varietà Kyrbi, e ad € 167.564,80 per il prodotto di varietà Tyty- è stato ulteriormente abbattuto, sino al suindicato risultato finale, nella misura del 20%, da imputarsi alla vendita del prodotto raccolto e al
risparmio di spesa per il mancato raccolto. Ebbene, di tale danno complessivo il C.T.U. ha calcolato che ad RAGIONE_SOCIALE va imputata la somma di € 553.808,00 (determinata in proporzione alla percentuale di piante di varietà RAGIONE_SOCIALE fornite da RAGIONE_SOCIALE, 89,78%, per l’intero quantitativo di piante di varietà Tyty, fornite solo da RAGIONE_SOCIALE), mentre il danno ascrivibile a RAGIONE_SOCIALE è pari ad € 47.782 (corrispondente al 10,22% delle piante della varietà RAGIONE_SOCIALE fornite dalla stessa società)’ (cfr. pagg. 11 e 12 della sentenza definitiva).
Tale complessivo accertamento di fatto è fondato sulle risultanze istruttorie, ed in particolare sulla base degli accertamenti condotti dal C.T.U., che il collegio di seconda istanza ha ritenuto di condividere, richiamandone in modo più che dettagliato e con assoluta precisione il contenuto. Esso, peraltro, considera, nella determinazione finale del danno, anche i costi sostenuti per la produzione, che comunque vi è stata, sia pure in termini inferiori alle attese. Sotto questo profilo, la stessa ricorrente incidentale riconosce, a pag. 38 del proprio scritto difensivo, di aver comunque conseguito una produzione di € 317.963,25. L’esistenza di un risultato utile, sia pure inferiore alle aspettative, fa sì che le spese di produzione non possano essere risarcite per intero, ma vadano apprezzate in relazione alle aspettative di resa delle piantine oggetto di causa, rapportate al risultato effettivo conseguito per effetto dell’aggressione delle stesse da parte del virus Tylcv. Il calcolo eseguito dal giudice di merito è dunque corretto, poiché, dalla resa stimata dal C.T.U., in assenza di virus, sono stati detratti i costi sostenuti per la produzione, pervenendosi così ad un risultato finale atteso, a sua volta abbattuto del 20% in ragione, da un lato, del fatto che comunque una produzione, sia pure inferiore alle aspettative, vi è stata, e dall’altro lato, della considerazione che la minor resa ha comportato un minor costo di raccolta del prodotto. Ne consegue che il ragionamento seguito, in
concreto, dal giudice di merito per determinare il danno risarcibile non è affetto da alcuna omissione di componenti del pregiudizio stesso, né è viziato da affermazioni tra loro in irriducibile contrasto logico. La motivazione, da parte sua, è ben più che articolata, non è viziata da apparenza, né appare manifestamente illogica, è idonea ad integrare il cd. minimo costituzionale e a dar atto dell’iter logico-argomentativo seguito dal giudice di merito per pervenire alla sua decisione (cfr. Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830, nonché, in motivazione, Cass. Sez. U, Ordinanza n. 2767 del 30/01/2023, Rv. 666639).
Peraltro, va osservato che ove si seguisse il ragionamento proposto dal ricorrente incidentale si perverrebbe ad una illecita duplicazione delle voci del danno risarcibile, poiché i costi dei quali Arte Orto lamenta la mancata considerazione sono stati invece conteggiati dalla Corte di Appello nell’ambito della complessiva valutazione del danno come in precedenza ricostruita.
Al giudizio di fatto complessivamente operato dalla Corte di Appello per determinare il quantum del danno risarcibile la parte ricorrente incidentale contrappone in sostanza una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice di merito tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25/10/2013, Rv. 627790) e senza considerare che non è possibile proporre, in sede di legittimità, un apprezzamento diverso ed alternativo delle prove, dovendosi ribadire, sul punto, i principi già esposti in occasione dello scrutinio del quinto motivo del ricorso principale ed i precedenti ivi richiamati.
In definitiva, ambedue i ricorsi, principale e incidentale, vanno rigettati.
Le spese del presente giudizio di legittimità, in ragione della reciproca soccombenza, sono compensate.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater , del D.P .R. n. 115 del 2002- della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale e compensa le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, tanto da parte del ricorrente principale che di quello incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda