Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5858 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5858 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 05/03/2025
ORDINANZA
n. 13770/2022 R.G.
COGNOME
Rep.
C.C. 7 novembre 2024
Vendita
di
cose
mobili
Inadempimento
contrattuale
risarcimento
danni.
sul ricorso (iscritto al n. 13770/2022 R.G.) proposto da:
RAGIONE_SOCIALE. RAGIONE_SOCIALE , con sede in Padova, al INDIRIZZO (Codice Fiscale e Partita I.V.A.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME, rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al ricorso introduttivo del presente giudizio di legittimità (indirizzi p.e.c. dei difensori: ‘ EMAILpec.ordineavvocatitreviso.it ‘
‘ EMAIL ‘ );
-ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE , con sede in Carpi (MO), alla INDIRIZZO (Codice Fiscale e Partita I.V.A.: P_IVA), in persona del legale rappresentante pro tempore NOME COGNOME, elettivamente domiciliato in Modena, al INDIRIZZO presso lo studio dell’avv. NOME COGNOME che, congiuntamente e disgiuntamente all’avv. NOME COGNOME rappresenta e difende la società stessa, giusta procura speciale allegata al controricorso (indirizzi p.e.c. dei difensori:
‘ elenaEMAIL ‘
‘ EMAIL ‘ );
-controricorrente –
avverso la sentenza della Corte d’Appello di Bologna n. 668/2022, pubblicata il 18 marzo 2022;
udita la relazione della causa svolta, nella camera di consiglio del 7 novembre 2024, dal Consigliere relatore NOME COGNOME
lette le memorie illustrative depositate nell’interesse delle parti, ai sensi dell’art. 380 -bis .1. c.p.c.;
FATTI DI CAUSA
1.- Con atto di citazione del dicembre 2017, la RAGIONE_SOCIALE conveniva in giudizio la RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Tribunale di Modena, affinché venisse condannata al risarcimento di tutti i danni patrimoniali cagionati dall’inadempimento contrattuale alla stessa imputabile, da quantificarsi nella complessiva somma di € . 7.700,00 (euro settemilasettecento/00).
In particolare, l’attrice, azienda di produzione e commercio di etichette e simili, si doleva del fatto che la convenuta le avesse fornito, in esecuzione dell’ordinativo n. 4034 del 1° dicembre 2016, del tessuto non tessuto (TNT) contenente valori di NPEO (Nonilfenolo Etossilato) superiori al limite consentito dal Reg. CE n. 1907/2006 (Regolamento REACH); circostanza, questa, che l’attrice aveva appreso solo a seguito delle indagini tecniche di laboratorio commissionate da ll’a cquirente finale delle etichette prodotte dalla RAGIONE_SOCIALE tramite accoppiatura di TNT ed ecopelle.
La convenuta, nel costituirsi in giudizio, contestava le avverse pretese sostenendo che le deduzioni di controparte erano del tutto sfornite di supporto probatorio tanto sotto il profilo dell’ an della responsabilità da inadempimento, che sotto quello del quantum , precisando che la RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto premurarsi di eseguire gli opportuni controlli prima di lavorare il materiale e consegnarlo alla propria cliente.
Con la sentenza di primo grado, il Tribunale di Modena accoglieva la domanda giudiziale per le seguenti ragioni: 1) la parte convenuta aveva fornito all’attrice due articoli di TNT, come comprovato dalla fattura n. 1688 del 5 dicembre 2016; 2) l’attrice non era decaduta dall’azione di garanzia per i vizi della cosa venduta, atteso che, al momento in cui giungeva ad
essa la contestazione da parte dell ‘acquirente , i vizi venivano immediatamente denunciati alla società fornitrice ; 3) l’onere probatorio a carico di parte attrice circa l’esistenza dei vizi era stato assolto, stante il riconoscimento della loro esistenza da parte della convenuta; 4) ciò escludeva anche la necessità del rispetto dei termini di cui all’art. 1495 c.c. per la denuncia dei vizi; 5) la merce contestata era la medesima fornita dalla parte attrice all ‘acquirente .
Pertanto, il Tribunale condannava la società convenuta al risarcimento in favore dell’attrice di tutti i danni da quest’ultima patiti, che venivano quantificati equitativamente nella somma di € 4.000,00 (euro quattromila/00), oltre a interessi e rivalutazione, in considerazione della nota di accredito emessa per reso merce, nonché del prezzo del materiale viziato e dei costi sostenuti per le analisi tecniche svolte.
2.- La Corte d’Appello di Bologna, investita da ll’impugnazione proposta dalla società RAGIONE_SOCIALE con la sentenza oggetto dell’odiern o ricorso per cassazione, respingeva l’appello .
A sostegno dell’adottata pronuncia la Corte di merito rilevava, per quanto di interesse in questa sede: a ) che era da disattendere l’affermazione dell’appellante secondo cui il dies a quo del termine per la denuncia dei vizi doveva rinvenirsi nel giorno della consegna della merce a RAGIONE_SOCIALE da parte della fornitrice: e ciò, in quanto la presenza di un quantitativo di NPEO superiore al limite consentito dalla normativa comunitaria assumeva i connotati di un vizio occulto, per lo più attinente ad un materiale lavorato, e quindi non immediatamente apprezzabile dall’acquirente ; b) che, inoltre, diversamente da quanto sostenuto dall’appellante , non poteva di certo essere rimproverata alla RAGIONE_SOCIALE la mancata esecuzione di accertamenti di laboratorio sul TNT fornitole, non potendosi ravvisarsi, in capo ad essa, un onere di indagine così esteso da includere l’espletamento di esami chimici ad opera di specialisti; c) che, peraltro, doveva considerarsi l’affidamento legittimamente riposto da TS RAGIONE_SOCIALE sulla conformità del prodotto acquistato rispetto alla normativa comunitaria, vigente all’epoca dei fatti già da un decennio; d) che la denuncia effettuata da RAGIONE_SOCIALE era da ritenersi senz’altro tempestiva, giacché dalla documentazione prodotta nel giudizio di primo grado emergeva come la predetta società avesse
provveduto a segnalare l’esistenza del vizio il giorno dopo averla appresa dalla propria cliente; e) che, con riguardo alla doglianza secondo cui non era provato che il tessuto fornito dalla Nuova RAGIONE_SOCIALE coincidesse con quello di cui la RAGIONE_SOCIALE si era servita per la realizzazione delle etichette poi vendute alla propria cliente e risultate non conformi allo standard europeo, tale circostanza poteva ritenersi provata per presunzioni, connotate da gravità, precisione e concordanza: in particolare, la connessione non solo temporale ma anche materiale tra la denuncia della RAGIONE_SOCIALE e l’esito del test chimico disposto da ll’acquirente era evidente considerando che nella email di denuncia inviata alla Nuova RAGIONE_SOCIALE risultava riportato uno stralcio del rapporto di prova del l’ esame di laboratorio; f) che, del resto, non risultava decisivo, in senso contrario, il fatto che l’ordinativo della cliente presentasse una data successiva a quella della consegna del tessuto alla RAGIONE_SOCIALE da parte della RAGIONE_SOCIALE, essendo pienamente verosimile che la prima si fosse approvvigionata del materiale da lavorare, perché già in trattativa per la fornitura delle etichette, e in attesa di ricevere l’ordine specifico ; g) che la valutazione equitativa del danno compiuta dal giudice di primo grado risultava condivisibile, perché fondata sulle prove documentali fornite dall’ attrice, consistenti, in particolare, nella nota di accredito, nel prezzo del materiale e nei costi per le analisi chimiche eseguite.
3.- Avverso la menzionata sentenza d’appello , la società RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
4.- La società RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
5.- A seguito di proposta di definizione anticipata, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., la ricorrente, con istanza del 1° settembre 2023, ha chiesto la decisione del ricorso.
6.- Ambedue le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- Con il primo motivo, la ricorrente denuncia , ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1495 c.c..
Sostiene, in particolare, che la Corte d’Appello s arebbe incorsa nella violazione della suddetta norma laddove ha considerato tempestiva la denuncia dei vizi effettuata da RAGIONE_SOCIALE , posto che quest’ultima avrebbe dovuto denunciarli entro otto giorni dalla consegna, incombendo a suo carico il dovere di esaminare il materiale. Inoltre, non sarebbe provato né quando era avvenuta la consegna delle etichette da RAGIONE_SOCIALE alla cliente finale, né quando quest’ultima av eva denunciato i vizi.
2.- La censura risulta manifestamente infondata, giacché muove dal presupposto – smentito dalla Corte di merito con un giudizio di fatto – che i vizi fossero immediatamente riconoscibili.
In particolare, a tale riguardo, la Corte di merito, oltre ad aver chiarito che la presenza di un quantitativo di NPEO superiore al limite consentito dalla normativa comunitaria assumeva i connotati di un vizio occulto, per lo più attinente ad un materiale lavorato, e quindi non immediatamente apprezzabile dall’acquirente , ha escluso altresì che potesse essere rimproverata alla RAGIONE_SOCIALE la mancata esecuzione di accertamenti di laboratorio sul TNT fornitole, non potendosi ravvisarsi, a suo carico, un onere di indagine così esteso da includere l’espletamento di esami chimici ad opera di specialisti. Infine, la Corte distrettuale ha precisato come dovesse essere tenuto in considerazione anche l’affidamento , legittimamente riposto dalla RAGIONE_SOCIALE in ordine alla conformità del prodotto acquistato rispetto alla normativa comunitaria, posto che quest’ultima, all’epoca dei fatti , risultava vigente già da un decennio.
In tal senso, dunque, la pronuncia della Corte di merito risulta in linea con il consolidato orientamento di questa Corte regolatrice, secondo cui « In materia di garanzia per i vizi della cosa venduta, il termine di decadenza di otto giorni dalla scoperta del vizio occulto, di cui all’art. 1495 c.c., decorre dal momento in cui il compratore ne ha acquisito certezza obiettiva e completa, sicché, ove la scoperta del vizio avvenga gradatamente ed in tempi diversi e successivi, in modo da riverberarsi sulla consapevolezza della sua entità, occorre far riferimento al momento in cui detta scoperta si sia completata. » (Cass. civ., Sez. 6-2, ordinanza n. 40814 del 20 dicembre 2021, Rv. 663453-01).
Del resto, questa Corte ha più volte affermato che « Le espressioni violazione o falsa applicazione di legge, di cui all’art. 360, comma 1, n. 3
c.p.c., descrivono i due momenti in cui si articola il giudizio di diritto: a) quello concernente la ricerca e l’interpretazione della norma ritenuta regolatrice del caso concreto; b) quello afferente l’applicazione della norma stessa una volta correttamente individuata ed interpretata. Il vizio di violazione di legge investe immediatamente la regola di diritto, risolvendosi nella negazione o affermazione erronea della esistenza o inesistenza di una norma, ovvero nell’attribuzione ad essa di un contenuto che non possiede, avuto riguardo alla fattispecie in essa delineata; il vizio di falsa applicazione di legge consiste, o nell’assumere la fattispecie concreta giudicata sotto una norma che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista – pur rettamente individuata e interpretata – non è idonea a regolarla, o nel trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che contraddicano la pur corretta sua interpretazione. Non rientra nell’ambito applicativo dell’art. 360, comma 1, n. 3, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa che è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta perciò al sindacato di legittimità. » (Cass., Sez. 1, ordinanza n. 640 del 14 gennaio 2019, Rv. 652398-01; conf. Cass., Sez. 3, sentenza n. 7187 del 4 marzo 2022, Rv. 664394-01).
Orbene, non è chi non veda come il motivo in esame, in quanto si concentra sull’accertamento delle circostanze di fatto valevoli ad integrare gli elementi idonei a ritenere che il termine per la denuncia dei vizi ex art. 1495 c.c. decorresse dal momento in cui questi erano stati scoperti, nel tentativo di confutarli sostenendo che invece tale decorrenza dovesse anticiparsi al momento della consegna della merce, finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle
prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. »).
3.- Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c..
Sostiene, al riguardo, che la Corte di merito sarebbe incorsa in errore nel ritenere provata, per presunzioni connotate da gravità, precisione e concordanza, la coincidenza tra il tessuto fornito e quello di cui la società RAGIONE_SOCIALE si era servita per la realizzazione delle etichette poi vendute alla propria cliente.
E ciò, in quanto la nota di accredito e le fatture non avrebbero alcuna attinenza con la fornitura di materiale che la società odierna controricorrente aveva sostenuto essere viziato. In particolare, le fatture richiamate nella nota di accredito farebbero riferimento ad ordini diversi dalla fornitura eseguita dalla ricorrente società RAGIONE_SOCIALE
4.- La censura risulta inammissibile, ai sensi dell’art. 360 -bis c.p.c., poiché la decisione adottata dalla Corte di merito è conforme alla giurisprudenza di questa Corte regolatrice.
Ed invero, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, « In tema di prova presuntiva, il giudice è tenuto, ai sensi dell’art. 2729 c.c., ad ammettere solo presunzioni “gravi, precise e concordanti”, laddove il requisito della “precisione” è riferito al fatto noto, che deve essere determinato nella realtà storica, quello della “gravità” al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto desumibile da quello noto, mentre quello della “concordanza”, richiamato solo in caso di pluralità di elementi presuntivi, richiede che il fatto ignoto sia – di regola – desunto da una pluralità di indizi gravi, precisi e univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza, e ad articolare il procedimento logico
nei due momenti della previa analisi di tutti gli elementi indiziari, onde scartare quelli irrilevanti, e nella successiva valutazione complessiva di quelli così isolati, onde verificare se siano concordanti e se la loro combinazione consenta una valida prova presuntiva (c.d. convergenza del molteplice), non raggiungibile, invece, attraverso un’analisi atomistica degli stessi. Ne consegue che la denuncia, in cassazione, di violazione o falsa applicazione del citato art. 2729 c.c., ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., può prospettarsi quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo può basarsi su presunzioni non gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota e non anche quando la critica si concreti nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella ritenuta applicata dal giudice di merito o senza spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma. » .
Orbene, nella specie, lungi dal limitarsi a criticare la sussistenza dei requisiti valevoli a permettere l’applicazione del ragionamento presuntivo,
la censura prospetta una diversa valutazione della documentazione prodotta in giudizio e si risolve, pertanto, in una critica alla ricostruzione del fatto operata dalla Corte di merito, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790-01, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, secondo cui « In tema di ricorso per cassazione, deve ritenersi inammissibile il motivo di impugnazione con cui la parte ricorrente sostenga un’alternativa ricostruzione della vicenda fattuale, pur ove risultino allegati al ricorso gli atti processuali sui quali fonda la propria diversa interpretazione, essendo precluso nel giudizio di legittimità un vaglio che riporti a un nuovo apprezzamento del complesso istruttorio nel suo insieme. »).
Non è possibile, dunque, proporre un apprezzamento diverso e alternativo delle prove, dovendosi ribadire il principio per cui « L’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonché la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata » (Cass. civ., Sez. 3, Sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, Rv. 589595-01; conf. Cass. civ., Sez. 1, Sentenza n. 11511 del 23 maggio 2014, Rv. 631448-01; Cass. civ., Sez. L, Sentenza n. 13485 del 13 giugno 2014, Rv. 631330-01).
5.- Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione de ll’art. 1226 c.c.., sostenendo che la Corte d’Appello sarebbe incorsa nella violazione della suddetta norma, in quanto avrebbe liquidato arbitrariamente il danno in favore della società RAGIONE_SOCIALE pur essendo quest’ultima venuta
meno al proprio onere probatorio circa l” an ‘ e il ‘ quantum ‘ della pretesa risarcitoria.
In particolare, afferma che l ‘unico documento prodotto da lla RAGIONE_SOCIALE per giustificare la quantificazione del danno sarebbe la nota di accredito già sopra menzionata in cui sarebbero menzionate fatture prive di attinenza con la fornitura di materiale che la società odierna controricorrente aveva sostenuto essere viziato.
Dunque, l’unico documento prodotto a sostegno della quantificazione del danno subito sarebbe privo di qualsivoglia valore probatorio non essendo minimamente riferibile o riconducibile alla merce venduta dalla società ricorrente RAGIONE_SOCIALE
Ciò nonostante la Corte di merito, confermando la decisione del Tribunale, avrebbe incomprensibilmente liquidato in via equitativa il danno lamentato dalla società RAGIONE_SOCIALE
6.- Anche tale censura risulta palesemente inammissibile, giacché finisce con il risolversi nella prospettazione di una ricostruzione alternativa della vicenda fattuale e, dunque, nella richiesta di una nuova valutazione del compendio istruttorio, notoriamente preclusa in sede di giudizio di legittimità (cfr., al riguardo, Cass., Sez. 5, ordinanza n. 32505 del 22 novembre 2023, Rv. 669412-01, secondo cui « Il ricorrente per cassazione non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, in quanto, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. »).
Nella specie, infatti, alla ricostruzione operata dal giudice di prime cure e condivisa dalla Corte distrettuale, la ricorrente tenta di contrapporre una lettura alternativa del compendio istruttorio, senza tener conto che il motivo di ricorso non può mai risolversi in un’istanza di revisione delle
valutazioni e del convincimento del giudice di merito volta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Cass. civ., Sez. U, Sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790-01, nonché Cass. civ., Sez. 2, ordinanza n. 10927 del 23 aprile 2024, Rv. 670888-01, già sopra citate).
Da ultimo, deve evidenziarsi come la pronuncia impugnata risulti in linea con l’orientamento di questa Corte regolatrice, secondo cui « Il potere di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., costituisce espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c. ed il suo esercizio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, senza necessità della richiesta di parte, dando luogo ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa, con l’unico limite di non potere surrogare il mancato accertamento della prova della responsabilità del debitore o la mancata individuazione della prova del danno nella sua esistenza, dovendosi, peraltro, intendere l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del danno in senso relativo e ritenendosi sufficiente anche una difficoltà solo di un certo rilievo. In tali casi, non è, invero, consentita al giudice del merito una decisione di “non liquet”, risolvendosi tale pronuncia nella negazione di quanto, invece, già definitivamente accertato in termini di esistenza di una condotta generatrice di danno ingiusto e di conseguente legittimità della relativa richiesta risarcitoria. » (Cass. civ., Sez. 3, ordinanza n. 13515 del 29 aprile 2022, Rv. 664639-01).
7.- In definitiva, alla stregua delle considerazioni finora sviluppate, il ricorso dev ‘ essere senz’altro respinto.
8.- Le spese e compensi del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
9.- Poiché il giudizio è definito in conformità alla proposta di definizione accelerata , ai sensi dell’art. 380 -bis , ultimo comma, c.p.c., deve farsi applicazione delle disposizioni di cui al l’art. 96, commi 3 e 4, c.p.c., con conseguente condanna ulteriore della ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, di una somma equitativamente determinata e che si liquida in dispositivo, nonché al pagamento, in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge, anch’essa liquidata come da dispositivo .
10.- Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 -, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto .
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi €. 3.700,00 (euro tremilasettecento/00), di cui €. 200,00 (euro duecento/00) per esborsi, oltre accessori come per legge; condanna altresì la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente , della somma di €. 3.500,00 (euro tremilacinquecento/00), ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c. , nonché al pagamento, in favore della Cassa delle Ammende, della somma di €. 3.000,00 (euro tremila/00), ai sensi dell’art. 96, comma 4, c.p.c..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione